Guido Viale, la Repubblica 7/12/2014, 7 dicembre 2014
IL CIMITERO DELL’HI-TECH
Questa descrizione di guiyu è la traduzione attualizzata della città di Leonia raccontata da Italo Calvino ne Le città invisibili . Attualizzata nello spazio perché, invece di accumulare i rifiuti prodotti da un consumismo compulsivo ai margini di una sola città, per poi esserne comunque sommersi come succedeva agli abitanti di Leonia, abbiamo pensato di risolvere il problema scaricandoli all’altro capo del mondo: in Cina. Attualizzato nel tempo perché le fasi della produzione e dello smaltimento erano o sembravano fino a poco fa due momenti distinti: si produceva in Cina per risparmiare sui costi del lavoro e della tutela ambientale.
Si consumavano quei prodotti in occidente, e poi si rimandavano in Cina i nostri scarti dopo essercene liberati per poterne comprare di nuovi, in un ciclo sempre uguale a se stesso. Ma adesso non è più così; e non lo sarà mai più. Presto i rifiuti prodotti direttamente in Cina saranno molti di più di quelli che produciamo noi, anche perché, a furia di delocalizzare, in Occidente non ci saranno più lavoratori in grado di comprare tutto quel bendiddìo (o maldiddìo); e a rifornire le loro discariche ci penseranno direttamente i cinesi. Così avremo trasferito in Cina tutta Leonia e non solo i suoi margini. E dopo ancora, se tutto procederà nella stessa direzione, saranno i cinesi a esportare i loro rifiuti elettronici in un’Europa impoverita dalle delocalizzazioni e desiderosa di poter riciclare almeno i rifiuti altrui per cercare di sopravvivere. Ma intanto, rispetto alla Leonia di Calvino, a Guiyu compaiono anche gli umani. O meglio, degli esseri ridotti allo stato di larve da quello che essi stessi si fanno — che fanno alla loro salute, al loro ambiente, alle loro vite — affondando sempre più in quella palude di morte, sospinti dal desiderio di evaderne al più presto.
Forse il martirio a cui sottoponiamo la Cina, e non solo Guiyu, potrebbe aiutarci a rivedere il nostro modo di guardare le cose. In un mondo globalizzato quel riso avvelenato potrebbe finire sulle nostre tavole, come potrebbero finire tra le mani dei nostri bambini giocattoli fabbricati con la plastica inquinata ricavata smontando smartphone. E finisce nell’atmosfera la C02 di cui la Cina è il
Il riso amaro della Leonia di Calvino
principale produttore, che sta distruggendo la vivibilità del pianeta.
C’è un difetto di fondo in tutto ciò, a monte della produzione dei rifiuti. È quello a cui ci ha abituato la civiltà industriale e consiste nel considerare gli oggetti che ci passano per le mani come entità statiche e non come flussi; come essi si presentano di volta in volta a chi li usa e non nel loro ciclo di vita, cioè come risorse estratte dall’ambiente che all’ambiente saranno prima o poi riconsegnate. Per cambiare il mondo occorre innanzitutto cambiare questo approccio alle cose, da cui deriva anche la spinta a prendere in considerazione gli altri esseri umani solo quando ci servono, e per quel che ci servono, per poi buttarli via. La nostra vita si svolge dentro tutte le cose che compriamo, usiamo e poi buttiamo. Pensiamo di dominarle e invece sono loro a dominare noi. Un po’ più di attenzione, un po’ più di modestia, e ci accorgeremmo che noi umani non siamo che una parte (degenere) della natura.
Guido Viale, la Repubblica 7/12/2014