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 2014  dicembre 06 Sabato calendario

C’ è

un dubbio che oggi, dopo il raccapricciante spettacolo di Mafia Capitale, a maggior ragione ci attanaglia. Siamo sicuri che aver salvato Roma dal fallimento sia stata una scelta giusta? Il commissario al debito Massimo Varazzani argomenta che con il dissesto della capitale d’Italia si sarebbe rischiato il declassamento del debito sovrano, con relativa impennata della spesa per interessi e costi ancora maggiori. Pericolo che del resto, vista la nostra situazione economica, è perennemente incombente. E ieri ne abbiamo avuto la prova. Ma il ragionamento di Varazzani non fa una piega.
Al tempo stesso non si può, né si deve, sorvolare sulle conseguenze di quei salvataggi. L’ispettore spedito un anno fa dalla Ragioneria a fare le bucce al bilancio del Campidoglio ha concluso che il commissariamento del debito con gli interessi accollati allo Stato si sia tradotto in un incremento della spesa corrente arrivato nel 2012 a ben 641 milioni: il costo di 13 mila dipendenti comunali. Per non parlare delle municipalizzate, con l’Atac bisognosa di continue trasfusioni di denaro. Mentre per l’Ama, l’azienda dei rifiuti già affidata a quel Franco Panzironi stipendiato con 545 mila euro e ora fra i nomi di spicco dell’inchiesta, parlano chiaro le slavine di 1.644 assunzioni e 1.700 stabilizzazioni di precari.


E se non c’è la prova che un fallimento (per cui all’epoca secondo gli ex esponenti della giunta Veltroni messa sotto accusa da Alemanno non esistevano presupposti) avrebbe impedito corruzione, ruberie e malversazioni, di sicuro le avrebbe rese più difficili. Possiamo giurare che non avremmo neppure corso il rischio di un nuovo crac, un anno fa, con il risultato di un nuovo salvataggio per legge al ritmo del solito slogan: «La capitale non può fallire!». Stavolta gridato dalla sinistra come sei anni fa si era levato dalla destra. Con la certezza che il paracadute si debba per forza aprire. Così gli enti locali malgestiti difficilmente saltano per aria. Così agli amministratori incapaci non vengono pressoché mai applicate le sanzioni previste per legge. Così dopo le inchieste presentate come «un’occasione per fare pulizia» (parole del prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro) si scopre che di polvere sotto il tappeto ne rimane ogni volta troppa. In certi casi, è l’amara lezione di questa vicenda, un paracadute che si apre sempre e comunque può fare perfino più danni di un’agenzia di rating .