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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

MA COS’ALTRO DEVE ASPETTARE SUPER MARIO PER IMBRACCIARE IL BAZOOKA?

Non ci siamo ancora. Nella conferenza-stampa, svoltasi ieri dopo la riunione del consiglio direttivo della Bce che ha lasciato invariati i tassi ufficiali di riferimento, Mario Draghi ha comunicato l’abbassamento delle previsioni di crescita nell’area, che si è dunque ulteriormente indebolita, e il taglio delle stime dell’inflazione (0,5% per il 2014 in luogo dello 0,6; 0,7%per il 2015 al posto dell’1,1 e 1,3 contro 1,4% nel 2016), ha rilevato che per il calo dei prezzi del petrolio l’inflazione può scendere ulteriormente, ha poi precisato che il credit easing varato con provvedimenti tra giugno e settembre scorsi era calibrato su di una situazione più favorevole dell’attuale, ma, con un evidente non sequitur, non è derivato da queste valutazioni alcuna decisione, se non il solito monito secondo il quale la Bce non tollererà prolungate deviazioni dalla stabilità dei prezzi, dati, appunto, gli immanenti rischi di deflazione. Ma dopo le stime riportate, e la loro proiezione fino al 2016, che deve accadere in più perché si possa parlare della «prolungata deviazione» di cui si è detto? Bisogna restare in fiduciosa attesa del nuovo calo dei prezzi del petrolio il cui abbassamento equivale, come lo stesso Draghi ha detto, a un rialzo dei tassi?
Sia chiaro: avevamo anche scritto che era improbabile l’annuncio, ieri, di un quantitative easing di titoli pubblici, innanzitutto, e di titoli privati. Ma, nel contempo, non era infondata l’attesa che fosse detta da Draghi una parola in più che illuminasse sulla prossimità di una tale decisione e non ripetesse stancamente la logora formula del possibile ricorso a misure non convenzionali se la situazione si aggraverà, ribadita inutilmente per il quinto mese.
È vero che il presidente ha specificato che per un massiccio acquisto di titoli pubblici non è necessaria l’unanimità dei componenti il Consiglio direttivo (come spesso abbiamo ricordato su queste colonne); ma, poiché la precisazione è del tutto ovvia, bisogna inferirne che con essa egli abbia voluto dire qualcosa in più di un semplice richiamo delle norme vigenti. Così come ha fatto rispondendo a una domanda per confermare che l’acquisto di titoli pubblici rientra pienamente nel mandato assegnato alla Banca. Tuttavia, ieri era l’occasione per spingersi oltre sulla strada delle ulteriori misure straordinarie, pur senza deliberarne l’immediato varo. E, invece, si è data una nuova dimostrazione di «annuncite», con un passo ulteriore nel logoramento di questa forma di comunicazione, nella convinzione che dobbiamo nutrire che certamente non si è preordinato il tutto - con i conseguenti impatti registrati sul cambio e sulla Borsa - per somministrare una programmata doccia fredda, anche perché si è detto e ripetuto che non bisogna sorprendere il mercato e che è fondamentale la forward guidance.
In ogni caso, i riflessi non sono stati di certo favorevoli. Siamo, adesso, arrivati al punto che la giaculatoria della pronta disponibilità di provvedimenti non convenzionali può suscitare una reazione di rigetto a causa della sua inoperosa ripetitività, con la conseguenza di rendere la Bce non più padrona della comunicazione - che ora è diventata uno strumento importante della politica monetaria - ma destinataria di contraccolpi non certo favorevoli.
Ci sarebbe bisogno di riflettere molto attentamente sulla situazione che si sta determinando, mentre l’espansione del bilancio dell’Istituto al livello del 2012, con 1.000 miliardi aggiuntivi, resta un’altra delle specificazioni solo reiteratamente annunciate. La prima riunione del prossimo anno dedicata alla politica monetaria non potrà, a questo punto, registrare ancora annunci, perché diversamente, si scivolerebbe nel grottesco. Quanto, poi, alle altre considerazioni di Draghi, era lecito attendersi qualche valutazione più approfondita del piano Juncker, nei confronti del quale egli ha dato un giudizio positivo «anche perché è l’unica cosa che c’è»: insomma, si potrebbe osservare, una frase evocativa del detto «o mangi questa minestra o_.» non certo appropriata in bocca al presidente della Bce e dimostrativa, pure essa, di una situazione ancora di incertezza, che è sperabile sia rapidamente e definitivamente superata, a meno che non esistano problemi più rilevanti che però non possono essere rinviati alle dietrologie e alle spesso fallaci intuizioni, come quella che si è letta su di un quotidiano romano, secondo la quale per evitare che le eventuali perdite sui titoli pubblici che venissero acquistati ricadano sugli Stati partecipanti alla Bce, in specie sul maggiore azionista, la Germania, si stabilirebbe che tali perdite debbano far carico esclusivo alle Banche centrali, come se queste poi non ne risentissero nella distribuzione degli utili ai Tesori.
C’è bisogno, invece, di trasparenza somma, requisito richiesto per l’accountability, che è uno dei fattori di legittimazione di una Banca centrale. Soprattutto perché, nel nostro caso, combattere la deflazione, che è un dato ormai sostanziale, è un dovere inderogabile per la Bce, al quale ora rischia di venire palesemente meno.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 5/12/2014