Sergio Romano, Corriere della Sera 6/12/2014, 6 dicembre 2014
OBAMA E I TRE MOTIVI DELLA SUA
IMPOPOLARITA’ –
È strano constatare quanto la popolarità di Obama sia in ribasso, malgrado Wall Street sia ai massimi di sempre, la disoccupazione in diminuzione e il Pil in costante crescita. Obama ha preso atto del fallimento della sua politica estera e ha deciso di correre ai ripari. Le prime mosse sono state: l’invio di ulteriori 1.500 militari in Iraq, come «istruttori non combattenti» delle forze locali (la guerra del Vietnam è iniziata così!), la sostituzione del ministro della Difesa e la necessità di rivedere la politica Usa verso la Siria, dopo avere constatato che per sconfiggere l’Isis è necessario un cambio di strategia che preveda la destituzione del presidente al Assad. Dobbiamo aspettarci che al declino dell’Impero americano subentri una nuova ascesa?
Pierfrancesco Camilleri
Caro Camilleri,
Non credo che Obama abbia fondamentalmente cambiato la sua linea. Deve tenere conto delle nuove minacce che incombono sulla regione medio-orientale e adattarsi alle circostanze. Ma ho l’impressione che sia tuttora convinto della necessità di limitare gli interventi militari americani. Gli errori della presidenza Bush e gli effetti delle due guerre combattute dagli Stati Uniti dopo l’inizio del secolo sono precedenti che il presidente americano non ha dimenticato. Ho anche l’impressione che le critiche mosse contro la sua persona in materia di politica estera provengano soprattutto da ambienti neoconservatori e siano dettate in buona parte da considerazioni strumentali. Molti uomini politici repubblicani, al posto di Obama, avrebbero fatto probabilmente le stesse scelte. I motivi delle rabbiose polemiche contro la Casa Bianca che stanno caratterizzando il suo secondo mandato presidenziale sono altre e non sempre confessabili.
Una parte del Paese gli rimprovera anzitutto la grande riforma sanitaria, nota come «Obamacare», che è stata introdotta nel marzo 2010 e si propone di garantire assistenza medica ai circa 40 milioni di cittadini americani che ne erano privi. Dopo un inizio faticoso, la riforma comincia a dare buon risultati, ma è ancora, per una parte importante della società politica americana, «socialismo»: una etichetta che negli ambienti conservatori è giudicata incompatibile con la storia, le tradizioni e la cultura degli Stati Uniti.
Il secondo motivo, più recente, è la normativa sull’immigrazione clandestina che Obama ha adottato per via amministrativa quando le elezioni per il rinnovo parziale del Congresso lo stavano privando del sostegno parlamentare su cui aveva potuto contare in passato. È una sanatoria che dovrebbe regolarizzare la posizione di circa 5 milioni di persone e non piace a coloro che, come alcuni movimenti politici europei, vorrebbero ricacciarli al di là delle frontiere.
Il motivo inconfessabile, caro Camilleri, è il colore della pelle del presidente. Le accuse di razzismo genericamente indirizzate all’America «bianca» sono spesso esagerate ma vi è ancora una parte della società per cui la presenza di un afroamericano alla Casa Bianca è vissuta come una intollerabile umiliazione. L’elezione di Obama è stata un segno indiscutibile della evoluzione degli Stati Uniti nel campo dei diritti civili, ma ha avuto anche l’effetto di rafforzare il ridotto razzista della società americana.