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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

SINDACATO MON AMOUR

[Colloquio con Annamaria Furlan] –
Annamaria Furlan, da due mesi alla guida del secondo sindacato italiano, coltiva, dietro la mitezza dell’aspetto, convinzioni ostinate e il fiato lungo di chi sa aspettare per realizzarle. Arrivata al vertice della Cisl accompagnata da una plateale designazione di Raffaele Bonanni, che prima di dimettersi aveva detto «la mia amica Furlan andrà avanti sulla stessa linea», la nuova segretaria ha preso il testimone senza far finta di aprire nuovi corsi. Ha continuato quindi a cercare dialoghi con il governo e a opporsi allo scontro frontale proposto dalla Cgil. Ma Renzi è rimasto sordo a ogni seduzione e Susanna Camusso non ha fatto una piega. Allora Furlan ha deciso di far da sola e ha riempito i giorni che mancano allo sciopero generale con iniziative della Cisl: Leopolda sul lavoro a Firenze, manifestazioni a Napoli e a Milano, sciopero nazionale del pubblico impiego. Nella convinzione che sia questo l’unico modo per conservare l’autonomia e il ruolo di un sindacato che è la sua casa, il suo lavoro e la sua passione da più di trent’anni.
Furlan, di fatto lei ha rotto l’unità sindacale. Le pare una cosa da fare in questo momento?
«Io non ho rotto proprio niente. L’unità sindacale è di importanza strategica per il sindacato, ma deve essere fatta in modo serio».
Lo sciopero generale non è serio?
«Quando una organizzazione lancia da sola un’iniziativa di questa rilevanza e da sola si dà percorsi e obiettivi, non può pretendere che altri si accodino».
Insomma è offesa con la Cgil?
«La Cisl ha quattro milioni e mezzo di iscritti e sa come decidere. Lo sciopero generale è per noi lo strumento estremo. E poi non posso dimenticare che non è stato fatto per manovre di lacrime e sangue come la riforma Fornero. Due pesi e due misure non fanno il bene dei lavoratori».
Qui però c’è in ballo l’articolo 18, simbolo sindacale schiacciante.
«Quando la politica ha poco da dire apre l’arena e fa uscire i leoni, cioè l’articolo 18. Che comunque non si tocca. Noi proponiamo soltanto che sia sospeso per due o tre anni, finché non si vedrà se funzionano i contratti a tutele crescenti. Poi deve tornare, e per tutti, così com’è».
Sbaglio se penso che, come spesso è accaduto alla Cisl di Savino Pezzotta e di Bonanni, lei punti su un rapporto privilegiato con il governo?
«Guardi, rapporti con Renzi non c’è sindacalista che riesca ad averne, tranne Landini, naturalmente. Hanno preso tanti di quei caffè insieme, quei due, da finire per innervosirsi entrambi. Con tutti i governi, la Cisl si è sempre rapportata sul merito, non sul colore politico o sulle simpatie».
È un modo per dire che Renzi non le è simpatico?
«Ha dato una scossa benefica al sistema politico, ma ha il grande limite dell’autosufficienza: per lui la politica è confinata in se stesso. Ma come si fa a non capire che, in un momento tanto grave, c’è bisogno di un patto sociale con chi il lavoro lo rappresenta? Però io non demordo. Mi aiuta il fatto che non sono mai riuscita a concepire l’avversario come un nemico. L’ho capito fin dai miei primi passi pubblici».
Dove li ha fatti?
«In un quartiere industriale di Genova, Sestri Ponente, dove a 19 anni ero consigliere di circoscrizione per la Democrazia Cristiana. Noi eravamo in cinque, mentre il partito comunista aveva venticinque consiglieri. Fu una grande palestra di rapporti tra concezioni del mondo diverse».
Come arriva una ragazza degli anni Settanta a rappresentare la Dc?
«Fu una decisione presa a 17 anni. Mi era sembrata l’unica alternativa al Pci, che pure mi attirava, ma dove sarebbe stato più complicato mantenere la mia indipendenza di pensiero, bene prezioso a cui mi aveva allenato la mia famiglia».
In che modo?
«Essendo ciascuno semplicemente se stesso. Mio padre era socialista, mio nonno repubblicano, mia madre democristiana e c’era anche uno zio comunista. Si discuteva serenamente e spesso si riusciva persino a trovare una sintesi».
È andata a ricercare tutto ciò nelle correnti democristiane?
«Lei scherza ma è andata proprio così. Le correnti di allora rappresentavano davvero sensibilità diverse e ricche di contenuti. Ma anche il mondo esterno offriva opportunità di incontro. Mi avvicinai al sindacato attraverso la Flm, la Federazione dei lavoratori metalmeccanici, allora unitaria. Eravamo un gruppo di coetanei che seguiva le fabbriche in crisi, tutti ragazzi che da adulti ho ritrovato impegnati nel sindacato o nella politica. Uno di loro, che era iscritto alla Federazione giovanile comunista, è diventato quasi subito mio marito».
Quasi subito?
«Sì, avevo 21 anni ed ero rimasta incinta. Saltò ogni programma e nel giro di un anno, mi sposai, ebbi il mio piccolo Matteo, lasciai l’università e feci tre concorsi pubblici: al Ministero dei beni culturali, all’Intendenza di finanza e alle Poste. Li vinsi tutti e tre».
È noto che scelse il lavoro alle Poste, che pure non sembra il più affascinante.
«Era quello con un orario di lavoro che mi permetteva di essere moglie, madre, studentessa universitaria, attivista politica... Non me ne sono mai pentita. Le Poste sono diventate il mio mondo».
Anche se ci è stata poco. Le sue scarne biografie raccontano che divenne presto delegata sindacale.
«È così. Un giorno, forse dopo un paio d’anni, persi la pazienza durante un’assemblea di noi impiegati per il rinnovo contrattuale. Il fatto è che in quel periodo, uscendo dal lavoro, andavo a fare intervento politico alla fonderia di Moltedo che stava chiudendo e licenziava tutti gli operai. Il contrasto tra quel dramma e la nostra discussione, sia pure legittima, per un buon contratto, mi fece fare un discorso durissimo, senza sconti. “Bene”, mi dissero “se hai tanta voglia di fare, vieni nel sindacato”. Dopo poco ero sindacalista a tempo pieno e non me ne sono mai pentita».
Che cosa ha sacrificato a questa dedizione militante?
«Un po’ di vita domestica e un po’ di funzione materna, con tanti sensi di colpa. Ma per fortuna avevo una famigliona quasi tutta al femminile, mia madre e tante zie, donne straordinarie che hanno fatto un’amorosa supplenza. Oggi Matteo ha 35 anni e fa felicemente il dj».
Anche lei è felice di questo mestiere musicale di suo figlio?
«All’inizio non l’ho presa bene, poi ho accettato questa sua scelta. Penso che ognuno di noi, almeno quelli della mia generazione, sogni per i figli un posto fisso a tempo indeterminato. Ma in epoca di precariato, tanto vale fare i precari seguendo una passione».
Furlan, lei è stata una ragazza molto bella?
«Perché me lo chiede?».
Perché lo è ancora e perché così raccontano.
«Ero bellina, sì, ma quella stupenda era, ed è ancora, mia sorella Paola che ha sette anni meno di me e sembra una ragazza».
La bellezza aiuta in una carriera come la sua?
«Neanche un po’, non serve a niente. Però capisco la domanda con quello che sta accadendo all’immagine delle donne. Se la bellezza diventa un fattore vincente per affermarsi in politica, è un guaio. Paghiamo una pesante eredità al modo devastante di valutare le persone che si è affermato negli anni passati».
Qui si evoca Berlusconi.
«Già, è passato il messaggio devastante che per avere successo bisogna essere giovani, belli e ricchi. Così i padri, per non sembrare vecchi, si stirano la faccia e si riempiono di cerone, mentre i figli, per affermarsi, non hanno altra scelta che rottamare i padri. Fino a farlo diventare un messaggio politico».
Lei è stata democristiana e alla guida di un sindacato che una volta era chiamato bianco. Non può che essere cattolica.
«Lo sono e la Cisl ha molti principi in comune con la dottrina sociale della Chiesa. Ma questo non vuol dire che non sia un posto laico, dove ognuno è autonomo nelle credenze e nelle scelte politiche. Io sono ferma nella mia fede, ma discontinua come praticante, anche perché ho pochissimo tempo libero».
Come usa quel poco che ha?
«Lo dedico quasi tutto alla famiglia, ma appena possibile leggo di tutto, romanzi, gialli, saggi. Piuttosto che niente, leggerei l’etichetta di una bottiglia».
In questa sua vita in corsa, quali sono i suoi piaceri?
«La famiglia e, purtroppo, il fumo. Non faccio altro che fumare l’ultima sigaretta, ma poi ricomincio a fumare la prima, tanto buona quanto devastante».
È vero che nel 2007, prima che a Marta Vincenzi, avevano proposta a lei di fare il sindaco di Genova?
«Alcuni genovesi avrebbero voluto, altri no».
E lei?
«Io, come vede, sono rimasta nel sindacato».
Ma ora è al vertice. E da lassù le cose si vedono diversamente. Carniti, D’Antoni, Marini, Pezzotta, sono entrati tutti in qualche Parlamento. Su Bonanni si accettano scommesse. Lei, che se ne innamorò a 17 anni, esclude davvero un futuro in politica?
«Le rispondo “mai dire mai”, ma solo in modo scaramantico. No, non mi interessa. Tra quell’amore antico e una storia solida che dura da trentacinque anni, continuerò a scegliere il mio sindacato».

CRONOLOGIA –
1958 Annamaria Furlan nasce il 24 aprile a Genova da Ermanno, artigiano tappezziere, e Grazia Parodi, casalinga.
Ha una sorella, Paola, di sette anni più giovane, dirigente d’azienda.
1976 Dopo la licenza magistrale, frequenta un anno integrativo per potersi iscrivere a Legge, ma non arriverà alla laurea. È già una militante dc e con un gruppo di studenti, frequenta la Flm, la combattiva Federazione unitaria dei metalmeccanici.
1977 A 19 anni è consigliere di circoscrizione per la Dc a Sestri Ponente.
1979 Sposa Stefano, allora militante
della Federazione giovanile comunista,
poi impiegato in un’azienda di sicurezza navale. Nello stesso anno vince un concorso alle Poste di Genova e dà alla luce il figlio Matteo, che oggi fa il dj.
1981 Si iscrive al sindacato e dopo un anno è già delegata del Silulap, la categoria Cisl dei lavoratori postali, di cui diventerà presto segretario provinciale e poi regionale.
2000 È segretario della Cisl ligure
2002-2014 Entra nella segreteria confederale della Cisl quando alla sua guida c’è Pezzotta. Si occupa del settore terziario e servizi, che, oltre alle poste, comprende commercio, turismo, banche, assicurazioni, telecomunicazioni, spettacolo, editoria, trasporti e politiche agroalimentari.
2014 Il 24 giugno diventa segretario generale aggiunto. L’8 ottobre, su proposta del dimissionario Raffaele Bonanni, è eletta segretario generale con 194 voti su 200.