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 2014  dicembre 04 Giovedì calendario

ROMA, C’È UN MAMMUTH A REBIBBIA

Rebibbia è il quartiere del carcere, e il capolinea della metro B. È difficile che queste due caratteristiche facciano colpo su una ragazza. Ma anche noi abbiamo il nostro fiore all’occhiello: un mammuth”, così ne La profezia dell’armadillo, alla nona ristampa con oltre cinquantamila copie vendute, il fumettista romano Michele Rech classe ’83 in arte ZeroCalcare, descriveva per la prima volta il suo amato quartiere. Ieri ha regalato ai suoi fan una tavola diversa dal solito decorando la facciata della stazione metro di Rebibbia con un’opera di circa 40 metri quadrati. Il fumetto diventa street art ed è subito ressa di fan intorno alla gru dove in piedi, nel cestello di un camion a 30 metri d’altezza, ZeroCalcare mentre dà vita alla sua performance non riesce a contenere l’ansia: “Mi hanno chiesto di disegnare un murales di sette metri per cinque che è la cosa più grossa che abbia mai fatto in vita mia. Sono terrorizzato perché non so usare i pennelli, io disegno sui fogli A4. Ancora non sappiamo come viene quindi no entusiasmo sennò poi è imbarazzante”. L’iniziativa in collaborazione con Atac che ha autorizzato il debutto di Michele sulle pareti d’ingresso alla stazione metro (“però adesso non mi associate al prezzo del biglietto troppo caro e ai disservizi. Io sto con i saltatori olimpici di tornelli”, si affretta a chiarire il fumettista), nasce all’interno della XIII edizione della Fiera romana della piccola e media editoria “Più Libri, più liberi” dove oggi presenterà anche il suo ultimo lavoro Dimentica il mio nome. Michele, tuta e k-way, non si sente a suo agio davanti agli sguardi curiosi che lo inseguono mentre disegna il mitologico mammuth sepolto sotto il carcere di Rebibbia in versione extra large, e scherza per nascondere l’imbarazzo: “Mi pare che una carta dell’Onu reciti ‘un quartiere ha diritto di essere chiamato tale quando ha una popolazione disposta a scrivere – nomedelquartiere + REGNA – in ogni angolo della città. E noi in questo non siamo secondi a nessuno”. Grazie al suo pennarello geniale riesce perfino a convincerci che Rebibbia sia il nuovo eden: “Amo questi palazzi bassi, le palme dei giardini mi ricordano un misto tra il paesaggio di San Francisco e quello di Pescara. Non posso stare lontano da qui per più di 48 ore che vengo assalito da una terribile nostalgia. Roma sono tante città e questa è la mia. Io al Colosseo non ci vado mai... Dove parcheggi? E poi detesto la frenesia del centro. Sarà che qui tutto ha un ritmo lento, come in No Surprises dei Radiohead, avete presente?”. Se cresci all’ombra della più grande fabbrica d’attesa d’Europa, il carcere di Rebibbia, ti abitui ad aspettare, anche quell’autobus per il centro che non arriva mai.
E allora, “Welcome to Rebibbia. Fettuccia di paradiso stretta tra la Tiburtina e la Nomentana, terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi. Qui ci manca tutto, non abbiamo bisogno di niente”, queste le parole di benvenuto a cornice del murales dedicate a tutti i futuri gloriosi avventori della periferia nord-est della Capitale.
Caterina Minnucci, il Fatto Quotidiano 4/12/2014