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 2014  dicembre 04 Giovedì calendario

I SOLDATI DELLA RETE

Qualcuno lo aveva dato per morto sotto i raid aerei americani, altri dicevano che era stato solo ferito. Per fugare i dubbi, Abu Bakr al Baghdadi, leader dell’Isis e uomo più ricercato al mondo, alcuni giorni fa aveva affidato al web un nuovo messaggio terroristico con tanto di bandiera nera alle spalle e tono minaccioso. Chissà come deve essersi infuriato quando ha scoperto di essere stato vittima di un attacco hacker. Il suo video, infatti, è stato rimosso e sostituito, dopo pochi minuti su tutti i siti che lo propagavano, da una canzoncina che lo sbeffeggiava e una scritta in arabo che inneggiava a ribellarsi al califfo del terrore. L’azione è stata rivendicata da un sedicente gruppo di attivisti che si fa chiamare Egyptian cyber army, ossia ciberesercito egiziano. Non è chiaro, però, chi ci sia veramente dietro, spiega il New York Times, alludendo a un possibile «aiutino» esterno da parte di una superpotenza (Stati Uniti e Gran Bretagna ai primi posti).
Ma la risposta non si è fatta attendere. Venerdì 28 novembre il Syrian electronic army (ciberesercito siriano) ha attaccato moltissime testate giornalistiche mondiali, dai britannici Guardian, Independent e Telegraph all’americano Forbes passando per network tv come Nbc e Al Jazeera per finire con Repubblica. Milioni di persone che hanno cliccato questi siti di informazione, per alcune ore, sono state reindirizzate su pagine di propaganda su cui sventolava minacciosa la bandiera nera dell’Isis.
Sono solo due esempi, in ordine cronologico, di come i conflitti, ai tempi di internet, stiano cambiando, almeno in parte, campo di battaglia. «Quella che da molti è definita “un nuovo tipo di guerra”, in realtà ha molto in comune con le operazioni di combattimento tradizionali, il computer è solo un’altra arma in più nell’arsenale» spiega il politologo americano Peter W. Singer nel saggio appena pubblicato negli Stati Uniti Cybersecurity and Cyberwar: What Everyone Needs to Know, ossia: Tutto quello che dobbiamo sapere sulla cibersicurezza e la ciberguerra. Per meglio spiegare la sua tesi Singer, in un articolo riportato dalla rivista americana Popular Science, cita come esempio un fatto realmente accaduto che pochi conoscono.
Nel 2006 un alto funzionario siriano in visita a Londra lasciò per alcune ore il suo computer portatile incustodito in albergo. In sua assenza, agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, installarono una microspia software nella memoria del computer, per intercettare e carpire tutte le informazioni in transito. Tra le foto carpite c’era un’immagine che ritraeva un uomo asiatico in tuta blu in mezzo al deserto accanto a un uomo arabo. Grazie a riconoscimenti facciali digitali, gli uomini del Mossad hanno identificato i due personaggi in questione: uno era Chon Chibu, leader del programma nucleare della Corea del Nord, l’altro Ibrahim Othman, direttore della Atomic energy commission siriana. Queste informazioni abbinate ad alcuni progetti intercettati hanno portato le spie del Mossad a ritenere che i siriani stessero costruendo un impianto in località Al Kibar per elaborare il plutonio, un passo fondamentale per la costruzione di una bomba nucleare.
Forti di questa intelligence digitale gli israeliani hanno messo in piedi l’operazione Orchard e inviato sette aerei a bombardare la centrale segreta in questione. «Quella notte la rete di difesa aerea siriana non ha mai sparato un colpo» spiega Singer «perché hacker israeliani hanno violato i sistemi radar siriani proiettando sugli schermi nemici immagini fasulle». Un po’ come si vede nei film durante le rapine in banca messe a segno da tecnoladri che ingannano le guardie con immagini false immesse nelle telecamere a circuito chiuso dei sistemi di allarme.
In pratica le difese aeree siriane sono rimaste spente per tutta la notte.
Una minaccia, quella informatica, che sta creando cambiamenti anche all’interno delle forze armate di tutti i paesi. Che si organizzano reclutando i migliori hacker e ingegneri del software mondiali. Basti pensare che nel complesso di Fort Meade nel Maryland, sede del Cybercommand e della National security agency americana, ci sono più dipendenti che al Pentagono.
In Cina, a Shanghai, c’è la sede dell’agenzia rivale chiamata Unità 61398. Ma in pratica ogni paese sta arruolando un ciberesercito per combattere su questo nuovo fronte. Anche l’Italia si è adeguata alle nuove minacce. A gennaio è diventato operativo il «Piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica» (Gazzetta ufficiale n. 41 del 19 febbraio 2014) è ed è stato creato il Nucleo per la sicurezza cibernetica (Ncs) istituito nell’ambito dell’Ufficio del consigliere militare del presidente del Consiglio. Mossa che si è resa necessaria da quando la Ue ha chiesto a tutti i paesi membri di istituire un Computer emergency responso team (Cert) in grado di reagire tempestivamente ad eventuali attacchi informatici.
Secondo Singer il compito di questi soldati armati di computer e mouse, a ogni latitudine, è sempre lo stesso: addestrarsi a distruggere, negare, degradare, interrompere l’erogazione di servizi pubblici vitali. Alcuni esempi: mandare in tilt centrali nucleari, lasciare al buio intere città, bloccare le comunicazioni, interrompere l’erogazione dell’acqua. Allo stesso tempo, il loro obiettivo è anche quello di difenderci dai medesimi attacchi.
«La ciberminaccia più pericolosa è quella che, tramite il sabotaggio delle comunicazioni via internet, mina la fiducia tra i reparti» spiega Singer. Inserirsi nei canali di trasmissione degli ordini può creare lo scompiglio. Forze ucraine in Crimea sono state «isolate» elettronicamente dall’intelligence russa. Incerti sul da farsi, si sono arresi senza combattere. Le comunicazioni militari si basano sulla fiducia. Corrompendo questo legame, un hacker compromette non solo le reti di computer, ma anche la fede di chi si affida a loro.
Durante una esercitazione nel 2010, un errore del software mandò in tilt il sistema gps americano: 10 mila militari rimasero «al buio», privi di coordinate. Camion, aerei da combattimento, droni e navi della marina non riuscivano più a muoversi.
Secondo quanto riporta il mensile Popular Science, ingegneri dell’Università del Texas, su richiesta del Dipartimento per la sicurezza nazionale americano, hanno provato a manomettere a distanza un drone militare in volo e ci sono riusciti. Fatto che ha dato lo spunto per la trama della nona stagione della serie tv 24: Live Another Day con Kiefer Sutherland. Per ora è solo una fiction, sperando non dia l’idea a pericolosi malintenzionati. Nel film, infatti, terroristi usano droni americani per bombardare Londra.
Fino a oggi, nessuno è mai stato in grado di obbligare un pilota a sganciare bombe contro i propri compagni, ma se gli hacker riusciranno a compromettere sistemi d’arma robotici potrebbero far cambiare fronte ai droni e trasformarli in pericolosi nemici.
Sulla linea di tiro non ci sono però solo paesi e istituzioni, ma anche tutto il popolo dei cyber naviganti. Il Financial Times ha rivelato l’esistenza di un nuovo software spia così abile nel celarsi che pare si stia propagando in rete da oltre sei anni e abbia infettato milioni di computer. Si chiama Regin e può catturare le schermate o registrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera dei computer. Inoltre, è in grado di intercettare tutto il traffico internet, rubare le password utilizzate, accedere a qualsiasi file memorizzato sul disco e addirittura recuperare i dati che sono stati precedentemente cancellati dall’hard disk.
La cosa sconcertante è che questo software spia, secondo quanto riporta il Financial Times, è così complesso e ben fatto che solo un esercito di ingegneri può averlo partorito. Tra gli indiziati? Stati Uniti, Cina e Russia. Internet ha cambiato il suo dna originario. Si è evoluta. Nata per sopravvivere alle guerre nucleari, si è trasformata in uno strumento di distruzione di massa.