Roberto Giardina, ItaliaOggi 5/12/2014, 5 dicembre 2014
SEMESTRE ITALIANO, VOTO TEDESCO
da Berlino
Il semestre italiano alla guida d’Europa si avvia alla conclusione. Qual è il giudizio di Berlino su di noi? Null, zero, non in quanto voto, ma nel senso che non si trova la pur minima valutazione, lode o critica. Che sia un evento importante ogni volta che tocca a Roma prendere la leadership a Bruxelles, siamo solo noi a crederlo.
Prima dell’Italia era toccato alla Grecia, e neanche Renzi si preoccupò di dire se Atene avesse fatto male o bene. Dal primo gennaio passiamo il testimone alla Lettonia che a sua volta lo cederà al Lussemburgo. Per tutto il 2015, l’Ue sarà guidata, con tutto il rispetto, da due «nani» che non si sognano neanche di decidere i destini di quasi mezzo miliardo di europei, come aveva promesso, anzi minacciato, Matteo Renzi.
Adesso per i prossimi immancabili proclami epocali italiani dovremo aspettare 14 anni, se ne parlerà nel 2028, quando magari presidente del consiglio sarà Massimo D’Alema, o, niente è escluso, Silvio Berlusconi. In fondo, un semestre europeo fu discusso sulle prime pagine dei giornali, da Londra a Varsavia, proprio quando toccò al cavaliere nel 2003. Ma i giudizi furono catastrofici: esordì con la gaffe che aprì a Martin Schulz, oscuro deputato tedesco, una straordinaria e insperata carriera, offrendogli il ruolo di kapò in uno dei suoi film. E si concluse malamente con un fallimento.
A difesa di Renzi, va detto che ci tocca sempre il semestre meno felice, quello estivo: si apre a luglio, giusto in tempo per andare in vacanza, si torna al lavoro a settembre, e siamo subito a Natale. Possiamo sperare che prima del 2028 entri un nuovo membro per sparigliare, o tre, ma non due. Nella cronaca dei 180 giorni «azzurri», rimane il vertice di Milano sul lavoro, in cui non si concluse nulla, perché a nulla si poteva giungere. Un’inutile passerella.
Renzi si attribuisce il merito dei 315 miliardi di euro stanziati da Juncker per rilanciare l’economia dei paesi in difficoltà, come il nostro, ma lo sostiene solo lui. Rimane anche la zuffa con Juncker che, sotto accusa per i trucchi fiscali concessi dal suo Lussemburgo alle aziende europee (ma si sapeva da sempre), ha porto la mano a Matteo. Conoscendo il carattere di Jean-Claude, siamo sicuri che non dimenticherà e, prima o poi, si vendicherà.
Degli altri temi vitali sul tappeto l’Italia non si è voluta accorgere: Renzi si è ben guardato dall’assumere una posizione precisa sull’Ucraina, anche se le inutili sanzioni volute da Obama, danneggiano soprattutto l’Italia dopo la Germania. Ma i tedeschi vendono prodotti ad alta tecnologia, e i russi dovranno rivolgersi un domani sempre a loro. Mosca può invece sostituire facilmente i nostri prodotti agricoli, e rischiamo di perderla come cliente. Neanche una parola sullo scontro dell’Europa contro il gigante Google. Sull’accordo commerciale Ttip, che rischia di consegnare l’Europa agli Usa, e che altrove provoca accesi dibattiti, Renzi si è limitato a dire che «va bene». Sono tre punti che vedono l’Ue contrapposta a Washington, e Renzi è filoamericano a prescindere. Un altro motivo per cui in Europa si diffida di noi: si può essere dalla parte di Washington ma si dovrebbe anche spiegare il perché.
Non abbiamo dimenticato la Mogherini, che siamo riusciti a catapultare alla carica di Mistress Pesc, cioè di ministro degli esteri della Ue. In realtà ciò non ha nulla a che vedere con il nostro semestre. E avremmo fatto meglio a pretendere una commissione più utile ai nostri interessi, l’energia, il bilancio, l’agricoltura. Comunque, la signora ha esordito con una gaffe, equivocando sulla sua carica: in tedesco le viene attribuito un Sonderolle, un ruolo particolare, e lei si è affrettata a dichiarare che dunque era il numero due dopo Juncker. Le hanno spiegato che «particolare» vuol dire che non conta, non partecipa alle discussioni importanti. E nessuno si impiccia del suo lavoro perché la politica estera comune semplicemente non esiste.
Le Sonderschule, tanto per fare un esempio, sono le scuole particolari a cui vengono dirottati gli allievi meno dotati. Però al suo esordio, ai primi di novembre, ha segnato un punto al suo attivo: i tedeschi l’hanno lodata perché ha dichiarato che non si deve interrompere il dialogo con Putin. In meno di un mese ha fatto già di più di Lady Ashton, di cui ha preso il posto, che durante il suo mandato non fece assolutamente nulla.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 5/12/2014