Raffaele Oriani, il Venerdì 5/12/2014, 5 dicembre 2014
QUELL’EX OPERAIO CHE GLI OPERAI CHIAMANO «NONNO»
AGORDO (BELLUNO). «Finché c’è il nonno, non abbiamo paura di niente»: la signora va di fretta, il turno è finito, la corriera sta partendo, ma il messaggio è chiaro. Con un piede già sul predellino, una collega assicura che «il nonno è tutto d’oro», mentre un’altra precisa che «sui dirigenti non mettiamo la mano sul fuoco, ma del nonno ci fidiamo tutti». Il nonno è l’ottantenne Leonardo Del Vecchio, patron del colosso dell’occhiale Luxottica che, quando non cura gli interessi della sua holding in Lussemburgo, o non è a bordo del 62 metri ormeggiato a Montecarlo, torna ancora nel Bellunese per visitare gli stabilimenti e godersi l’affetto delle sue tute blu. «In tanti anni non ci ha mai fatto una carognata» sintetizzano le operaie in corriera. Da una parte il secondo contribuente più ricco d’Italia, l’ex martinitt che Forbes accredita di un patrimonio personale di 15 miliardi di euro, dall’altra migliaia di lavoratori che nella sua azienda faticano otto ore al giorno per 1.250 euro al mese. Il nonno si muove solo in elicottero, i nipoti battono i denti in attesa della prossima corsa. Così va il mondo. Eppure non potrebbe andare meglio: se siete appassionati di lotta di classe e di risentimento sociale state alla larga da Agordo, il paesino ai piedi delle Dolomiti dove Luxottica è nata e ha ancora il suo stabilimento principale.
E sì che sono tempi piuttosto complicati. Con settantamila dipendenti e oltre sette miliardi di euro di fatturato, Luxottica è l’incontrastato leader mondiale dell’occhialeria. Ma dopo un decennio da record, lo scorso agosto l’amministratore delegato Andrea Guerra ha lasciato il gruppo. Un mese dopo se ne è andato anche il successore Enrico Cavatorta, mentre dalle segrete stanze cominciavano a trapelare sussurri, voci e poi grida di contrasti all’interno della famiglia Del Vecchio. Poco male. La polmonite aziendale che ha messo i brividi a Piazza Affari (in un pauroso weekend di metà ottobre Luxottica ha perso il 9 per cento del suo valore) man mano che ci si inoltra nella conca agordina sfuma in un banale raffreddore di stagione. «Sono avvicendamenti fisiologici, siamo tranquilli» dice Luigi Dell’Atti, il delegato sindacale più votato alle recenti elezioni della Rsu. «Il problema è già avviato a soluzione» ribadisce Giuseppe Colferai, che per la Cgil segue il distretto dell’occhiale di Belluno. «Del Vecchio ha sottratto la nostra comunità all’emigrazione e alla miseria» spiega il sindaco di Agordo Sisto Da Roit. «Come potremmo dubitare di lui se finora le ha imbroccate tutte?». Non c’è verso di cavarne un po’ di polifonia. In barba alle inquietudini economiche e alle tensioni sociali che scuotono l’Italia da Trapani a Torino, nelle valli targate Luxottica risuona solo la monodia del consenso. Tanto che le poche note dissonanti assumono forme pre-politiche, pre-economiche, o per dirla tutta vagamente surreali. «Il problema semmai» soppesa il sindaco «è che i primi tre figli del Cavaliere sono cresciuti ad Agordo, ma i tre più giovani no».
Qualche mese fa, alle dimissioni di Andrea Guerra, la fabbrica ha avuto un fremito di entusiasmo. «Era tutto un dirsi: vedrai che toma il nonno!» ricorda ora Dell’Atti. Se non fosse che è il sindacalista più popolare della conca («E pensi che sono terrone di Lecce in mezzo a migliaia di montanari» se la ride) verrebbe da pensare che ha sbagliato mestiere. Ma allora qual è il segreto di quest’impresa che può contare sui rappresentanti dei lavoratori come fossero testimonial pubblicitari? Fanno impressione gli utili, certo, che nel 2014 cresceranno per l’ennesima volta a due cifre. Ma è un mistero anche l’armonia aziendale per cui il 90 per cento dei dipendenti si dichiara orgoglioso del proprio lavoro.
Per capirne di più entriamo nello stabilimento di Agordo, dove siamo attesi da due manager e una leggenda: il responsabile delle risorse umane Piergiorgio Angeli, il direttore della progettazione industriale Federico Buffa e il vicepresidente della società Luigi Francavilla. Da 46 anni Francavilla condivide ogni decisione, ogni successo e più di qualche stock option con il mito Del Vecchio: «Nel ’68 mi chiamò per fare il capofficina: allora ero operaio in Svizzera e non avevo la più pallida idea di cosa volesse dire fare il capo». Ha imparato in fretta, ma ha imparato a modo suo. «Ai nostri lavoratori abbiamo sempre offerto una lira più degli altri» dice come se confidasse piccoli trucchi di cucina. Il giorno prima, al Bar Centrale di Agordo, Luigi Dell’Atti ci aveva parlato del sistema di welfare concordato dal sindacato: assicurazione sanitaria per tutti, tasse universitarie pagate ai figli con la media del 29, libri di testo per chi frequenta le medie e le superiori, carrello della spesa da 110 euro all’anno. Per non parlare del premio di produzione che aggiunge una mensilità abbondante alle buste paga dei novemila dipendenti italiani.
«Possiamo fare di più» commenta il giorno dopo il cavalier Francavilla. Nell’ovattata sala riunioni dello stabilimento dove tutto ebbe inizio (il sindacalista Colferai lo chiama semplicemente l’Olimpo), Piergiorgio Angeli ha appena rimpolpato la lista di quelli che in altre aziende chiamerebbero benefit e che qui preferiscono definire misure di welfare: i campi estivi per imparare l’inglese, gli stage in azienda per chi si impegna a non abbandonare la scuola, gli incontri di avviamento professionale per i ragazzi all’ultimo anno delle superiori. Il tutto dal 2009: mentre l’Italia si metteva a dieta, in Luxottica cominciavano a distribuire il grasso che cola. Ma Francavilla dice solo «Possiamo fare di più». Vorrebbe per esempio che il trasporto dei dipendenti fosse a carico dell’azienda. Nella sala spunta qualche sorrisino di imbarazzo, la questione prova a svaporare nell’aria, ma Francavilla insiste: è chiaro che qualcuno dovrà attivarsi presto per accontentarlo. O ancora: da qualche anno anche in Luxottica si ricorre alle agenzie interinali. Nonostante siano in crescita anche i contratti a tempo indeterminato, un buon 9 per cento della manodopera italiana è precaria. «Troppi» sibila Francavilla. I suoi manager provano a spiegarci che è un male necessario per salvaguardare il dinamismo aziendale. «Troppi» risibila Francavilla. Il tono è lieve, ma anche qui l’impressione è che si aspetti che diminuiscano in fretta: «I nostri dipendenti devono essere contenti del lavoro che fanno». Sarà per questo che in Luxottica nessuno ricorda l’ultima ora di sciopero, e nei sei stabilimenti italiani l’assenteismo è ormai ridotto a un residuale 4 per cento. E magari sarà anche per questo che il gigante bellunese fa paura per quella che l’americana Cbs ha chiamato la total domination del mercato.
Agordo ha quattromila abitanti e un impianto da 120 mila metri quadri dove lavorano 3.500 persone. Con questi numeri è evidente che il vero welfare di Luxottica è rimanere dov’è. Ogni giorno, solo ad Agordo, si producono 40 mila paia d’occhiali (avete letto bene, sono più di dieci milioni di paia all’anno). Sono quantità che stridono con queste strade di montagna che franano, ghiacciano e obbligano a usare il clacson a ogni curva. Ma l’innovazione è figlia della tradizione. Da queste parti la storia dell’occhiale è lunga un secolo e larga ancor oggi 286 aziende e undicimila dipendenti. «Dopo anni di crisi che hanno falcidiato soprattutto i terzisti, nel 2014 siamo ripartiti grazie alla crescita esponenziale dell’export» assicura Lorraine Berton, presidente degli imprenditori dell’occhiale della provincia di Belluno. Prima lenti e montature erano solo in Cadore, poi hanno colonizzato l’Agordino, ora arrivano fino quasi in pianura. Negli anni Novanta Luxottica faceva ancora parte del distretto, e viveva di osmosi con il territorio. «Poi hanno preferito portare tutto in fabbrica» spiega il sindaco Da Roit. «Cosi i fornitori sono diventati dipendenti, e gli imprenditori si sono trasformati in quadri e dirigenti».
Sarà che nasce terzista, ma l’obiettivo di Del Vecchio è sempre stato quello di fare tutto da sé: cinquant’anni fa liquidava i soci con cui aveva iniziato l’avventura della fabbrichetta, ora ha licenze, impianti e negozi per progettare, produrre e vendere ottanta milioni di occhiali all’anno senza chiedere permesso a nessuno. Ma lo sanno gli americani che i loro Ray-Ban sono ormai un prodotto doc delle valli tra Agordo, Sedico e Cencenighe? Tanta potenza è talmente fuori scala che ha finito per risucchiare ogni energia della conca. «Se ti serve un idraulico devi cercarlo a Belluno» sorride Giuseppe Colferai. «Ma a dipendere da Luxottica non sono solo i lavoratori diretti: quando aumentano le ore di straordinario, qui lavorano di più anche le parrucchiere». Viene da chiedersi cosa succederebbe se mai il Gulliver dell’occhiale decidesse di lasciare la Lilliput dove è nato. Per il sindaco Da Roit la domanda è semplicemente irricevibile: «Dobbiamo promuovere l’agricoltura, rilanciare il turismo, sollecitare nuove imprese. Ma niente potrebbe sostituire l’impianto di Del Vecchio».
Luxottica è un’azienda extraterritoriale, un’oasi di crescita in un Paese in affanno. Ma in fondo siamo ad Agordo, Belluno, Italia. Torniamo quindi a Dell’Atti e lo sfidiamo a trovare un sintomo di crisi. Ci risponde che effettivamente per molti è difficile, perché «non tutte le famiglie hanno marito e moglie in Luxottica». Come sindacalista ha successo, come testimonial è una bomba. Quanto a noi, non ci resta che registrare lo strano miracolo di una multinazionale che produce in Cina e in Brasile, vende in 130 Paesi del mondo, è quotata a New York, ma non ha perso il senso delle proprie radici. Nel 2018 Luxottica sfornerà 100 milioni di occhiali: 45 saranno ancora fabbricati tra Veneto, Trentino e Piemonte. Alla faccia di chi è convinto che in Italia non si possa fare industria, e preferisce salvare l’azienda a suon di minacce, conflitti e cassa integrazione. Chiediamo a Luigi Francavilla se condivide lo stile di comando di Sergio Marchionne. Diventa ancora più laconico del solito: «Assolutamente no». Poi fa una lunga pausa. Si toglie gli occhiali, e ribadisce: «Assolutamente no».
Raffaele Oriani