Francesco Ninfole, MilanoFinanza 4/12/2014, 4 dicembre 2014
STIPENDI PIÙ ALTI MA NON IN BANCA
Aumentano gli stipendi medi degli amministratori delegati delle società quotate a Piazza Affari, ma sono in calo quelli dei ceo delle grandi aziende e delle banche. È quanto emerge dall’ultimo rapporto sulla corporate governance pubblicato ieri da Assonime ed Emittenti Titoli. L’indagine, che ha analizzato anche l’applicazione del codice di autodisciplina, è stata fatta su tutte le 230 società italiane quotate a fine 2013, sulla base delle relazioni disponibili nel luglio 2014.
Gli amministratori delegati hanno ricevuto una remunerazione media in contanti, quindi senza considerare eventuali stock option, pari a 846 mila euro, in crescita dai 768 mila dell’anno precedente). I presidenti hanno incassato 491 mila euro (da 482 mila), gli altri esecutivi 499 mila euro (da 448 mila), i non esecutivi non indipendenti 76 mila euro (da 73 mila), gli indipendenti 54 mila (da 55 mila). Gli amministratori delegati delle società del Ftse Mib hanno ricevuto in media compensi non-equity per circa 2 milioni. Solo 14 ad hanno beneficiato di piani stock-based contabilizzati l’anno scorso, ottenendo compensi equity pari a 1,5 milioni.
L’aumento medio degli stipendi, come si può vedere dai grafici in pagina, è dovuto soprattutto ad aziende di piccole e medie dimensioni. La flessione dei compensi cash dei banchieri registrata negli ultimi tre anni è legata alla crisi e alla pressione di Banca d’Italia per il contenimento dei costi. Le remunerazioni monetarie degli ad in banca sono comunque ancora superiori a quelle dei manager delle aziende (1,2 milioni contro 811 mila euro). Quanto alle buonuscite, tra i 58 amministratori esecutivi che hanno terminato l’attività l’anno scorso, 6 hanno ricevuto indennità di fine carica: l’importo medio ha sfiorato i 3 milioni. Nel complesso, tra i 2.346 consiglieri censiti, 42 (in 23 società) hanno avuto una buonuscita, in aumento rispetto ai 28 consiglieri (in 16 società) dell’anno precedente.
Il rapporto, presentato ieri a Milano dal vicedirettore generale di Assonime Carmine Di Noia e dal docente della Cattolica Massimo Belcredi, ha inoltre analizzato l’applicazione del codice di autodisciplina, cui ha aderito il 93% delle società. Dall’indagine è emerso che il numero medio di membri del cda varia secondo la dimensione (da un minimo di 8,5 nelle small cap a un massimo di 11,9 nel Ftse Mib) e il settore (14,7 nelle società finanziarie, 9,3 nelle altre). I cda delle banche restano dunque più corposi, benché i consiglieri siano in lieve calo. Una sezione del rapporto ha sottolineato che nel 71% dei casi le società che non hanno aderito al codice hanno comunque comunicato la motivazione o assicurato di essere in linea con principi e raccomandazioni delle autorità. La mancata adesione al codice è di solito legata alla dimensione o alla struttura delle società oppure alla composizione dell’azionariato. In generale, «la qualità delle spiegazioni è buona ma potrà essere migliorata l’anno prossimo anche alla luce del nuovo codice di autodisciplina del luglio 2014 che, recependo la raccomandazione della Commissione Ue sul ’comply or explain’, richiede alle società quotate un ancor più elevato livello di disclosure», ha osservato il rapporto. In generale, «le informazioni fornite agli investitori sono di buona qualità e di notevole dettaglio. Vengono evidenziate con chiarezza anche le situazioni non di best practice, consentendo agli investitori di valutare il funzionamento delle quotate».
Francesco Ninfole, MilanoFinanza 4/12/2014