Roberto Ruozi, MilanoFinanza 3/12/2014, 3 dicembre 2014
I BANCHIERI NON SONO PIÙ DISONESTI DI ALTRE CATEGORIE. MA COL DENARO LA TENTAZIONE È FORTE
Dopo lo scoppio della crisi del 2007 si è tanto parlato della cultura dominante nelle banche, ritenuta in buona parte responsabile della crisi medesima e pertanto si sono spesi fiumi di parole per auspicare un suo cambiamento. In realtà poco si è fatto a tale proposito, e infatti le crisi sono continuate e sono state accompagnate anche da una serie di episodi criminosi, che hanno portato all’incarcerazione e al suicidio di numerosi banchieri, a condanne con sanzioni di varia natura di molte banche, specie di grandi dimensioni operanti a livello internazionale, per reati di tipo fiscale e valutario, frodi, manipolazioni di bilanci, riciclaggio, violazioni degli embarghi, distorsioni nel calcolo di indici monetari molto importanti e via dicendo. Ne è uscito – anzi è continuato a esistere – un mondo disonesto, corrotto e corruttore che non era mai stato immaginato neppure dai più feroci critici dell’attività bancaria. Cito in proposito il grande Honoré de Balzac, il quale nello splendido volume dedicato alla vita del profumiere César Birotteau dipinse in modo caustico i banchieri della sua epoca, accusandoli di grettezza, avidità e insensibilità, mai di disonestà.
Intendiamoci, i fatti prima esposti sono veri, ma non generalizzabili, nel senso che i banchieri disonesti ci sono, essendo tuttavia solo una minoranza che si confronta con una stragrande maggioranza di onesti.
Questi ultimi, tuttavia, non fanno notizia e quindi di essi si parla poco, anche perché l’onestà, in tutte le professioni e quindi anche e soprattutto in quella bancaria alla quale in tutto il mondo viene affidata una responsabilità di pubblico interesse, dovrebbe essere la regola. I disonesti, invece, attirano l’attenzione del pubblico. Non stupisce quindi che due noti ricercatori dell’Università di Zurigo abbiano condotto uno studio, i cui risultati sono stati diffusi un mese fa, proprio sulla cultura dei banchieri e sulla loro propensione alla disonestà. Basata su interviste effettuate a oltre 200 banchieri, la ricerca dimostra che in linea di principio la propensione alla disonestà nel mondo bancario non è molto diversa da quella di coloro che operano in altri settori economici, ma mette anche in evidenza che la cultura d’impresa dominante nelle banche favorisce lo sviluppo della disonestà. In un certo senso la stessa natura della professione bancaria, basata sul commercio del denaro, può indurre alla disonestà più di altre professioni, imperniate sulla produzione e sul commercio di beni e servizi meno appetibili del denaro.
Certo, un’inchiesta limitata come quella prima citata non basta a validare una legge di carattere generale e, del resto, come già detto, l’esperienza dimostra che la disonestà dei banchieri è diffusa, ma che la stragrande maggioranza di questi si comporta onestamente. Il fenomeno, tuttavia, è degno di massima considerazione e può avere un influsso deleterio sull’immagine delle banche, non contribuendo certo ad aumentare la fiducia della gente nei loro confronti. È quindi indispensabile cercare di ricondurlo entro limiti più accettabili di quelli visti negli ultimi anni. Sono di questo avviso anche i ricercatori zurighesi, i quali auspicano una profonda modificazione della cultura bancaria, mettendosi nel gruppo degli opinionisti che hanno condiviso questa affermazione dopo il 2007.
Il problema non è facilmente risolvibile. Esso implica mutamenti nei comportamenti dei banchieri, ciò che non può avvenire in seguito a semplici provvedimenti normativi, di qualsiasi natura essi siano. Gli stessi tetti imposti ai bonus non è affatto detto che saranno determinanti da questo punto di vista. Vi è addirittura chi pensa che essi potranno essere controproducenti specie presso i più sensibili all’attrattiva del denaro, i quali potrebbero essere indotti a comportamenti disonesti per raggiungere obiettivi non più possibili ai sensi delle nuove norme. Alla luce di tali considerazioni gli autori della ricerca menzionata propongono due interventi strettamente collegati fra loro: a) l’introduzione nella professione bancaria di una specie di giuramento di Ippocrate, sulle linee di quello al quale sono tenuti i medici; b) un’intensa formazione sull’etica negli affari, che assicuri continuamente il collegamento fra comportamenti dei banchieri e obiettivi aziendali e individuali compatibili con il rispetto delle norme alle quali la loro attività è sottoposta.
Su questo secondo punto non si può non essere d’accordo. Del resto è da anni che se ne discute e qualche cosa si è anche fatto. Sul primo sono assai più scettico, ma è certo che male non farebbe. Sarebbe meglio una generalizzata presa di coscienza da parte di tutti i banchieri, ciò che del resto sarebbe nel loro stesso interesse, ma anche a questo proposito sono piuttosto scettico. I disonesti rappresentano infatti, nelle banche e altrove, una razza ineliminabile.
Roberto Ruozi, MilanoFinanza 3/12/2014