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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

BISOGNA LAVORARE 80 ANNI PER GUADAGNARE

QUANTO UN CRESO IN UN ANNO –
Nel bene e nel male la globalizzazione ha cambiato la nostra vita. Anche se le resistenze non mancano, stiamo tutti diventando cittadini del mondo: le frontiere sono sempre più permeabili; la circolazione dei beni e delle persone è diventata più facile; ciò che accade in un angolo del pianeta viene conosciuto, quasi in tempo reale, nell’angolo opposto. Il confronto fra redditi, ricchezze, stili di vita, opportunità di lavoro e di educazione, la diffusione delle malattie, gli insuccessi nella lotta alla povertà, per non dire di guerre e massacri, sono ovunque argomenti di dibattito quotidiano.
Per quanto riguarda la ripartizione del reddito si preferisce parlare di povertà e della necessità di combatterla, e non di disuguaglianza, perché la prima evoca sentimenti nobili mentre la seconda fa emergere privilegi difficili da tollerare e che si preferisce perciò nascondere. Sta però di fatto che la disuguaglianza fra africani ed europei, fra asiatici e americani, è una realtà incontestabile e viene spontaneo il desiderio di misurarla, anche se si tratta di un’operazione piuttosto complicata.
Il primo ostacolo sorge non appena ci si mette alla ricerca dei dati sui quali fondare le nostre stime. I Paesi sviluppati hanno da tempo strutture amministrative che raccolgono informazioni sulla popolazione, sui redditi, sui patrimoni, sulle famiglie, sulle loro spese ecc. La maggior parte dei Paesi arretrati può invece offrire solo dati sparsi, incompleti e per di più discontinui. Mettere insieme gli uni e gli altri è un’operazione arrischiata e i risultati devono essere letti con molta circospezione.
Secondo uno studioso acuto e prudente come Branko Milanovic, nel calcolo della disuguaglianza globale (riferita, cioè, a tutti gli abitanti del pianeta) non possiamo spingerci più indietro degli anni Ottanta del secolo scorso. Naturalmente non è impossibile risalire a tempi più lontani integrando i dati mancanti con ipotesi più o meno azzardate. Ci hanno provato François Bourguignon e Christian Morrisson in uno studio che abbraccia l’Otto e il Novecento, due secoli, per molti versi, cruciali. Secondo i loro calcoli nel 1820 la disuguaglianza globale misurata con il coefficiente di Gini era pari a 50, nel 1910 era cresciuta a 60, nel 1950 era appena più elevata raggiungendo quota 64 e nel 1992, l’ultimo anno preso in considerazione dai due studiosi, era aumentata due punti. Negli anni successivi l’indice si è avvicinato a 70.
Delle tre forme di disuguaglianza di cui abbiamo parlato, quella all’interno dei singoli Paesi, quella fra Stati e quella fra tutti i cittadini del mondo, quest’ultima è sempre stata più elevata delle altre. Che cosa significa questa constatazione per le persone in carne e ossa che vivono ai quattro angoli del pianeta? Ce lo ricorda molto efficacemente Branko Milanovic in una pagina di Chi ha e chi non ha: «Si prenda l’1 per cento più ricco, i circa 60 milioni di individui più ricchi del mondo. Quasi 50 milioni sono cittadini dell’Europa occidentale, del Nord America e dell’Oceania… Possiamo poi concentrarci sul decile più ricco e scoprire che la situazione non è molto diversa. Più del 70 per cento della popolazione mondiale che appartiene al decile più ricco proviene da Paesi ricchi occidentali, poi vengono i Paesi dell’Asia con una quota del 20 per cento, l’America Latina con meno del 5 per cento, e infine l’Europa orientale, l’ex Unione Sovietica e l’Africa con quote molto piccole». Se poi diamo uno sguardo ai poveri non tarda a emergere l’altra faccia della medaglia. «La situazione nel decile più povero», aggiunge Milanovic, «è molto diversa. Il 70 per cento degli individui è asiatico, un quarto africano e circa il cinque per cento latinoamericano».
Un esame della distribuzione del reddito a livello mondiale rende ancora più cruda l’immagine della disuguaglianza. Gli individui più poveri, che rappresentano il 77 per cento della popolazione mondiale, incassano soltanto il 20 per cento del prodotto. Appena sopra questa base sterminata sta il 12 per cento che riceve un ulteriore 20 per cento. Poi la piramide si assottiglia paurosamente. Il restante 60 per cento del reddito finisce nelle tasche dell’11 per cento e al vertice si collocano i più ricchi, l’1,75 per cento dell’umanità, che da soli si appropriano di un quinto del reddito mondiale. Si può fare anche un altro calcolo che, se possibile, rende ancora più cupa l’immagine della disuguaglianza: il 10 per cento dei più ricchi raccoglie il 56 per cento del reddito mentre il 10 per cento dei più poveri deve accontentarsi dello 0,7 per cento. Il rapporto fra gli uni e gli altri è di 80 a 1. Per guadagnare quel che un ricco guadagna in un anno, un povero dovrebbe lavorare 80 anni.

Ora è l’Occidente che arranca. Il calcolo della disuguaglianza nelle sue varie manifestazioni ha impegnato generazioni di studiosi con risultati che non sempre coincidono anche se vanno tutti, o quasi, nella stessa direzione. Del resto nel 2004 il premio Nobel per l’economia Robert Lucas aveva ammonito che fra «le tendenze più perniciose per la teoria economica, la più seducente e... allo stesso tempo la più letale è concentrarsi su questioni relative alla distribuzione». Per letale che sia questa tendenza, si tratta di un’operazione necessaria per farsi un’idea almeno approssimativa di quanto sia disuguale il mondo e, se possibile, per mettervi riparo. A meno di non credere, come molti ritengono, che il peggio sia ormai passato e che l’attuale trend risolverà da solo tutti i problemi. La cavalcata verso il benessere di India e Cina accorcerà rapidamente la distanza fra ricchi e poveri di un terzo dell’umanità. Poi verranno gli altri. Per esempio l’Africa che nell’ultimo decennio ha registrato un tasso di sviluppo che oscilla intorno al 5 per cento mentre l’Occidente arranca. Nulla può escludere questa tendenza, ma neppure nulla può assicurarla. E nonostante questa corsa che, in ogni caso, sta già affievolendosi, prima che i Paesi emergenti possano mettersi al pari con le nazioni più ricche passeranno ancora molti decenni.

10 - continua