Brunella Casalini, http://www.juragentium.org/forum/race/it/casalini.htm 2006, 6 dicembre 2014
Sulla bianchezza
2006 Come ha sottolineato Cheryl I. Harris, in La bianchezza come proprietà (Harris 2005, pp. 85-109), attraverso la classificazione giuridica della "bianchezza" (whiteness), come qualcosa di legato al sangue, le corti statunitensi, soprattutto dopo la guerra civile, l’emancipazione (1863-1865) e il riconoscimento della cittadinanza ai maschi neri con la ratifica del quattordicesimo e quindicesimo emendamento (1868-1870), hanno tentato di tracciare confini fissi, immutabili, oggettivi e neutri, in quanto considerati biologicamente determinati, tra la razza nera e la razza bianca. Non bastava essere bianchi d’aspetto, o essere riconosciuti come bianchi, in alcuni casi anche una sola goccia di sangue nero comprometteva la possibilità di essere considerati bianchi dalla legge. Decidere chi poteva essere incluso tra i bianchi era cruciale, visti i privilegi giuridici, economici e sociali che la bianchezza portava con sé: la whiteness era l’unica vera "proprietà" necessaria per divenire cittadini della repubblica americana. Scrive Alys Eve Weinbaum: "Se [prima della guerra civile] il possesso da parte di un bianco di proprietà nella forma di terra, animali e schiavi, era stato il criterio per differenziare coloro che avevano diritto ai benefici della cittadinanza da coloro a cui quei benefici erano negati, dopo la guerra civile, quando i neri entrarono a far parte della popolazione nazionale come cittadini, la proprietà venne a risiedere nel corpo, nella forma della bianchezza" (Weinbaum 2004, p. 21). La bianchezza, infatti, venne trasformata dal sistema Jim Crow in un inalienabile "status property" in base al quale si decideva l’inclusione o l’esclusione dai diritti di cittadinanza. Il lavorio della società americana ai fini della costruzione della razza ha avuto molteplici espressioni: è stato all’opera nella legislazione contro i matrimoni misti e nella giurisprudenza da essa derivata ben oltre la metà del XX secolo (cfr. Pascoe 1996), ed è stato ancor più direttamente influente nel determinare il carico di aspettative che si sono venute a creare sul tema del "controllo delle nascite". Aspettative conflittuali e contraddittorie, che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, sono state alla base del peculiare, e poco noto, intreccio tra movimento femminista e politiche eugenetiche (cfr. Weinbaum, 2004 e Newman 1999), e i cui riflessi possono ritrovarsi anche nelle attuali politiche sociali a sostegno della maternità e dell’infanzia nelle fasce più povere della popolazione, laddove si intersecano razza, classe, genere e criminalizzazione. La maternità e l’immagine materna è in effetti un terreno sul quale ancora oggi si rinnovano i rituali di creazione della razza negli Stati Uniti. Molti studi recenti nell’ambito dei c.d. Feminist Race Studies hanno messo in luce le forme di disciplinamento più o meno diretto a cui è sottoposto il corpo delle donne nere delle fasce più povere (cfr. Collins 2000). Dorothy Roberts, in Killing the Black Body: Race, Reproduction and the Meaning of Liberty (1997), ricorda come il principale mezzo di controllo delle nascite tra la popolazione nera sia stato, fino agli anni Novanta, la sterilizzazione attraverso la isterectomia, e sia divenuto, a cominciare dagli anni Novanta, la sterilizzazione chimica mediante farmaci quali il Norplant (1) e il Depo Provera. Alcuni stati, come il Kentucky e la Louisiana, hanno avanzato proposte di legge per assegnare incentivi in denaro alle donne con redditi molto bassi, che fossero disposte a far uso di questi contraccettivi, i cui effetti sulla salute sono ancora assai discussi. Cosa hanno a che fare con il razzismo queste proposte, che fino ad oggi non sono riuscite tradursi in provvedimenti legislativi, e che sono apparentemente rivolte alle fasce povere della popolazione, indipendentemente dal colore della pelle? Il nesso diviene subito chiaro se si considera che qualsiasi discussione sullo stato sociale negli Stati Uniti d’America concerne in primo luogo la popolazione nera, e in particolare le donne nere, che sperimentano una doppia forma di discriminazione: razzista e sessista. Nel dicembre del 1990, subito dopo l’approvazione del farmaco da parte della Food and Drug Administration, il Philadelphia Inquirer pubblicò un articolo in cui insieme alla notizia, riportava i risultati di ricerche condotte sullo stato di povertà dei bambini neri e suggeriva a chiare lettere che il Norplant poteva essere la soluzione attesa al problema, dato che "the main reason more black children are living in poverty is that people having the most children are the ones least capable of supporting them" (cit. in Roberts 1997, p. 3). L’autore dell’articolo, ricorda la Roberts, sottolineava l’opportunità di una politica di welfare volta a incentivare l’uso di questo contraccettivo. Se il tentativo di introdurre provvedimenti legislativi al fine di costringere le donne indigenti a usare il Norplant non è riuscito, ed è stato denunciato da più parti come una violazione del diritto alla libertà riproduttiva, tutti gli stati hanno, però, reso disponibile gratuitamente questo farmaco attraverso il sistema sanitario Medicaid. Altre misure adottate in tempi recenti che sembrano volte a controllare il potere riproduttivo delle donne nere sono costituite dalla riforma del welfare nota come "welfare family caps" (2), varata da Clinton nel 1996, che sconvolge il sistema di welfare, negando il diritto a maggiori contributi al crescere del numero dei figli, e da politiche penali volte a perseguire coloro che fanno uso di droghe durante il periodo della gravidanza. Tutte queste misure hanno un presupposto comune: l’idea che per risolvere il problema della povertà negli Stati Uniti si debba controllare e limitare la fertilità dei poveri, ovvero in termini statistici soprattutto delle donne nere e latino-americane (Roberts 2000). Analoghe logiche razziste, secondo il Critical Race Feminism, possono riscontrarsi nelle politiche dell’adozione e anche nell’uso delle nuove tecnologie riproduttive, non solo perché queste ultime sono per lo più precluse alle donne delle fasce più povere, ma anche perché le tecniche di screening e di diagnosi prenatale, possono configurare nuove possibilità di controllo sulla maternità. Il nesso tra controllo delle nascite e controllo della popolazione, attraverso forme di intervento coercitivo sul corpo femminile, è spesso sfuggito al femminismo bianco che ha per lo più legato questioni come l’aborto o la possibilità di ricorrere alla sterilizzazione all’esercizio della libertà di scelta riproduttiva della donna. Dal punto di vista del Critical Race Feminism, e in generale dell’esperienza delle donne nere, la libertà sessuale e riproduttiva non è solo una questione di libertà individuale, ma è soprattutto una questione di giustizia sociale, che non può essere compresa secondo lo slogan "the personal is political" utilizzato dalla femministe della classe media bianca (cfr. Hurtado 1989, p. 849). Per le donne di colore infatti l’esistenza stessa della sfera privata è un’esperienza negata dal continuo intervento dello stato tanto nelle loro scelte riproduttive quanto nella loro vita familiare. Se per una donna della classe media bianca, per esempio, al momento della separazione il problema è ottenere la custodia dei figli; per una donna nera, dipendente dall’assistenza sociale, priva di un compagno, o il cui compagno non di rado si trova in carcere, il pericolo è sempre, molto più tragicamente, quello di venire privata di ogni diritto parentale.i, per una donna nera spesso è molto più tragicamente il pericolo di perdere ogni diritto parentale.ttenere la custodia dei figl In tutto questo gioca un’influenza determinante un’immagine stereotipata, continuamente riproposta attraverso le più diverse forme di comunicazione, della maternità nera miticamente rappresentata o come la rassicurante e accogliente "mummy", la governante nera di Via col vento, felice di vivere in una famiglia bianca, di preoccuparsi dei figli dei bianchi e di non avere una vita propria, oppure, all’opposto, quando aspira ad una propria maternità, come la "madre cattiva", la "madre inaffidabile" o la "matriarca" e la "welfare queen", magari alla guida di una "welfare cadillac" (secondo un celebre aneddotto inventato da Ronald Reagan), in altri termini una donna spregiudicata, pronta a sfruttare il proprio "potere" riproduttivo e a strumentalizzare i suoi figli al fine di frodare lo stato e vivere sulle spalle della collettività. Bibliografia Casalini Brunella, 2006, Recensione a K. Thomas e G. Zanetti (a c. di), Legge, razza e diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Diabasis, Reggio Emilia. Collins Patricia Hill, 2000, Black Feminist Thought: Knowledge, Consciousness, and the Politics of Empowerment, Routledge, London Harris, Cheryl I., 2005, La bianchezza come proprietà, in K. Thomas e G. Zanetti (a c. di), Legge, razza e diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Diabasis, Reggio Emilia. Hurtado Aìda, 1989, Relating to Privilege: Seduction and Rejection in the Subordination of White Women and Women of Color, "Signs", 14, n. 4, pp. 833-55. Mies Maria, 1994, New Reproductive Technologies: Sexist and Racist Implications, Quilt, 9/1/1994 (Asian Women’s Human Rights Council, 1994). Newman Louise Michele, 1999, White Women’s Rights. The Racial Origins of Feminism in the United States, Oxford University Press, New York-Oxford. Pascoe Peggy, 1996, Miscegenation Law, Court Cases, and Ideologies of "Race" in Twentieth-Century America, "The Journal of American History", vol. 83, n. 1, pp. 44-96. Roberts Dorothy 1995, Motherhood and Crime, "Social Text", n. 42, Spring, pp. 99-123. Roberts Dorothy, 1997, Killing the Black Body, Pantheon, New York. Roberts Dorothy, 2000, Race, reproduction and the meaning of liberty: building a social justice vision of reproduction freedom, 2000, delivered on April 18, 2000 at a Public Forum presented by the Othmer Institute at Planned Parenthood of New York City, Planned Parenthood of New York City. Smith Rebekah, 2006, Family Caps in Welfare Reform: Their coercive effects ad damaging consequences, "Harvard Journal of Law & Gender", vol. 29. Weinbaum Alys Eve, 2004, Wayward Reproductions. Geneaologies of Race and Nation in Transatlantic Modern Thought, Duke University Press, Durham-London. Note 1. Il Norplant è un farmaco approvato dal FDA nel dicembre del 1990. E’ considerato una vera e propria rivoluzione nelle tecniche di controllo delle nascite che si segnala per i bassi costi e la durata nel tempo: non va preso tutti i giorni e i suoi effetti contraccettivi possono arrivare a durare fino a cinque anni. In che cosa consiste? "Norplant consists of six silicone capsules, each about the size of a matchstick, filled with a synthetic hormone called levonorgestral (the same type of progestin used in some birth control pills). The tubes are implanted in a fan-shaped design just under the skin of a woman’s upper arm through a small incision. The minor surgical procedure, which takes ten to fifteen minutes, can usually be performed in a clinic or doctor’s office under local anesthesia. Norplant prevents pregnancy for up to five years by gradually releasing a low dose of the hormone into the bloodstream. It works mainly by suppressing ovulation, but also keeps sperm from reaching the egg by thickening the cervical mucus. Originally developed by the Population Council, a nonprofit organization that promotes family planning in the Third World, Norplant is now distributed in the United States by the giant pharmaceutical company Wyeth-Ayerst Laboratories, a division of American Home Products" (Roberts 1997). 2. Fino al 1996 il programma AFDC (Aid to Family with dependent children) stabiliva che gli stati dovessero chiedere una deroga al governo federale per poter fissare "family caps", perché essi costituivano una violazione del Social Security Act con l’introduzione di criteri di eliggibilità dipendenti dal comportamento dei destinatari della misura di assistenza sociale. Con l’introduzione del Personal Responsibility and Work Opportunity Reconciliation Act del 1996, che aboliva il programma AFDC, e istituiva il TANF (Temporary Assistance for Needy Families), voluto da Bill Clinton, lo stato federale ha lasciato gli stati liberi di introdurre "family caps" (Smith 2006).