Cesare Alemanni, Rivistastudio.com 4/12/2014, 4 dicembre 2014
LA PRIMA VITA DI ANGELA K
La sera del 9 novembre 1989, mentre migliaia di berlinesi si riversano in strada per festeggiare l’ultima notte del Muro, Angela si trova in una piscina di Berlino Est con un’amica. Neppure la fine della repubblica in cui è cresciuta la allontana da una delle sue abitudini settimanali: la sauna del giovedì. Angela ha 35 anni, un assegno di ricerca in chimica quantistica e un divorzio alle spalle. L’unica traccia che rimane di quell’unione, finita male, con un collega del dipartimento di fisica è il cognome con cui prima la Germania e poi il mondo la conosceranno qualche tempo dopo. Il cognome è Merkel.
La sera del 9 novembre 1989, finita la sauna, Angela va a dare un’occhiata a quello che sta succedendo. Attraversa le barriere al checkpoint di Bornholmer Strasse ma, a differenza di molti altri Ossi, non fa l’alba per dare un’occhiata ai favoleggiati templi del consumismo di Kurfurstendamm, il cuore dello shopping di Berlino Ovest. Inverte semmai la rotta e torna rapidamente al suo appartamento di Prenzlauer Berg. La mattina seguente deve svegliarsi presto per essere al lavoro. Se davvero, come dirà più tardi, ha aspettato questo giorno – la fine della Ddr, la fine delle libertà a metà, dei rituali collettivi programmati – per più di metà della sua prima vita, quella sera non lo dimostra.
Ed eppure, senza quell’evento che Angela sceglie di non festeggiare, la sua seconda vita non comincerebbe neppure. E invece comincia. Comincia, appena un mese dopo, bussando alla porta di un ufficio di Demokratischer Aufbruch – una nuova formazione politica nata tra le ceneri dell’Est – e chiedendo se può dare una mano in qualche modo. È il passo iniziale di una carriera che nel giro di pochi mesi la porta prima a diventare portavoce del gruppo e poi portavoce di Lothar de Maizière, unico e ultimo premier eletto democraticamente nella Ddr. E poi, dopo nemmeno un anno, ministro delle donne e della gioventù (più o meno l’equivalente del nostro “pari opportunità”). E poi a entrare nelle fila della Cdu. E poi a divenire la protetta di Helmut Kohl che la chiama «Das Mädchen», la ragazza. E poi a divenire la rottamatrice di Kohl. E poi. E poi. E poi un’ascesa così rapida da fare pensare alla predestinazione.
Tuttavia, come racconta George Packer in un lungo ritratto della Cancelliera uscito la scorsa settimana sul New Yorker, se le ragioni che spingono la trentacinquenne Angela Merkel – la ricercatrice di chimica che fino a quel momento co-firma studi dal titolo “Proprietà vibrazionali dell’idrossilo superficiale” – a bussare alle porte di un partito politico sono avvolte nelle nebbie di una personalità schiva, ancora meno da predestinata sembrano gli esordi della sua esistenza. Della sua prima esistenza, quella trascorsa nella DDR.
Angela Merkel nasce Angela Dorothea Kasner, il 17 luglio 1954 ad Amburgo, Germania Ovest. È la prima di tre figli. La madre Herlind Jentzsch è un’insegnante d’inglese e latino di 26 anni. Il padre Horst Kasner è un pastore luterano di 28 che, poche settimane dopo la nascita della primogenita, decide di trasferire l’intera famiglia a Est, in controtendenza con le migliaia di tedeschi che in quei mesi migrano in senso opposto. Le ragioni di Horst sono in parte ideologiche e in parte motivate da un calcolo carrieristico. A Est intravede la possibilità di occupare posizioni più prominenti in seno alla Chiesa Luterana. La famiglia Kasner finisce così con lo stabilirsi ai bordi della cittadina di Templin: una macchia di abitazioni tra le foreste del Brandeburgo, settanta chilometri a nord di Berlino. Non il posto più ridente del pianeta. Specie perché i Kasner vengono sistemati in un seminario a Waldhof, un isolato di vecchi edifici di proprietà della Chiesa Luterana in maggioranza abitati da disabili fisici e mentali che vivono di piccoli commerci, curano qualche orto e, negli anni della Ddr, convivono anche in sessanta in un singolo appartamento.
E tuttavia i Kasner, in fondo, possono considerarsi dei privilegiati. Nonostante i paraggi non siano dei migliori, in qualità di Pastore Horst può assicurare alla sua famiglia un tenore di vita più elevato di quello di molte altre famiglie della Ddr. L’appartamento in seminario è spazioso, almeno così lo ricorda Angela, e la famiglia può concedersi il lusso di possedere due macchine: l’immancabile Trabant e una Wartburg che, a fianco alla Trabant, fa la figura della fuoriserie.
Angela Dorothea è una bambina goffa che a cinque anni fatica ancora a stare in equilibrio quando cammina in discesa. È lei la prima ad ammetterlo: «Quello che una persona normale è in grado di fare automaticamente io ho dovuto prima apprenderlo mentalmente e poi metterlo in pratica attraverso un estenuante esercizio». È anche una bambina, e poi una ragazzina, e poi una giovane donna schiva e introversa. Non ama farsi notare. Mai un vestito sgargiante, mai un trucco, mai un taglio di capelli più ricercato della classica ciotola. A scuola un compagno la inserisce, poco amichevolmente, nel “Club di quelli che non sono mai stati baciati”. Se Angela ne soffre non lo dà a vedere. Sa di avere altre qualità: intelligenza, costanza e determinazione. A 13 anni viene reclutata nel Club di russo per competere alle Olimpiadi di lingua della Germania Est. Le vince per tre volte di fila e per questo è oggi l’unica leader occidentale che può rivolgersi a Putin nella sua lingua madre. Le vittorie dell’allieva Kasner sono materia di vanto per la sua insegnante ma Angela impara ben presto che, per come funziona la DDR, primeggiare non basta. A sedici anni, a una riunione della sezione locale del Partito, il suo terzo successo consecutivo viene ridimensionato con sprezzo dai supervisori all’istruzione: «Quando vincerà il figlio di un contadino o di un operaio, quello significherà davvero qualcosa».
È anche così che Angela scopre che il modo migliore per vivere, o anche solo sopravvivere, nella Ddr è non dando nell’occhio. Si adegua, le difficoltà la induriscono. Vive una vita sottotraccia, studia: prima fisica a Lipsia e poi il dottorato a Berlino. E se prova dei sentimenti contrastanti rispetto alla situazione politica in cui si trova non li esprime mai pubblicamente, non fa mai rumore. Anzi decide di utilizzare le prassi cervellotiche della Ddr a suo vantaggio. Si iscrive per esempio alla Freie Deutsche Jugend, fino a ricoprire il ruolo di responsabile locale delle attività di reclutamento e propaganda. Una mossa che più tardi definirà «opportunista al 70%» e che viene ripagata qualche anno dopo. Molto probabilmente è proprio grazie al suo coinvolgimento nella Fdj che Angela ottiene accesso al dottorato berlinese che le interessa.
Nel 1991, al fotografo Herlinde Koebl che la fotografa ogni anno da allora, dichiara: «Non ho mai sentito la Ddr come la mia patria ma non ho mai concesso a me stessa di essere amareggiata. Ho sempre usato lo spazio di manovra che mi veniva lasciato. Non ci sono state ombre sulla mia infanzia e più tardi mi sono comportata in modo tale da non dover vivere in costante conflitto con lo Stato». Nel 2005, durante la sua prima campagna elettorale per la Cancelleria, si esprimerà poi in modo meno prudente: «Decisi che se il sistema fosse diventato troppo terribile avrei provato a scappare. Ma se non era così male allora non avrei condotto la mia vita in opposizione al sistema perché ero spaventata dai danni che ciò avrebbe potuto causarmi».
Dopo aver sposato il fisico Ulrich Merkel nel 1977 (divorzieranno nel 1981), a ventitré anni Angela K. diventa Angela M. e, fino al 1989, prosegue la sua prima, placida e quasi invisible esistenza di giovane chimica nella Germania dell’Est. Studiando l’intederminazione quantistica impara che, a livello microscopico, la realtà è diversa da come appare. È molto meno prevedibile e richiede strumenti di analisi raffinati e grande pazienza. Forse è anche così che Angela Merkel comincia ad apprezzare il sapore dolciastro dell’attesa. L’attesa di un mondo in cui potrà finalmente uscire dall’invisibilità, esprimere le proprie opinioni con la ferma pacatezza che la contraddistingue, occupare il centro dell’attenzione dando l’impressione di restare comunque in disparte. Mentre attende che arrivi quel giorno, ogni mattina e ogni sera Angela prende la U-Bahn che la porta da Prenzlauer Berg all’Accademia delle Scienze. Nelle tratte sopraelevate del percorso il treno passa proprio sopra il Muro. I tetti di Berlino Ovest e la cupola del Reichstag sono appena un passo più in là.