Maurizio Porro, Corriere della Sera 6/12/2014, 6 dicembre 2014
ADDIO ALLA MUSICA DI MANUEL DE SICA
È morto d’improvviso ieri mattina a Roma, per attacco cardiaco, Manuel De Sica, a 65 anni: era un figlio d’arte che aveva sposato la carriera musicale, studiato a Santa Cecilia con Bruno Maderna e firmato oltre 70 colonne sonore, iniziando a lavorare nel ‘68 a un film del padre, Amanti , con Mastroianni e Dunaway, e proseguendo con Lo chiameremo Andrea e Il viaggio. I funerali sono fissati per le 14.30 di oggi a Roma, alla Chiesa di Santa Pasca, all’Aventino.
Figlio di Vittorio e di Maria Mercader (la «seconda» famiglia del regista), fratello di Christian con cui si esibiva in salotto da piccolo in abito da sera sotto la direzione paterna, zio di Brando e nipote dello zio materno Ramon Mercader (noto per l’assassinio di Trotzkij), Manuel si era assunto un lavoro in fieri , la coscienza storica del restauro delle opere di De Sica, oltre una dozzina, cercando sponsor per aiutare la sempre labile memoria collettiva italiana attraverso una Fondazione che ha promosso — e continuerà a farlo — i grandi titoli del neorealismo spesso anche con libri critici (il periodo sovvenzionato dalla Philip Morris).
Come il fratello era un gran affabulatore, miniera di aneddoti come una ministoria del cinema sempre in diretta, anch’egli somigliante al padre in modo diverso. Coltivava il piacere del salotto ed era dotato di un innato, brillante senso dello spettacolo che esprimeva attraverso la dolcezza delle sue musiche, sentimentali nel senso migliore (alcune sue canzoni sono state intonate anche da Ella Fitzgerald e Tony Bennett), cercando di far combaciare le sue emozioni di note con quelle del regista, accompagnando immagini, affetti, volti di attori amatissimi.
Se la collaborazione in casa fu ottima e abbondante (la colonna sonora del Giardino dei Finzi Contini lo portò vicino all’Oscar), Manuel, nato il 24 febbraio ‘49 a Roma, lavorò con la grande famiglia del nostro cinema del dopoguerra — da Risi a Comencini, da Oldoini ai Vanzina, da Verdone a Nichetti, da Lizzani a Squitieri — ma anche con Chabrol e Gene Wilder, alternando avventure, drammi e commedie, mettendosi al servizio delle storie, vincendo Globi, Nastri, David. Ma soprattutto aveva vinto la stima della gente che lo vedeva come il fratello più grande e «serio», meno popolare di Christian, con cui ebbe sempre un profondissimo legame, proprio perché diverso e complementare, con una complicità gemellare: ciascuno era un’anima diversa di papà Vittorio.
Attivo anche in tv, come regista di un film e per una serie gialla con Tognazzi, il musicista Manuel, spinto agli inizi dal musicista Renzo Rossellini, ha lasciato ieri col suo tragico colpo di scena un doloroso stupore nell’ambiente. Testimoniato in rete da Christian, che ha postato sul suo profilo Facebook una foto di Manuel bimbo col papà, un tenerissimo cheek to cheek strappato a una memoria che da ieri non è più comune, con questo appunto: «Mio fratello Manuel non c’è più. Lo voglio ricordare così. Riposa in pace».
Molto cordoglio sincero, da Ennio Morricone, che ne ha ricordato il talento, al ministro Franceschini, con cui Manuel aveva collaborato di recente per il 40esimo della scomparsa di papà Vittorio. Come il padre, ma senza i tempi da pochade di allora, anche Manuel aveva avuto due famiglie: lascia Andrea, figlio della prima moglie Tilde Corsi, produttrice di Ozpetek, e una seconda, Maria Lucia Langella. E lascia anche composizioni da camera, un libro affettuoso di ricordi ( Dio figlio in padre , Bompiani), quell’immenso invisibile lavoro di recupero della memoria storica cioè «sporcarsi le mani» per combattere l’amnesia e salvare quella grande bellezza del cinema e della sua storia artistica e sociale dentro cui, come in un presente storico, Manuel ha avuto la gioia di vivere e che sintetizzava così: «Dal ‘68 al ‘74 con papà siamo andati al cinema tutte le sere e abbiamo ascoltato tanta musica».
Maurizio Porro