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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

ERO LETTIANO. ORA SONO RENZISTA

[Intervista a Enrico Carraro] –
Non è un gran momento per gli affari: c’è una contrazione di fatturati dovuta alle difficoltà dei mercati agricoli, negli Usa e nel Far East e alla Carraro Group di Padova, uno dei leader mondiali nella produzione di sistemi di trasmissione di potenza, destinati a macchine movimento terra ed anche a trattori, la cosa si fa sentire.
Enrico Carraro, che quel gruppo da 872 milioni lo presiede, padovano, classe 1962, però non si nega a un’intervista. I Carraro sono d’altra parte industriali con una sensibilità sociale spiccata: non si tirano indietro quando c’è da dire loro, non si nascondono. Il padre Mario Carraro, alla fine degli anni ’90, mise in piedi anche un’aggregazione pre-politica con Massimo Cacciari, il «Movimento del Nord-Est», per una sorta di federalismo progressista. E Carraro junior è attualmente vicepresidente di Confindustria veneto.
Domanda. Carraro come sta andando il suo gruppo, in questa crisi?
Risposta. C’è stato un raccolto ricchissimo di cereali negli Usa, che ha fatto cadere i prezzi. E noi ne risentiamo, fatalmente. Semmai qualcosa si muove nelle macchine da costruizione.
D. Vale a dire?
R. Rientro da Shanghai, dove c’è stata una fiera importantissima. E lì ho trovato aria più salubre, economicamene. Pare che il fondo della crisi sia stato toccato e che si riparta. E così negli Stati Uniti. Resta invece depresso il settore minerario, che è un altro nostro importante mercato.
D. Veniamo al suo Veneto. La crisi morde ancora...
R. Ne parlavo in questi giorni con alcuni colleghi industriali. Ci stiamo accorgendo come il «piccolo è bello» non regga più. Una volta esportare voleva dire, al più, vendere in Germania e in Austria. Non è più sufficiente.
D. E allora?
R. E allora qualcuno sta capendo, fra le nuove generazioni. Vedo le prime aggregazioni di filiera per aggredire nuovi mercati. Restando piccoli e soli non è possibile.
D. Errori di cultura di impresa, fra voi industriali, ne sono stati fatti?
R. C’è stato un tipo di impresa che non ha voluto innovare. Ora non ci si può più permettere, a qualsiasi livello.
D. Giorni fa, parlavo con Marina Salamon, che è di queste parti. E pur riconoscendo l’oggettività della crisi, diceva che c’è un pessimismo quasi più pericoloso dei dati economici. Che spinge imprenditori alla rinuncia, a cercare il concordato coi creditori e a mollare.
R. È purtroppo vero. E credo che questa crisi poterà a una selezione vera di imprese e imprenditori. Rimarrà qualche vittima per strada, temo.
D. Forse s’è trovato a fare impresa chi non era all’altezza: un tempo, quando la locomotiva del Nord-Est tirava, era facile attaccarci il proprio vangoncino...
R. Alcuni non vogliono sentirlo dire ma è così: negli anni 90, con la svalutazione della lira, tutto era più facile. Avevi strade aperte, non ti dovevi battere sull’innovazione e con la qualità ma vincevi col prezzo basso. Ci siamo viziati.
D. Poi è arrivato l’euro...
R. Sì ma l’unificazione della moneta ci ha dato valore, ci ha messo al pari della Germania, ma ha significato dover invertire: competere sulla qualità del prodotto, non più sul prezzo. Alcuni non l’hanno capito. E poi la crisi, dal 2008, ha fatto il resto.
D. Lei è un imprenditore che non s’è mai tirato indietro sulla politica. A volte, su Twitter, l’ho letta dire la sua, senza troppi infingimenti. Parliamo di Matteo Renzi, allora.
R. L’impatto psicologico sul settore imprenditoriale è stato notevole. L’ho visto quando venne in Veneto, in giugno. Lei c’era?
R. No, non c’ero.
D. Beh, fu bravissimo, mamma mia! Non avevo mai visto, fra i miei colleghi, tanto entusiasmo.
D. Il Jobs Act, tanto criticato, servirà?
R. Non si esce dalla crisi con un provvedimento del genere però, quando l’economia ripartirà sarà importante avere queste norme già pronte. Se vuole la Germania ha avuto, in materia di lavoro, un sistema anche più rigido e costoso del nostro ed è ripartita. Quando ripartiremo noi, saremo anche più avvantaggiati.
D. E cosa serve ancora?
R. Tutte quelle cose che, a furia di ripeterle, rischiano di diventare banali: dalla semplificazione amministrativa alla certezza del diritto.
D. La giustizia civile è un problema?
R. Me lo dicono i miei clienti che fanno affari, o vorrebbero farne, in Italia. Voglion sapere se, in caso di lite, ci vogliono uno o due anni per aver ragione. Non attendere all’infinito.
D. Cosa le piace dell’azione politica di Renzi?
R. Che ha cambiato qualcosa verso gli industriali. Ed è stato liberatorio.
D. Beh, ha detto che siete degli eroi, guadagnandosi la reazione stizzita di Susanna Camusso.
R. Non siamo degli eroi o, se lo siamo, lo sono anche i nostri operai. Ma c’era bisogno di una stima diversa da parte della politica. E guardi, io non ero proprio un renziano.
D. Nel senso?
R. Ammiravo molto Enrico Letta, persona per bene, molto efficace. Ma Renzi è un’altra cosa. Non ero a Brescia, ai primi di novembre, ma molti colleghi sono tornati colpiti. E comunque sta ricostruendo la nostra immagine all’Estero, che era abbastanza decaduta.
D. A proposito di Estero, che ne pensa del suo governatore, Luca Zaia, che vuole trattare con la Russia la fine dell’embargo che colpisce particolarmente l’agricoltura veneta?
R. È piccola l’Italia, figuriamoci il Veneto. Questo cose vanno trattate a livello europeo.
D. Non le piace Zaia?
R. È stato un buon presidente. Però rischia di favorire false illusioni: non può fare assolutamente niente. Forse, anziché andare da Vladimir Putin, poteva andare a Bruxelles.
D. Lei, in un tweet, in settembre, scrisse che gli Scozzesi a restare con Londra, nel referendum sull’indipendenza, avevano avuto giudizio.
R. A me piace il federalismo, quello tedesco per esempio, ma quando si parla di indipendentismo, mi spiace, ma sono italiano: sono provocazioni che illudono qualcuno forse.
D. Dicono che Zaia avrà partita facile contro la piddina Alessandra Moretti.
R. Non credo, sa? Penso che, per Zaia, non sarà un’avversaria facile, soprattutto se saprà incarnare lo spirito di rinnovamento di Renzi, se saprà cioè giocare l’effetto Renzi nella consultazione. Io penso proprio che sarà un confronto ad armi pari.
D. Da queste parti c’è anche Flavio Tosi, che coltiva una visione della Lega molto diversa da quella di Matteo Salvini, e cioè moderata ma non populista. Lo ha conosciuto?
R. Sì, una persona perbene, con idee moderate. Ma per la verità tutti i leghisti lo sono, ma magari hanno come due chiavi di linguaggio: quello del privato e quello del comizio. In Tosi non si distinguono: lui è così.
D. E, per tornare a Renzi, pensa anche lei che sarà la crisi economica, più che gli avversari politici, a farlo fuori? Dicono che gli 80 euro non han funzionato...
R. Un momento. Sugli 80 euro manca la controprova: non sappiamo cosa sarebbe successo se non ci fossero stati. Magari i consumi sarebbero peggiorati.
D. Lei che idea s’è fatto?
R. Che la gente li ha abbia messi a musina, come si dice da queste parti, cioè nel salvadanaio. E magari, fra un po’, quando gli Italiani si rassicureranno, quei danari entreranno nel circuito economico. Abbiamo tutti bisogno di stabilità.
D. E Renzi la darà?
R. Sì e io spero che possa restare il più a lungo possibile.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 5/12/2014