Luca Pisapia, il Fatto Quotidiano 4/12/2014, 4 dicembre 2014
I COLORI DEL CUORE LI SCEGLIE LO SPONSOR
È domenica 9 novembre, e il turno spezzatino della Serie A prevede quattro partite pomeridiane. A Verona, contro il Chievo i bianconeri del Cesena indossano la maglia rosa, a Empoli i biancazzurri della Lazio vestono amaranto, a Torino una Juventus in completo blu elettrico invece che bianconero ospita un Parma che abbandona le strisce orizzontali gialloblù per quelle verticali verde chiaro e scuro. Fossimo stati all’epoca della radio, agli ascoltatori confusi non sarebbero bastati 90 minuti per raccapezzarsi, ma siamo in epoca televisiva e il cambio delle magliette e dei loro colori è un doveroso omaggio agli sponsor. Un omaggio ben retribuito, in realtà, se si pensa che Barcellona dopo 113 anni di vita la scorsa stagione ha “sporcato” la maglia con il primo marchio della sua storia (35 milioni a stagione da Qatar Airways) e dall’anno prossimo cambierà anche per la direzione delle strisce blaugrana: dalle tradizionali righe verticali a quelle orizzontali, modello Celtic Glasgow per intenderci.
L’aveva fatto anche l’Inter nella stagione 1997-98, ma almeno era la terza maglia, non la prima come nel caso del Barça. Nel 1953 il Vicenza assume la denominazione Lane-rossi dalla società che l’ha rilevata, e nel 1958 il Torino cambia nome in Talmone Torino, abbinandosi con l’omonima fabbrica locale di cioccolato e sfoggiando una enorme T sulla maglia: la prima sponsorizzazione mascherata del calcio non porta fortuna ai granata, che retrocedono. È invece nel 1973 che il nome dell’amaro Jägermeister compare sulle maglie dell’Eintracht Braunschweig e impone alla Federcalcio tedesca di cambiare le regole: è la prima sponsorizzazione ufficiale, al prezzo di 100 mila marchi tedeschi. Cifra ridicola rispetto ai 64 milioni a stagione che intasca oggi il Manchester United dalla Chevrolet, o ai 35 circa che prendono il Bayern Monaco da Deutsche Telekom, il Real da Emirates e il Barcellona. Ma più che lo sponsor sulle maglie, nel maquillage dei sentimenti del tifoso incide lo sponsor tecnico: l’azienda di abbigliamento sportivo che ogni anno pur di vendere si sente costretta a cambiare qualcosa.
Quest’anno il Bayern per i 26 milioni di Adidas ha accettato una prima maglia a strisce rossoblù (non una novità assoluta, in realtà), mentre ne hanno rifilata una inguardabile seconda fucsia al Real Madrid, che da Adidas ne prende 40: l’attuale record, fino all’anno prossimo quando l’azienda tedesca ne pagherà 100 al Manchester United. Se in Italia il Milan ha appena rinnovato con il main sponsor Emirates a 17 milioni annui – poco rispetto a quando si prende all’estero, se si pensa che una squadra che non vince il titolo da un quarto di secolo come il Liverpool ne prende 25 da Standard Chartered – il contratto più lucroso per lo sponsor tecnico lo ha chiuso la Juventus, che dall’anno prossimo vestirà le tre strisce Adidas per 24 milioni. Anche questo abbastanza basso. I prezzi sono tali perché all’estero è da molto più tempo che i tifosi comprano le maglie e, soprattutto, che le dirigenze hanno ampliato il mercato ai nuovi continenti: nella classifica quinquennale delle maglie vendute infatti c’è solo la Juve al nono posto con 375 mila per anno, ma già il Liverpool settimo ne vende oltre 800 mila, e il Real Madrid primo oltre 1,5 milioni seguito a ruota da United e Barcellona. Da qualche anno si è cominciato a vendere le maglie anche in Italia e questo ha esaltato giovani designer che hanno cominciato a sfogare le loro fantasie più perverse.
Quest’anno il Milan gioca con un orribile striscia nera grossa al centro e righe più sottili ai lati, l’Inter con un ridicolo gessato nero a righine azzurre, ma il top lo raggiunge la terza maglia del Napoli: dalla mimetica dello scorso anno al giubbotto jeans di oggi. Indimenticabili negli anni anche le maglie crociate multicolori del Parma, l’azzurrino del Milan, il grigio sudore della Roma, il tigrato maculato della Reggina , il rosa shocking della Juventus e le strisce verdi e azzurre dell’Inter. L’orrido raggiunge l’apice negli anni Novanta: l’Athtletic Bilbao omaggia l’apertura del Guggenheim con una maglia splatter a macchie rosso sangue; l’Heereveen riempie la casacca di cuoricini e lo Hoya Lorca, squadra di terza divisione spagnola, di broccoli; il Brighton e l’Huddersfield optano per lo psichedelico e in molti disegnano improbabili teorie di quadri tridimensionali. Se la migliore resta quella sfoggiata dal portiere messicano Campos a Usa ’94, il peggio lo raggiunge la Fiorentina quando nella stagione 1992-93 presenta una seconda divisa bianca e viola con un motivo a simil svastiche nella parte superiore. Bisogna aspettare fino a dicembre perché la Lotto la ritiri. Il Cardiff City dopo 104 anni in blu è passato improvvisamente al rosso per un capriccio del suo nuovo padrone, e ai cambi cromatici non si è sottratta nemmeno la Nazionale. Alla Confederations Cup del 2009, l’Italia di Lippi si presenta con maglia azzurra e orrendi pantaloncini (e calzettoni) marroni, chiude all’ultimo posto dietro anche a Stati Uniti ed Egitto. Giocare col fuoco dei sentimenti ha le sue controindicazioni.
Twitter @ellepuntopi
Luca Pisapia, il Fatto Quotidiano 4/12/2014