Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 07 Domenica calendario

PROVINCE, L’ORA DEL CAOS PER I VENTIMILA ESUBERI PORTE CHIUSE DALLE REGIONI E PAGHE A RISCHIO NEL 2015

ROMA.
Ventimila colletti bianchi in cerca di ufficio. E’ la paradossale conseguenza di quello che Alessandro Pastacci, presidente dell’Unione delle Province italiane, definisce «lo sfasamento dei tempi tra l’applicazione della legge Del Rio e la necessità di fare cassa del ministero dell’Economia». Risultato: lo Stato chiede già dal primo gennaio alle Province di tagliare un miliardo dalle loro uscite, l’equivalente degli stipendi dei 20.000 dipendenti che dovrebbero passare alle Regioni. Mentre le stesse 15 Regioni a statuto ordinario non li hanno ancora assunti. E non li assumeranno per molto tempo perché per farlo devono concordare con i Comuni la divisione dell’esercito degli impiegati in fuga dalle Provincie in via di progressivo smantellamento.
Il pasticcio è aggravato dal fatto che ormai da tempo lo Stato non trasferisce più fondi alle amministrazioni provinciali. La conseguenza è che nel 2015 saranno le stesse Province a mettere mano al portafoglio versando nelle casse di Roma il miliardo corrispondente al monte stipendi dei 20 mila impiegati. «Fino a quando non saranno trasferite le competenze alle Regioni, quei dipendenti continueranno a lavorare per i nostri uffici. Non si possono abolire i servizi ai cittadini solo perché non sono ancora stati trasferiti», aggiunge Pastacci. Tra gli impiegati provinciali in attesa di un destino ci sono, ad esempio, i 6.000 dipendenti dei centri per l’impiego e il fatto in sé è già abbastanza paradossale. Diventa assurdo se si aggiunge che ai 6.000 bisogna aggiungere un altro migliaio di precari utilizzati negli stessi uffici: in Italia ci sono infatti 1.000 precari occupati nei centri per l’impiego.
Mercoledì si svolgerà a Roma una riunione del coordinamento per l’applicazione della legge Del Rio e in quella occasione i nodi sembrano destinati ad arrivare al pettine. Il 1 gennaio si avvicina e senza proroghe il caos è assicurato. «La legge Del Rio aveva stabilito tappe precise», ricorda Pastacci. Il provvedimento, frettolosamente catalogato come «cancella-Province», aveva stabilito che alcune materie sarebbero in realtà rimaste alle amministrazioni provinciali e alle dieci nuove città metropolitane. In sostanza strade, scuole e difesa del territorio continueranno ad essere curati dalle Province nella nuova versione: non più amministrazioni elette dai cittadini ma enti i cui vertici sono eletti dai consiglieri comunali del territorio. Tutte le altre materie dovranno invece passare, insieme ai dipendenti, alle Regioni o ai Comuni. Si tratta di capitoli importanti come la formazione professionale, le agenzie per trovare lavoro ai disoccupati, alcune competenze nei settori del turismo, della cultura, dell’agricoltura. Entro fine anno, stando al progetto Del Rio, Regioni e Comuni avrebbero dovuto decidere come dividersi quelle materie e gli impiegati corrispondenti.
Secondo i calcoli resi noti a inizio settembre dal governo, degli oltre 47 mila attuali dipendenti delle amministrazioni provinciali, 27 mila (13.500 nelle Province e altrettanti nelle dieci città metropolitane) dovrebbero rimanere nei loro attuali uffici mentre i rimanenti ventimila dovrebbero migrare nelle altre amministrazioni locali. Al trasferimento dei dipendenti corrisponderebbe il trasferimento delle funzioni alle Regioni. Ma queste ultime resistono. «Uno dei paradossi - dicono all’Unione delle Province - è che in questo modo tornerebbero alle Regioni molte funzioni decentrate alle stesse Province negli ultimi quindici anni in base alle leggi Bassanini». Un movimento di andata e ritorno che ha consentito alle Regioni di diminuire progressivamente i trasferimenti in denaro alle Province, erogati per ripagarle dei nuovi incarichi assunti. Così oggi che quelle funzioni devono tornare al punto di partenza ci arrivano accompagnate da scarsissime risorse finanziarie: un boomerang per le amministrazioni regionali.
La coperta è corta. Se le Province saranno costrette a mantenere le funzioni che dovrebbero essere trasferite alle Regioni ma saranno obbligate a versare allo stato il miliardo del monte stipendi degli impiegati che garantiscono quelle funzioni, finiranno per trovarsi nell’incredibile condizione di dover pagare due volte i dipendenti considerati in eccesso. Sarebbe il disastro finanziario. Monica Giuliano, presidente delle Province liguri, sbotta: «Il taglio previsto dalla legge di stabilità è insostenibile. Se vogliono farci morire di asfissia finanziaria lo dicano chiaramente. Dal primo gennaio porteremo le nostre fasce tricolore al prefetto. Sarà lui a dover decidere se chiudere le strade provinciali, spegnere il riscaldamento nelle scuole, lasciare la neve sulle strade». In questo quadro da ultima spiaggia c’è chi ascolta l’orchestrina, come accadde sul Titanic. Accade in Toscana, a Siena, dove la Provincia annuncia con decreto l’assunzione di 8 nuove figure, quattro dirigenti e quattro membri di staff. «Una decisione paradossale - attaccano i sindacati - una decisione presa in solitudine mentre i dipendenti delle Province vivono un momento di incertezza totale sul loro futuro».
Paolo Griseri, la Repubblica 7/12/2014