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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

GIUSEPPE BOTTAI, PALADINO DELLA CULTURA

Caro Romano, in un incontro di Bookcity dedicato agli eroi che riportarono a casa i tesori d’arte di Milano, è stato evocato un suo prezioso libretto (L’arte in guerra) che fa capire perché l’arte possa essere amata, ma anche odiata, conquistata...
«Per le opere d’arte italiane va distinto il periodo pre e post-armistizio. Nel ’37 arrivò a Roma, per fare acquisti, Filippo d’Assia. La prima richiesta fu quella del Discobolo di Mirone, proprietà del principe Lancellotti, opera di alto interesse nazionale e quindi non esportabile. Nel ’38 Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri, scrisse a Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale, che il Discobolo, per interessamento di Hitler, doveva partire entro una settimana. Bottai cercò di limitare i danni con una legge sulla tutela del patrimonio culturale della Nazione. A rafforzarne la tutela, con una circolare vietò ogni esportazione, in guerra, di opere d’arte».
Tutto cambiò dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43.
«L’ipocrisia degli acquisti fu inutile e l’intero patrimonio artistico italiano nelle regioni occupate dai tedeschi fu affidato dalla Germania alla “cura” di un ente, il Kunstschutz, che provvide a svuotare musei e collezioni private per trasportarle in Germania, dove avrebbero corso, secondo i tedeschi, rischi minori. Ma non tutto, verosimilmente, se la Germania avesse vinto la guerra, sarebbe tornato al suo posto. Perciò è lodevole il Bottai che fa dare ricovero e salvezza ai nostri capolavori».
I nostri soprintendenti salvarono gran parte del patrimonio. Ma dopo 70 anni 1.652 opere razziate sono ancora prigioniere di guerra, parte in Germania e parte nei musei russi. Io le sto mostrando anche in foto sul web (Giannella Channel), traendo spunto da una lista dello 007 dell’arte Siviero.
«La recente scoperta della collezione Gurlitt a Monaco di Baviera, proveniente da confische a musei e a famiglie ebree, potrebbe dare qualche risposta a molti dubbi sulle opere “prigioniere”. La riluttanza dei russi a parlare dei pezzi in loro possesso fa parte di una sospettosa indole nazionale, ma forse anche per l’amministrazione sovietica non era facile catalogare il patrimonio disperso».
Una lettera del presidente Eisenhower agli ufficiali operanti in Italia delinea l’Italia come prima potenza culturale del pianeta...
«Non siamo mai stati potenza culturale nel senso compiuto e attivo della parola. Siamo stati piuttosto una potenza culturale passiva, amata, ammirata, visitata. Abbiamo accumulato un ricco patrimonio dal passato, ma non abbiamo mai fatto una incisiva politica culturale. Ci provò a suo modo proprio Bottai servendosi anche di collaboratori antifascisti. Era un nazionalista, convinto che la cultura fosse la prova dell’esistenza di una nazione italiana».