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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

NON PIÙ SPALLONI IL FUTURO DELLE BANCHE TICINESI È NEI SERVIZI


[Note alla fine]

1. GEORGE BERNARD SHAW SOSTENEVA CHE «tutte le professioni sono cospirazioni contro i profani». Per un certo verso era l’opinione che dilagava fra i clienti delle banche svizzere durante la crisi finanziaria del 2008 e dopo l’annuncio del Consiglio federale, nel marzo dell’anno seguente, sull’adeguamento agli standard Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) delle norme interne sullo scambio internazionale di informazioni in materia fiscale. Dopo quasi ottant’anni di tenuta stagna, il segreto bancario elvetico vacillava e, senza una base legale, il governo – in soccorso della principale banca del paese – si piegava alle richieste statunitensi, miranti a ottenere i nomi dei cittadini americani correntisti nella Confederazione.
La piazza finanziaria ticinese, anche se marginalmente coinvolta nel contenzioso con gli americani, subisce anch’essa il pesante contraccolpo della crisi: i clienti nel book delle banche locali non sono immuni al crollo del comparto degli hedgefunds e alle conseguenze del fallimento di Lehman Brothers, avvenuto il 15 settembre 2008. In quel periodo gli operatori ticinesi non vivono sonni tranquilli: temono che sulla loro enclave si possa abbattere la tempesta perfetta. In piena crisi finanziaria, mentre si raccolgono i cocci prodotti dal crollo di fiducia nei mercati borsistici, il 3 ottobre 2009 il governo italiano vara lo scudo fiscale ter [1], di fatto una riedizione delle precedenti procedure di regolarizzazione in materia tributaria. A febbraio dello stesso anno era stato fermato in Italia un noto avvocato ticinese; nei suo computer la Guardia di Finanza trova i nomi di 76 società e più di 500 nominativi di contribuenti italiani. Può così ricostruire un sistema attraverso il quale era alimentato un giro di fatture false volte a creare costi fittizi, in modo da dirottare patrimoni sui conti esteri.
Lo scenario che si andava profilando evocava i tristi ricordi della crisi dell’orologeria negli anni Settanta del Novecento: tra il 1970 e il 1985, metà delle aziende orologiere chiusero i battenti e oltre 90 mila addetti persero il posto. Alla fine degli anni Sessanta, la Svizzera copriva all’incirca il 44% della produzione mondiale di orologi; quindici anni dopo, questa percentuale era scesa al 13%. La crisi che l’industria orologiera nazionale ha patito tra il 1970 ed il 1985 fu la più dura di sempre per il settore: essa palesò lo spettro della definitiva sparizione della tradizione orologiera svizzera.
Se la triste vallata del Giura presenta scheletri di capannoni di quella che fu la manifattura orologiera, in Ticino l’èra dell’archeologia bancaria non è iniziata: il distretto finanziario locale ha retto all’urto dello tsunami finanziario. Le banche rimangono un punto fermo dell’economia ticinese; la piazza finanziaria non ha trovato il proprio Nicolas Hayek [2], ma ha maturato la consapevolezza di dover progettare il futuro in discontinuità con il passato.
Nel 2008 gli istituti presenti in Ticino erano 77, di cui 27 con sede nel Cantone. Nel 2013, erano rispettivamente 54 e 18. Sul lato occupazionale, il personale delle banche ticinesi nel 2008 si attestava a 7.619 unità, contro le 6.465 del 2013: una diminuzione di circa il 15% e di quasi il 17% della massa salariale sullo stesso periodo [3]. Chi esce con le ossa rotte dal ridimensionamento delle attività bancarie cantonali è il fisco: in pochi anni, il gettito medio annuo delle banche si è ridotto da 50 a meno di 20 milioni di franchi, con raggiunta, nel lungo periodo, degli oneri di disoccupazione per quanti escono dal settore senza trovare occupazioni alternative. La perdita, con buona probabilità in modo definitivo, di quasi 1.200 posti di lavoro nell’arco di 5 anni è un dato allarmante e le annunciate ristrutturazioni a seguito della cessione della Banca della Svizzera Italiana (Bsi) da parte dell’azionista Assicurazioni Generali al gruppo brasiliano Btg Pactual lo renderanno ancor più pesante [4].

2. Storicamente, il sistema finanziario ticinese è legato a doppio filo alle sorti dell’Italia e al ciclo economico delle aziende familiari italiane che, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, hanno conosciuto una forte espansione, sostenuta anche da una tendenza al decentramento produttivo delle grandi imprese. In quel periodo, il servizio offerto dalle banche ticinesi era orientato alle esigenze «private» dell’imprenditore, che in Svizzera cercava un booking center per il suo patrimonio personale impermeabile alle attività del fisco italiano, lontano da occhi indiscreti e scollegato dal circuito bancario nazionale. Il Ticino ha colto l’opportunità e oggi, anche se non esistono dati ufficiali sui patrimoni gestiti nel cantone, l’Associazione bancaria ticinese (Abt) li stima in 350 miliardi di franchi [5]. La piazza finanziaria ticinese è anche parte integrante del private banking svizzero, che gestisce 2.200 miliardi di dollari [6] di patrimoni offshore: il 26% del totale mondiale. Hong Kong e Singapore, insieme, ne assorbono il 14%. Se dunque la Svizzera gestisce quasi un terzo delle attività finanziarie transfrontaliere mondiali, non c’è da stupirsi che le assetate autorità fiscali dei paesi limitrofi bussino alla Confederazione e che il gigante americano, con una legge [7] per tassare i capitali depositati all’estero (pena l’esclusione dal suo mercato finanziario degli istituti «non collaborativi»), abbia imposto il proprio diktat e indotto la Svizzera a trattare.
Il sistema finanziario svizzero è da anni sotto pressione internazionale, sottoposto al simultaneo attacco di Stati Uniti, Unione Europea e istituzioni internazionali quali l’Ocse, il G20 e il Gafi (Gruppo d’azione finanziaria internazionale), solo per citarne alcune. Si tratta di una guerra di trincea, nella quale la Svizzera ha spazi di manovra sempre più limitati. Ogni valutazione sulla reale possibilità del governo elvetico di contrastare ad armi pari l’Ue e gli Stati Uniti è sterile. Secondo Paolo Bernasconi, si tratterebbe di un atteggiamento «suicida, (...) la Svizzera è una pulce rispetto agli Stati Uniti, all’Ue e all’Ocse (...) è totalmente integrata nel sistema mondiale del commercio, delle banche e dei pagamenti, non può permettersi di finire su una lista nera. Oggi più nessuno può sfuggire agli standard dell’Ocse». Il governo svizzero non è dunque immune da critiche e la sua politica dei piccoli passi, o meglio delle concessioni «a rate», si è spesso rivelata inefficace.
Ecco allora il colpo di scena. Il 22 febbraio 2012 Berna vara la strategia del «denaro pulito»: un indirizzo generale per gli attori finanziari, finalizzato a rendere la piazza concorrenziale e fiscalmente conforme. Questa strategia ha due princìpi: la regolarizzazione del passato e una gestione tax compliant del futuro. Si tratta di una première a livello mondiale. Prima ancora che iniziasse la traduzione in legge di questi princìpi si è sollevato un coro di critiche. Le questioni fondamentali riguardano le modalità attraverso cui le banche possono accertare se i clienti abbiano adempiuto correttamente ai loro obblighi fiscali e la presunzione che esista sempre un avente diritto economico soggetto a imposizione fiscale in uno Stato di domicilio a cui è possibile risalire con certezza. Non stupisce che il primo interlocutore chiamato in causa, l’Associazione svizzera dei banchieri (Asb), lo abbia rimandato al mittente, in quanto «un chiaro consenso al rispetto degli standard internazionali implica un chiaro rifiuto di soluzioni puramente nazionali». Per bocca del presidente dell’Asb, il settore si dichiara «fermamente disposto a partecipare all’elaborazione dei futuri criteri internazionali e a rispettarne i contenuti confermando che spetta alle banche, in futuro, assumersi le proprie responsabilità nei confronti di clienti, dipendenti, economia, società e la prossima generazione di banchieri».
La partita si può comunque ritenere chiusa. L’8 ottobre 2014 il Consiglio federale ha varato il piano d’introduzione del nuovo standard globale per lo scambio automatico di informazioni in materia fiscale con gli Stati partner. La Svizzera ha confermato l’intenzione di promulgare, in tempi brevi, la base legale per lo scambio automatico di informazioni. Di riflesso, dal 2017 le banche svizzere dovranno iniziare a rilevare i dati dei conti dei contribuenti esteri; dal 2018, effettueranno lo scambio di dati. Un primo gruppo di oltre quaranta Stati, fra i quali l’Italia, intende iniziare la procedura a partire dal 2016 ed effettuare il primo scambio di informazioni fiscali nel 2017. L’indirizzo imposto dal Consiglio federale alla banche implica un cambio epocale nei rapporti che queste intrattengono con i loro clienti, soprattutto in materia di rispetto del segreto bancario. Se, in assenza di basi giuridiche per attuare lo scambio automatico di informazioni con l’estero, questo avverrà sulla scorta di accordi bilaterali, è molto probabile che la Svizzera aprirà tavoli negoziali con gli Stati con i quali intrattiene strette relazioni economiche e che garantiscano ai propri contribuenti forme certe di regolarizzazione del loro passato contributivo. Stati Uniti, Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Belgio e altri hanno aperto programmi di autodenuncia e, pur con differenze sostanziali e con meccanismi premiali diversi, restano fedeli all’approccio promosso in sede Ocse, teso alla piena confessione del contribuente e al recupero delle imposte pregresse non pagate.
In futuro dunque, anche per le banche ticinesi il «private banking d’esportazione» potrà essere configurato con chiare regole comportamentali cross-border [8] e finalizzato unicamente ad aprire e mantenere relazioni con clienti in conformità fiscale nel loro paese di residenza. Peraltro, grazie alla legge di voluntary disclosure in fase di approvazione in Italia, gli istituti della piazza estenderanno le loro regole di compliance alla conformità fiscale del cliente. In concreto, con l’incombente scambio automatico di informazioni e con l’introduzione del reato di autoriciclaggio nell’ordinamento penale italiano, l’unica via percorribile di coloro che detengono patrimoni non dichiarati al fisco è la regolarizzazione. Altre strade, nel circuito bancario elvetico, non saranno più percorribili. Ciò configura un passaggio epocale: i metodi di fare banca consolidati per anni sono sopraffatti da norme comportamentali più rigide, dall’obbligo del rispetto del diritto e delle regole di vigilanza del paese di residenza del cliente. Il 22 febbraio 2012 il Consiglio federale indicava che «l’integrità della piazza finanziaria è anche una questione di conformità fiscale, condizione indispensabile per aumentare la sua accettazione internazionale». Oggi tale indirizzo è diventato prassi bancaria.

3. La piazza ticinese è attrezzata per compiere il salto di qualità? Quali attori sapranno modificare in modo efficace e lungimirante il loro modello di business? Le condizioni di base non mancano: la Svizzera occupa per il sesto anno consecutivo la prima posizione nel rapporto sulla competitività pubblicato dal World Economie Forum [9], che monitora 144 economie mondiali. Il distretto ticinese della finanza è in grado di offrire servizi sofisticati, integrati in una rete di attori complementari fra loro. Nella città di Lugano si concentrano banche, fiduciarie finanziarie, commercialisti, immobiliaristi, assicurazioni; i principali attori hanno rapporti consolidati con partner situati nelle principali piazze mondiali. La competitività del sistema paese consente l’accesso a mercati, prodotti e servizi localizzati in qualsiasi parte, del mondo e la tenuta in loco della relazione fra cliente e banchiere.
Nel linguaggio del private banking si fa riferimento a un servizio in «architettura aperta», ma nella fattispecie la definizione è riduttiva: lo one stop shop finanziario che si va configurando è un processo evolutivo del fare consulenza, la quintessenza della creazione di valore aggiunto nella gestione della relazione con il cliente. In concreto, significa saper mettere a reddito il patrimonio ereditato dal passato e guardare ai clienti esistenti e futuri secondo molteplici dimensioni, prima fra tutte quella familiare e imprenditoriale. Il nuovo modello di consulenza che ne deriva può essere definito come «processo evolutivo» di gestione della ricchezza, che sintetizza un approccio strategico al contempo specializzato e integrato.
Il passaggio da un modello tradizionale di private banking basato sul collocamento di prodotti a uno di natura consulenziale, identificabile come Integrated Wealth Management (Iwm), fonda il suo successo sul ruolo del banker. L’Iwm implica infatti agire in primis sulla relazione e non sul prodotto; di conseguenza, le logiche di incentivo finanziario e di conto economico sono destinate a una profonda revisione. In questo potrebbe consistere l’evoluzione del private banking tradizionale: da «mestiere povero per clienti ricchi» a «mestiere ricco per clienti complessi» [10].
Se questa sarà la tendenza, è lecito chiedersi quali saranno gli scenari strutturali della piazza ticinese e quali potranno essere invece gli incidenti di percorso che ne ostacoleranno l’avvenire. Il cambiamento in atto vede una maggiore specializzazione e personalizzazione del servizio e costi crescenti per l’adeguamento normativo al quale le banche devono far fronte. Il processo di concentrazione tra banche elvetiche, in generale non imputabile a sottocapitalizzazione bensì a problemi reddituali, si riflette anche a livello cantonale con raggiunta dell’aggravante generata dalla ritirata dal Ticino di numerose filiali di banche italiane [11], forse alla ricerca di «tesori perduti» nel loro circuito nazionale.
In controtendenza, invece, il numero di fiduciari finanziari, passato nel decennio in corso da circa 250 a 351 unità. La Federazione ticinese delle associazioni di fiduciari (Ftaf) raggruppa sei associazioni di categoria e gode di un vantaggio competitivo non secondario. Grazie a un organismo di autodisciplina (in ossequio alla legge federale in materia di riciclaggio di denaro) e a un riconoscimento dalla Finma (l’autorità svizzera di supervisione dei mercati finanziari) quale associazione professionale abilitata al rilascio di norme di comportamento nell’ambito della gestione patrimoniale, ai fiduciari ticinesi sono ancora consentiti ampi spazi di manovra.
Banche e fiduciarie non possono definirsi entità in concorrenza fra loro: le loro sinergie – non solo sul piano operativo, ma anche su quello relazionale con la clientela – costituiscono una ricchezza della piazza. Spesso le fiduciarie fungono anche da paracadute per professionisti coinvolti in ristrutturazioni bancarie o alla ricerca di indipendenza e flessibilità. Si tratta di una tendenza, soprattutto per quanto attiene le grandi banche, di spin-off di singoli soggetti o in alcuni casi di team che danno vita a un nuovo soggetto giuridico, detto service center, indipendente dal booking center mantenuto generalmente presso la banca di appartenenza. In molti casi si tratta di senior private bankers che hanno costituito società proprie indipendenti o di clienti particolarmente facoltosi che hanno fondato un loro proprio family office per separare l’attività di gestione strategica dei patrimoni dalle attività amministrative e di esecuzione offerte dalle banche.

4. Il successo della piazza finanziaria ticinese non dipenderà tanto dagli esiti della voluntary disclosure italiana quanto dalla capacità degli operatori locali di cogliere le necessità di una clientela che si muove a livello planetario, che produce redditi in paesi diversi da quello di residenza e che vuole progettare la trasmissione della propria ricchezza alle generazioni future con un impatto fiscale «calcolato».
La piazza finanziaria ticinese ha potenzialmente le carte in regola per rendere «bancabile» buona parte degli upgrade di servizio che la clientela chiede, può diventare un centro di wealth management strutturalmente integrato con providers situati in qualsiasi parte del mondo e trasformarsi idealmente in una piattaforma finanziaria hub and spoke, che mette in relazione il luogo in cui si crea valore aggiunto con i servizi che sovrintendono alle operazioni. Il raggiungimento di una configurazione strutturalmente stabile dovrà inevitabilmente scontare una sostanziale contrazione degli addetti e mostrare la capacità di attrarre profili qualificati, integrabili in questo modello di business e con spiccata propensione allo sviluppo di canali commerciali.
Le insidie – trascurando gli impatti sul medio termine di referendum autolesionisti come quello del 9 febbraio scorso contro l’immigrazione di massa, o quello del 30 novembre 2014 per l’abolizione dell’imposizione forfettaria sono superabili con la capacità degli attori della piazza di accettare il cambiamento, di abbandonare antiche consuetudini e di rinunciare a qualche privilegio. Come ricordava John Maynard Keynes, «la difficoltà non sta nel credere alle nuove idee, ma nel rifuggire dalle vecchie».


Note:
1. Legge 141 del 3 ottobre 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 230 del 3 ottobre 2009.
2. Nicolas Hayek (nato a Beirut il 19 febbraio 1928, morto a Bienne il 28 giugno 2010) è considerato, grazie al lancio degli orologi in plastica Swatch, il principale attore della rinascita dell’industria orologiera svizzera.
3. R. CHOPARD, N. DONADIO (a cura di), La piazza finanziaria ticinese 2013, Centro di Studi Bancari, Vezia 2014.
4. In Ticino il numero di addetti nel settore finanziario (impiegati di banca, gestori patrimoniali, fiduciari, assicuratori, avvocati d’affari, revisori e altri) sfiora le 15 mila unità. Si tratta di impieghi con livelli retributivi superiori alla media e detenuti in larga parte da manodopera residente. Il settore genera il 10,9% del pil cantonale con il 6,8% degli occupati, (dati 2011).
5. A. DI STEFANO, Questioni di piazza. Considerazioni sul futuro del settore bancario e finanziario ticinese, Bellinzona 2012, Edizioni Casagrande.
6. Fonte: Boston Consulting Group, 2012.
7. Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca).
8. Rischi giuridici e di reputazione nelle operazioni transfrontaliere aventi per oggetto prestazioni finanziarie, Finma, 19/6/2012.
9. The Global Competitiveness Report 2014-2015, World Economie Forum.
10. Per gentile concessione di Nicola Miglietta. Dello stesso autore, cfr. «L’evoluzione del private banking da logica di prodotto a logica di servizio», BancaFinanza, n. 10, ottobre 2013.
11. Fra le altre. Ras Private Bank (Suisse) è stata messa in liquidazione nel 2009; Fideuram Bank (Suisse) è stata acquistata da Banca Creditinvest nel 2010; Unicredit Bank (Suisse) è stata acquistata da Banca dello Stato del Canton Ticino nel 2010; Cmb Banque Privée (Suisse), Gruppo Mediobanca, è stata acquistata da Pkb Privatebank nel 2012.