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 2014  dicembre 07 Domenica calendario

LAPO ELKANN, UN ALTRO RICATTO: «PAGA 90 MILA EURO, ABBIAMO UN TUO VIDEO»

MILANO Ore 10 di martedì 2 dicembre: un cinquantenne americano e un 31enne milanese entrano nella stanza 126 del lussuoso hotel Four Season, nel pieno del Quadrilatero della moda. Il primo dà una busta con 90mila euro al secondo che consegna un cd-rom. Quando escono ci sono quattro carabinieri che li aspettano e per il più giovane hanno le manette pronte. Si chiude così la vicenda che ha portato a una nuova presunta estorsione a colpi di immagini compromettenti ai danni di Lapo Elkann, l’eccentrico rampollo degli Agnelli.
Pomeriggio di un giorno di giugno scorso. Seminudo e in stato confusionale, Lapo barcolla per strada alla periferia nord della città quando un giovane sui 30 che lo ha riconosciuto gli si avvicina per aiutarlo e lo convince a seguirlo a casa sua. «Avevo bevuto molti bicchieri di superalcolici, più del dovuto. Stavo andando a piedi verso l’abitazione di una mia conoscente» racconta mesi dopo ai carabinieri del Nucleo investigativo. «Non ero completamente cosciente» continua Elkann che quando arriva nel bilocale si accascia subito sul divano. Ai due si unisce Enrico Bellavista, il fratello 31enne del soccorritore, l’atmosfera si fa euforica e sul tavolo compaiono «piste» di cocaina. Elkann dice che a prepararle sono stati gli altri i quali, invece, sostengono le ha stese lui che aveva portato la coca. «Non mi ricordo assolutamente» se «provai tale sostanza» dichiara Lapo che però rammenta che qualcuno lo mise su un taxi con addosso una tuta da ginnastica e 50 euro per la corsa.
A ricordargli i particolari ci pensano i fratelli Bellavista che giorni dopo si presentano a casa sua. Hanno anche un filmato fatto con il cellulare («stava male, temevamo che potesse accadergli qualcosa» si giustificherà Enrico) in cui appare Elkann seminudo e con una coperta addosso che nasconde una mano e non lontano dalle «piste». «Mio fratello — aggiunge Enrico dopo l’arresto — contattò Lapo Elkann dicendo che gli avevamo salvato la vita e che forse meritavamo un regalino». A casa arrivò solo un «pallone autografato». Delusi, i due decidono di proporre il filmato a un settimanale, che lo rifiuta, venendo però subito contattati da Shawn Carlo Nelson, un collaboratore di Elkann incaricato di trattare. «Ero stanco e spaventato di essere sottoposto a una gogna mediatica» come in passato, mette a verbale l’imprenditore. Nell’ottobre 2005, finì in coma a Torino dopo una notte di coca e sesso con transessuali. Vicenda che finì nel processo al «re» dei paparazzi Fabrizio Corona imputato, ma assolto per questo, per i 200 mila euro chiesti per bloccare l’intervista a «Patrizia», uno dei transessuali. L’accordo si chiude a 30 mila euro con i Bellavista che si impegnano per iscritto a non divulgare copie, pena 300 mila euro di risarcimento. Non finisce lì. Due mesi fa Elkann viene a sapere che Bicio Pensa, un paparazzo coinvolto marginalmente in Vallettopoli, dice che le immagini erano nelle mani di «altre persone». Pensa, che si dichiara «innocente» ed è indagato con Giovanni Bellavista, viene contattato da Nelson il quale dichiara che il paparazzo gli disse che venivano chiesti 350 mila euro e che «se Elkann non avesse pagato avrebbe venduto il video a Alfonso Signorini, direttore del settimanale Chi», oppure «l’avrebbe messo su internet». Scatta la denuncia e, sotto la supervisione dei carabinieri diretti dal pm Giancarla Serafini, la trattativa tra Enrico Bellavista e l’assistente di Elkann si chiude a 90 mila euro. Interrogato dal gip Stefania Pepe dopo l’arresto (anticipato oggi da Il Giorno ), Enrico Bellavista (difeso dall’avvocato Antonio Nebuloni) sostiene che fu Nelson a contattarlo dopo che avevano proposto il video a un’agenzia fotografica il cui direttore «ci disse che tempo prima Elkann aveva pagato 350 mila euro per ritirare foto meno compromettenti del video e che era stata anche emessa una fattura». L’uomo avrebbe anche chiamato Signorini in vivavoce proponendogli, senza successo, le immagini. «Nessuna telefonata, mai saputo del video e mai avuto rapporti con nessuno su questa vicenda» dichiara il direttore di «Chi».
Giuseppe Guastella