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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

SENTI COME PARLA RENZI

Tutto iniziò con “rottamare”, anno 2010, in vista della prima Leopolda: madre di tutto il lessico renziano. Poi sono arrivati gli infiniti altri lemmi di questa stagione politica: da quelli più elevati, tipo “coraggio”, “innovazione”, “cambiamento”; fino ai celebri “gufi e rosiconi”, gli epiteti dedicati agli avversari che non augurano il successo a lui e quindi (secondo lui) a tutto il Paese. Alcune espressioni sono già storia: come il “Fassina chi?” o lo “#staisereno” indirizzato a Enrico Letta pochi giorni prima del licenziamento. Ma il vocabolario del presidente del consiglio e dei suoi è in realtà più variopinto di quanto appaia sui giornali o nei tweet. E anche quello che segue ne è solo uno stralcio.

Asfaltare
Sono ancora pochissimi i dizionari che citano, come secondo e figurato significato di questo verbo, «sconfiggere in modo eclatante». Di sicuro la ricopertura metaforica di bitume piace molto al presidente del consiglio e al suo inner circle. Ultimo caso, il commento alle regionali: «Asfaltato chi non ha sostenuto il governo». Ma le dichiarazioni del premier con lo stesso termine sono infinite, con dedica vuoi alla minoranza Pd dopo una direzione, vuoi ai grillini dopo uno streaming, vuoi a Forza Italia dopo un turno locale. L’immaginario è probabilmente quello di “Grand Theft Auto”, la serie di videogame dove si stirano i passanti. Ma non per cattiveria, s’intende.

Bellezza e bontà
Si tratta di due tra i luoghi verbali più frequentati dalla retorica fin dai tempi di “kalos kai agathos”. La “bellezza” Renzi la infila quasi ovunque, anche nel titolo di un suo libro, la riforma dell’istruzione è la «buona scuola», alla Leopolda c’erano «belle persone», lo slogan per l’arrivo a Palazzo Chigi è la «volta buona», nella pubblica amministrazione lavora «molta bella gente» e Pina Picierno cita il rapper campano Rocco Hunt: «Nu juorno buono». Si tratta di locuzioni non nuove nella politica: il primo nucleo di Forza Italia si chiamava Associazione per il Buon governo e Veltroni iniziò la sua campagna per la segreteria Pd con il tour la Bella politica. Renzi, in fondo, non ha fatto che mettere insieme le due cose.

Chiacchiere
«Massimo rispetto per chi vuole chiacchierare, noi nel frattempo cambiamo l’Italia» (tweet di Renzi dopo le ultime regionali). «Noi facciamo, gli altri chiacchierano» (quattro anni fa, appena demolito il campo rom Olmatello di Firenze). È dunque un consolidato schema quello di presentarsi come uomo del fare contrapposto alla palude dei ciarlieri. E a Palazzo Chigi il premier ha a lungo evitato la Sala verde (quella delle trattative coi sindacati) indicandola come luogo dove «si chiacchiera e non si combina nulla». La buona fede non si mette mai in discussione, quindi se Renzi ce l’ha con i chiacchieroni è di certo perché così la pensa davvero. Resta tuttavia un dubbio: lui invece è convinto di essere un tipo laconico?

Disintermediare
Il mantra declamato della comunicazione renziana: rivolgersi direttamente alle persone, senza il filtro degli old media. Quindi Internet, Twitter e le dirette di #matteorisponde, perché si sa che «un gettone non entra nell’iPhone». Tutto molto duepuntozero. Se però poi uno va a vedere, scopre che il sito personale di Renzi è meno aggiornato di quello dell’Urss; che ogni tweet è studiato per fare titoli sui vecchi giornali; che a questi ci si affida per spiegare la propria visione della sinistra (lettera a “Repubblica”) o dell’economia (intervista al direttore del “Sole 24 Ore”); e che per parlare al target popolare ci si rivolge a “Oggi” e “Chi” o si va in tivù da Bruno Vespa. Si disintermedia, ma anche si ri-media, che così non si sbaglia.

Erasmus
Discorso di Renzi per l’avvio del semestre europeo: «Noi che siamo la generazione Erasmus, siamo chiamati a realizzare il sogno degli Stati d’Uniti d’Europa». Il riferimento - citato anche in molte altre occasioni, al limite del tormentone - è al programma che dal 1987 consente agli studenti di trascorrere un periodo di studio in un’università europea. Renzi, in verità, l’Erasmus non l’ha mai fatto; e nel suo attuale governo non l’ha fatto proprio nessuno: l’unico ministro che aveva usufruito del programma, Federica Mogherini, ha lasciato l’esecutivo per passare proprio alla Ue. Ma non importa: è narrazione in contrapposizione ai baby boomers, oggi più che cinquantenni. Inevitabile tuttavia la battuta di Spinoza.it: «Sono la generazione Erasmus. Quindi per sei mesi non faranno un cazzo».

Fermeranno
Nell’usatissima formula renziana «non mi fermeranno» l’aspetto centrale non è tanto la determinazione ad andare avanti, quanto la terza persona plurale senza soggetto di chi vorrebbe impedirglielo. Perché è grazie a questa assenza di soggetto che il lettore-elettore può immaginarsi chiunque: i poteri forti, i centri sociali, i sindacati, i costituzionalisti, i burocrati europei, i conservatori, D’Alema, Equitalia, gli ausiliari del traffico, Rosa e Olindo, l’Isis, Ebola etc. Perché questa vaghezza, questa indefinizione del nemico? Perché una volta c’erano la destra e la sinistra - idee contrapposte - e ci si divideva di conseguenza; adesso che si è tutto ingarbugliato, è rimasto solo l’«io» contro il «loro». Dunque: «Io vado avanti; e loro non mi fermeranno».
Gombloddo
La distorsione della parola “complotto” è usatissima nella polemica on line dei renziani, specie contro i grillini. Come ci si è arrivati? Fin dall’inizio, il consenso del M5S è stato alimentato dalla sfiducia diffusa in Internet nei confronti dell’informazione ufficiale; nei suoi casi più estremi, questa diffidenza è diventata cospirazionismo, con teorie talvolta al limite dell’assurdo: non solo Trilateral e Bilderberg, ma pure scie chimiche e microchip sottopelle. Ed ecco che oggi, nella quotidiana battaglia sui social, ogni volta che qualcuno accusa Renzi di scarsa trasparenza su qualcosa (ad esempio, il Patto del Nazareno o una delega al governo troppo vaga), la risposta a raffica dei renziani è “Gombloddo!”. Satira sull’avversario complottista, quindi, che consente di non argomentare sui contenuti. Mediaticamente, una cosa che sta a metà fra la truffa e il genio.

Hashtag
Renzi è capace di metterne quattro in un tweet. Insomma, parla per cancelletti. A parte i famosi #staisereno, #cambiaverso etc, si segnalano i notevoli #chenoia (sul rimpasto, ai tempi di Letta), #sorpresina (dedicato a Grillo, per preannunciargli la decisione di incontrare i suoi) e #ciao (nel 2012, per dire a Berlusconi che non avrebbe trattato con lui: poi le cose sono andate come si sa). Non mancano quelli autoironici (tipo il #stocercandodismettere dopo l’ammissione di una colazione a base di pizzette e cremini) e quelli popolari come il romanissimo #maddecche, per smentire presunti accordi sul deficit tra governo italiano e Ue.

Inglese
A Renzi nessuno potrà negare almeno un merito: aver sdoganato l’inglese realmente parlato da quel 90 per cento di italiani che, nei propri curricula, sostiene mentendo di essere “fluente”. Il premier ha un vocabolario ristretto, una pronuncia imbarazzante e una costruzione del periodo nostrana: ma la faccia di bronzo con cui si lancia nell’improvvisazione anglofona ne accresce le simpatie, proprio perché lo sentiamo simile alla maggioranza di noi mentre siamo in vacanza a Londra o approcciamo qualcuno sulla riviera romagnola. Il meccanismo di identificazione “in basso” è uguale a quello descritto da Umberto Eco a proposito di Mike Bongiorno, nella famosa “Fenomenologia”. Sicché quando qualcuno sui social ha cercato di sfottere Renzi per il suo inglese maccheronico, subito è scattata la reazione vincente: «Perché voi, invece, tutti con il perfetto accento di Oxford vero?».

Ladylike
A proposito di inglese, questa è la parola usata da Alessandra Moretti per descrivere se stessa e alcune colleghe particolarmente attente, pare, alla cura del corpo. La questione non è nuovissima: nel 2011 Ignazio La Russa sostenne che «le donne di sinistra sono brutte»; tre anni e mezzo dopo, arriva questa contro-rivendicazione. L’importante, comunque, è che resti chiara la differenza tra estetista e statista: un paio di vocali sbagliate e cambia il destino del Paese.

Mineo
Renzi ha trovato nell’ex mezzobusto Rai l’avversario perfetto. Tanto che per difendere la riforma del Senato, il premier non parla dei suoi contenuti ma attacca: «Non consegnerò l’Italia a Mineo». E, se questa è la scelta, è in effetti probabile che piuttosto di essere “consegnata a Mineo” l’Italia preferisca la riforma del Senato. L’ex giornalista reagisce dandogli del «bambino autistico». E così dimostra che quell’altro ci aveva visto benissimo nell’individuare in lui l’anello più debole tra gli avversari.

Non Alta
«La non alta affluenza alle urne è un dato secondario» è litote che sta a Renzi come «Abbiamo non vinto» stava a Bersani. Insomma, seggi vuoti ma alibi pieni. In passato lo stesso Renzi aveva attaccato il vecchio establishment del Pd per aver sottovalutato l’astensionismo. Ma tutto cambia e del resto Renzi è sempre stato un fautore del cambiamento.

Ottanta
Quando Renzi decise la mossa degli 80 euro si era pensato che quella soglia fosse il frutto di un accurato calcolo tra risorse e beneficiari. Poi però la stessa cifra è stata promessa anche a un po’ di neomamme. A quel punto è sorto il dubbio che avesse un significato numerologico: nella smorfia l’80 è la bocca, mentre nella cabala è l’astuzia. E il blogger Simplicissimus è andato oltre, notando che i posti di lavoro promessi da Padoan sono 800 mila, pertanto la vera questione è il numero 8 e «otto sono i simboli del buon auspicio nel buddismo tibetano, altrettanti sono gli immortali della mitologia cinese e l’ottavo giorno Dio annuncia l’eternità». Una lettura satirica, s’intende. Ma anche tra i renziani c’è chi, autoironicamente, il numero 80 ormai lo scrive con il marchio subito dopo: 80™.

Paolo il barista
Personaggio esistente davvero e di cui è cliente uno degli uomini dello staff comunicazione del premier, Francesco Nicodemo. A Paolo il barista, metafora del Paese reale e come tale contrapposto ai “soloni della politica”, ai “gufi” etc, vengono quindi attribuiti giudizi positivi sull’operato del leader, contrapposti a quelli dei suddetti gufi. Ad esempio, il parere senza fronzoli di Paolo il barista sulla legge elettorale «asfalta» l’ampolloso argomentare in merito degli anziani Rodotà e Zagrebelsky, che tra l’altro non fanno neanche un buon caffè. «Due a zero», direbbe Renzi.

Quiz
La partecipazione di Renzi alla “Ruota della Fortuna” (1994) e quella di Salvini a “Il Pranzo è servito” (1993) sono solo una curiosa coincidenza. Ma forse se la politica è diventata media, non è così strano che i telequiz abbiano preso il posto delle Frattocchie in termini di formazione. E comunque, ancor prima che Renzi arrivasse al governo, l’aveva già detto Carlo Conti: «Il sindaco di Firenze? Sarebbe perfetto per condurre “l’Eredità”».

Rispetto
Non può essere nascosto il fatto che anche il linguacciuto Renzi, quando è il momento di farsi serio, giura e stragiura di nutrire «rispetto» per tutti. Lo fa spessissimo e in ispecie verso quelli che più gli stanno sulle scatole: Landini, Cuperlo, Salvini, Bindi, l’Anm, i grillini, perfino Camusso. Poi ciascuno decida se e a quale Renzi credere: a quello in cravatta che “nutre rispetto” o a quello sgiacchettato che lancia battutacce pure ai suoi. Dottor Rispetto e Mister Dileggio.

Sorriso
«Un sorriso» è da sempre il congedo con cui Renzi conclude la sua newsletter per i simpatizzanti. «Un sorriso» è anche un frequente saluto riservato agli utenti delle conferenze virtuali “#Matteorisponde”. Ora è diventato anche il modo per reagire alle contestazioni: «A chi ci lancia le uova rispondiamo con un sorriso». Del resto “servire sorridendo” è un motto degli scout, i cui capi Renzi ha elogiato perché «sorridono anche nelle difficoltà». Per contro gli avversari, in quanto rosiconi, nel racconto renziano sono allergici alle espressioni di gioia. Anche la diade sorriso-rabbia non è inedita: nel 2011 Berlusconi argomentò che «i leader della sinistra sono sempre incazzati».

Tutti
“Il desiderio di essere come tutti”, di Francesco Piccolo, è il romanzo che ogni buon renziano metaforicamente sventola come nel ‘68 quelli di “Servire il Popolo” facevano con il libretto di Mao. Ridotto all’osso, il pensiero fondamentale è che se la sinistra si rinchiude nella sua purezza non cambia niente del mondo, quindi è di fatto conservatrice: pertanto bisogna sporcarsi le mani con la realtà, con la mediazione, con il possibile, con il finanziere Davide Serra, con il forzista Denis Verdini e con il salotto di Barbara D’Urso. Beninteso, il libro di Piccolo non cita nessuno di questi ultimi tre personaggi, ma con una lasca interpretazione ciascuno può poi abbassare l’asticella a piacimento.

Ubbidire
Qui il copyright spetta a Luigi Zanda, già dc e poi margheritino che ha trovato nel renzismo il suo ultimo approdo. Avendo preso un po’ troppo alla lettera lo stile del suo attuale capo, Zanda ha intimato al sindaco di Roma Ignazio Marino di «ubbidire» al partito in merito al rimpasto di assessori. Questo è uno di quei casi in cui tuttavia il tentativo di emulazione va oltre lo stesso premier: che preferisce imporsi in modo più indiretto (ad esempio, con la frecciata ironica tipo “Fassina chi?”) piuttosto che con il richiamo brutale all’obbedienza. Zanda quindi pare aver introiettato Renzi in modo eccessivo e impreciso, forse per via della fretta.

Violento
Ad aprile Renzi ha promesso «una lotta violenta contro la burocrazia». A settembre, in visita alla Silicon Valley, ha detto che all’Italia serve un «cambiamento violento», riferendosi ai freni che finora hanno impedito ai giovani di liberare la propria creatività. L’aggettivo “violento” va quindi contestualizzato; tuttavia era inedito sulla bocca di un presidente del consiglio. Più che indignarsi o strumentalizzare, si potrebbe ascoltare in merito la psicologa junghiana e blogger Barbara Collevecchio, secondo la quale per capire Renzi bisogna rileggere il Manifesto del Futurismo: «La poesia deve essere concepita come un assalto violento».

Zeppola
Il difetto di pronuncia è abbastanza lieve: solo Crozza lo enfatizza, per migliorarne l’imitazione. E Renzi di questo lo ha ringraziato, perché se a emergere come suo peggior difetto è una “esse” imperfetta, può governare altri vent’anni. Tra l’altro, il sigmatismo (così si chiama) è problemino che Renzi ha in comune con Vendola e Pisapia. Quindi almeno a livello linguale-palatale è stata finalmente raggiunta l’unità della sinistra. Parola che non a caso inizia proprio con quell’impronunciabile “esse”. Insomma, non è che non sono di sinistra: è che non riescono a dirla.