Gianni Mura, la Repubblica 7/12/2014, 7 dicembre 2014
MAROTTA E LA LOGICA SCELTA DI UN SISTEMA FATTO COSÌ
Dovevamo saperlo che l’amore brucia la vita e fa volare il tempo, scrisse Cardarelli. Chi ha tempo non aspetti tempo, disse qualcun altro. Il tempo vola e noi no. Sarebbe peggio il contrario: il cielo pieno di uomini con gli orologi fermi. Questo scrisse Alessandro Bergonzoni, cito a memoria. Che non è più quella di un tempo. Già, la memoria. Anagrammabile e percorribile senza lasciare tracce (orme, mai), navigabile (mio mare) cercando versi (amo rime). Preferisco l’imperfetto, ma non in Toscana, mi’amore. Il tempo delle mele e delle vele. Sto prendendo tempo. Non lo sto prendendo a nessuno. Non è un furto, è un modo di dire. E però: õ temps suspends ton vol (Lamartine). Vol è volo ma anche furto, in francese. Sto perdendo tempo. E se il tempo è denaro, finirò povero. Un clochard. Se fossi a Marsiglia (dalla Stampa di ieri) il Comune mi doterebbe di un tesserino d’identificazione con tanto di triangolo giallo, dettaglio che ha suscitato la forte disapprovazione delle ong umanitarie. Quel triangolo somiglia troppo alla stella gialla che i nazisti imposero agli ebrei. Il Comune ribatte che, oltre all’identificazione, così si avranno dati sullo stato di salute e le allergie, in caso di pronto soccorso. Sarà. Ormai tutti i colori simboleggiano qualcosa, tranne forse il beige. Ma un triangolo azzurro, in una città di mare, avrebbe creato meno polemiche. Voto al Comune di Marsiglia, sempre che le intenzioni fossero buone, 4.
Ho perso tempo per parlare di tempi. La cafonata di Lotito sugli occhi di Marotta è datata 26 settembre 2014. Il 7 ottobre, tramite il suo legale, Marotta scrive alla Figc per essere autorizzato a querelare Lotito senza rischiare sanzioni per la violazione della clausola compromissoria. La risposta arriva il primo giorno di dicembre: autorizzazione negata in quanto la Figc ha già inflitto due sanzioni di 10mila euro (una a Lotito e una alla Lazio) e pertanto ”la fattispecie è già tutelata dall’ordinamento sportivo”. Sobrio (6,5) commento di Marotta: “Scelta paradossale”. Scelta logica, piuttosto. Cos’altro si aspettava da questo sistema?
Fine primo tempo. Secondo tempo, più dilatato. Torniamo al 25 agosto 2013, prima di campionato, Livorno-Roma. Dalla panchina Garcia comunica via cellulare con il suo vice Bompard, che sta in tribuna. Deferiti entrambi per “comportamento illegittimo” in data 5 dicembre 2014. Sobrio (6,5) commento del dg Baldissoni: “Deferimento pittoresco”. Baldissoni chiarisce che in quest’anno e passa la Roma ha chiesto spiegazioni ad Aia, Figc, Lega e Procura federale senza avere mai risposta. In compenso, più di 100mila euro di multa. In Francia il dialogo panchina-tribuna era ammesso, in Italia no, in Champions sì, visto che non è arrivata alcuna sanzione europea.
Però, come direbbero i politici, auspico un momento di riflessione. Si fa un gran parlare delle tecnologie impiegabili sul campo o a bordo campo, quindi perché non discutere sulla legittimità del cellulare? È una proposta, non sto reclamizzando la bontà dei cellulari ma so che non è facile valutare una partita da una panchina a livello terreno. Sarebbe divertente, in caso di divieto, vedere come se la cava Garcia senza cellulare, ma anche quanti suoi colleghi, in caso di apertura all’aggeggio, temendo una diminutio capitis, se ne serviranno. Intanto, serve la pagina 7 del Messaggero di ieri. “Renzi rilancia sui giochi. Avanti con le Olimpiadi”. “Non ci facciamo fermare da chi ruba”. Siccome sui Giochi mi sono espresso prima che uscisse parte della schifezza, della connivenza, dei furti, delle mazzette, non ho difficoltà a dire: per i Giochi, fatevi fermare da chi non ruba, e magari intanto fermate chi ruba.
Ferma l’attenzione una pagina dell’Avvenire di giovedì. Parla di Charlie Yelverton, classe 1948, nato ad Harlem, grande cestista e suonatore di sax, ancora oggi. Vive a Miazzina, in Val Grande, sul lago Maggiore. Insegna minibasket a Laveno. “Ho già visto tanto mondo, per me l’America adesso è qui”. L’America non lo volle più nel ’72. Giocava in un lanciatissimo Portland. C’era la guerra in Vietnam, era l’anno del Watergate. Prima di ogni partita negli Usa si suona l’inno nazionale. Così fu prima di Portland-Phoenix. Tutti si alzarono dalla panchina tranne Yelverton. A fine stagione fu tagliato e nessun club lo ingaggiò. Anche un amico d’infanzia come Kareem Abdul Jabbar, che gli aveva regalato il sax e lo chiamava fratello, gli tolse il saluto. Andò a giocare in Grecia. Lo scoprì Sandro Gamba, un’enciclopedia del basket, e arrivò a Varese come “straniero di Coppa”. Allora si potevano tesserare solo due stranieri e l’Ignis aveva già Bob Morse. Vinsero la finale europea col Real senza perdere una partita. Due anni fa, ingresso nella Hall of Fame. Gli chiedono: Charlie, rifaresti quel gesto? Risponde: No, perché invece di stare seduto mi metterei in ginocchio. Yelverton 8, per come giocava, per come ragiona e per come suona, sotto le stelle del jazz.
Gianni Mura, la Repubblica 7/12/2014