Valerio Cattano, il Fatto Quotidiano 4/12/2014, 4 dicembre 2014
LA RUSSIA PUNTA SULLA GUERRA E IL KALASHNIKOV SI RIFÀ IL LOOK
Nel settembre dello scorso anno l’anteprima era stata mostrata al presidente Vladimir Putin. La televisione russa aveva dedicato un servizio di 5 minuti e mezzo per testimoniare il gradimento dello Zar. Poi è toccato al primo ministro Dmitry Medvedev, farsi fotografare in posa: perché, se c’è un marchio russo che non passa mai di moda, è il kalashnikov. Oggetto del desiderio di rivoluzionari, terroristi – come non ricordare i video di Osama bin Laden con un modello accorciato del fucile d’assalto – e gangster, il kalashnikov è l’arma più utilizzata al mondo se si contano le versioni legali e le clonazioni prodotte da Cina, Repubblica Ceca, Polonia Bulgaria , Romania ed Egitto.
Ora l’Ak diventa simbolo di rilancio economico; la Russia ha pianificato il lancio del nuovo modello, e intende raddoppiare la produzione entro il 2020 allo scopo di conquistare nuovi mercati, come Estremo Oriente, Africa e Sudamerica. Addio vecchio Ak-47, è il tempo dell’A-12, meno legnoso, più versatile, dotato di lanciagranate , ma senza perdere l’affidabilità. Ieri a Mosca si è svolta la presentazione ufficiale dell’Ak-12, fra modelle provocanti e altre vestite con uniformi storiche dell’Armata Rossa, che mettevano in evidenza il caricatore a mezzaluna con il nuovo logo: una k stilizzata rossa e nera.
Fanatici delle armi a parte, qui si parla di economia: nell’aprile 2012, la Izmash, fabbrica madre del vecchio fucile, è stata dichiarata fallita; il gruppo è stato rilevato da una società a gestione statale, la Russian Technologies (Rostec), costituita nel 2007 dal presidente Vladimir Putin, con l’espressa intenzione di rivitalizzare l’industria russa degli armamenti.
La società conta su tre prodotti: i kalashnikov per i militari russi e stranieri; il Baikal per i cacciatori e l’Izhmash per gli sportivi. Nel solo triennio la Rostec 2014-2017 investirà oltre 76,9 milioni di dollari, per modernizzare gli impianti. Ma è una scommessa a rischio: sebbene l’industria controlli il 95% del mercato sovietico delle armi semiautomatiche, si tratta tuttavia di poca cosa, perché in patria vi sono parecchie restrizioni per i civili che vogliono tenere in casa un fucile. Insomma, non si tratta degli Stati Uniti, ed è per questo che molta della produzione circa l’80 per cento è dedicata all’export. Quest’anno c’era stato il tentativo di fare la concorrenza in casa americana: avrà più successo l’Ak russo rispetto all’occidentale M4, l’altro fucile d’assalto per eccellenza? Sfida rimandata o quasi perché le sanzioni imposte a Mosca a causa della crisi ucraina hanno smorzato l’entusiasmo degli esportatori russi, con perdite di milioni di dollari: sono state consegnate, nel 2014, solo 40 mila delle 90 mila armi pronte per gli scaffali dei negozi a stelle e strisce. Ed allora, ecco il cambio di strategia: il nuovo logo dell’Ak-12 in Oriente sembra piacere parecchio: Malaysia e Thailandia hanno già fatto ordinazioni.
Valerio Cattano