Alberto De Sanctis, Limes: Quel che resta dell’Italia 11/2014, 3 dicembre 2014
E IL TICINO DISSE: NON PASSA LO STRANIERO!
[Note alla fine]
1. SE FOSSERO GLI SCAMBI COMMERCIALI IL termometro unico con cui misurare lo stato delle relazioni fra due paesi, quelle fra Svizzera e Italia risulterebbero probabilmente al livello migliore di sempre. Nel 2013 l’Italia è stato il terzo partner commerciale di Berna su scala globale dietro Germania e Stati Uniti: era seconda nella graduatoria dei paesi di provenienza delle importazioni svizzere (con una quota di mercato pari al 10,1% del totale) e terza fra i destinatari dell’export elvetico (7,1% del totale, in flessione dall’8% del 2010). Viceversa, Berna è nona nella graduatoria delle importazioni italiane (quota del 2,9%, rimasta pressoché stabile nell’ultimo triennio) e quarta destinataria delle esportazioni tricolori (5,2% a livello mondiale) [1].
Osservando i flussi dell’interscambio, si osserva che nel complesso il loro valore è cresciuto fra il 2007 (ultimo anno pre-crisi) e il 2013 da 24,3 a 30,9 miliardi di euro, facendo segnare due picchi su base annua nel 2011 (31,9 miliardi) e nel 2012 (33,8 miliardi). Andamento analogo quello dell’export italiano verso la Svizzera, in crescita fra il 2007 e il 2013 (da 13,2 a 20,4 miliardi) e con due massimi nel 2011 (20,6 miliardi) e nel 2012 (22,8 miliardi). Il peso del mercato svizzero per l’Italia è certificato da un fatto; benché in flessione rispetto al biennio precedente, nel 2013 il valore delle esportazioni italiane verso la Svizzera è stato di circa 20,5 miliardi di euro, pari alla somma dell’export tricolore verso due colossi come Russia e Cina [2]. Tendenzialmente stabile è invece il trend delle importazioni italiane dalla Svizzera, calate lievemente dagli 11 miliardi del 2007 ai 10,5 del 2013. Nel complesso, i saldi commerciali arridono all’Italia, che fra 2007 e 2013 ha registrato una serie di avanzi crescenti (da 2,2 a 9,8 miliardi di euro), con picchi ancora una volta nel 2011 (9,3 miliardi) e nel 2012 (11,9 miliardi).
A livello merceologico, nel primo semestre del 2014 l’Italia ha esportato in Svizzera soprattutto metalli di base preziosi e non ferrosi per un valore di 1,1 miliardi di euro (quota del 12,8% sull’export italiano in Svizzera); quindi medicinali e preparati farmaceutici (979 milioni, 10,5% sul totale); articoli di abbigliamento, escluse pellicce (613 milioni, 6,5% sul totale); gioielleria, bigiotteria e pietre preziose lavorate (527 milioni, 5,6% sul totale); cuoio, articoli da viaggio, borse, pelletteria e selleria, pellicce (511 milioni, 5,5% sul totale); calzature (373 milioni, 4% sul totale). Sono invece i medicinali a fare la parte del leone nel complesso delle esportazioni svizzere destinate all’Italia, con un valore di quasi 1,2 miliardi di euro (22,2% sull’import italiano dalla Svizzera); seguono metalli di base preziosi e non ferrosi (846 milioni, 15% sul totale); prodotti farmaceutici di base (718 milioni, 14,4% sul totale); strumenti e apparecchi di misurazione, prova e navigazione, orologi (447 milioni, 8,3% sul totale); prodotti chimici di base, materie plastiche e gomma sintetica (405 milioni, 7,5% sul totale); gioielleria, bigiotteria e pietre preziose lavorate (191 milioni, 3,6% sul totale).
Secondo il World Investment Report 2014 dell’Unctad (United Nations Conference on Trade and Development), nel 2013 la Svizzera è diventata il primo investitore d’Europa davanti alla Germania con quasi 60 miliardi di dollari, destinando all’Italia 543 milioni di euro dopo gli oltre 4 miliardi del 2012. Nel complesso, lo stock di investimenti diretti esteri che da Berna hanno raggiunto il Belpaese fra il 1993 e il 2013 assomma a oltre l6 miliardi di euro. Per contro, l’Italia ha investito in Svizzera 97 milioni di euro nel 2013 e 887 nel 2012, per uno stock 1993-2013 di oltre 3 miliardi di euro.
2. Storicamente altalenanti, le relazioni italo-svizzere decollano nel secondo dopoguerra. In modo particolare, con il boom economico italiano il mercato elvetico inizia a rappresentare una valida alternativa per i capitali e le imprese della penisola, nonché per una manodopera scarsamente qualificata attratta da nuove e più remunerative possibilità d’impiego, soprattutto in campo manifatturiero. Superando la dimensione meramente economico-finanziaria, le relazioni bilaterali investono presto i settori più disparati: trasporti, ambiente, lingua e cultura, fino al livello istituzionale.
L’interdipendenza è oggi alimentata da oltre 60 mila transfrontalieri che ogni giorno muovono alla volta del Ticino dalle province di Varese e Como; dai circa 120 miliardi di euro di provenienza italiana depositati nei forzieri delle banche elvetiche [3]; da opere infrastrutturali di portata continentale quali il corridoio multimodale Italia-Svizzera, che dal 2016 collegherà la tratta Genova-Rotterdam attraverso il San Gottardo. Scambi e incontri non sono mai stati così numerosi: le iniziative comuni comprendono il dialogo italo-svizzero sulla cooperazione transfrontaliera; la Comunità di lavoro Regio Insubrica (che riunisce il Canton Ticino e le province italiane di Como, Lecco, Novara, Varese e Verbano Cusio-Ossola); il Centro di coopcrazione di polizia e doganale di Chiasso; la Commissione culturale consultiva italo-svizzera; Interreg, il programma di cooperazione transfrontaliera dell’Unione Europea; gli incontri regolari tra le autorità del Canton Ticino e quelle della Regione Lombardia.
Molto più che fra gli altri Cantoni della frontiera Sud (Grigioni e Vallese) e le regioni dell’Italia del Nord (Piemonte, Valle d’Aosta e Trentino Alto-Adige), sono i rapporti fra Ticino e Lombardia a influenzare l’andamento delle relazioni bilaterali. Su questi pesa come un macigno l’esito del referendum svizzero del 9 febbraio 2014, in particolare il responso a uno dei tre quesiti proposti: l’iniziativa popolare «contro l’immigrazione di massa» promossa dall’Unione di centro e appoggiata dalla Lega dei ticinesi, per chiedere a Berna di fissare dei tetti per i permessi di residenza a stranieri e richiedenti asilo. Se a livello nazionale il Sì ha ottenuto il 50,3% e il No il 49,7%, in Ticino i Sì sono stati il 68%: un chiaro segnale di malcontento da parte della popolazione locale.
Le cause di tale insofferenza affondano nell’accordo del 21 giugno 1999 sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione Europea, che facilitò ai cittadini europei l’ingresso e il lavoro all’interno della Confederazione e fece esplodere la concorrenza fra il mercato del lavoro lombardo e quello ticinese. Svariati settori dell’economia cantonale si sono scoperti incapaci di competere con gli artigiani lombardi e con le piccole e medie imprese tricolori attratte da un regime fiscale e da un sistema burocratico più favorevoli all’attività economica. Così, i ticinesi sono diventati vittime del loro successo, attraendo lavoratori sempre più qualificati in grado di accaparrarsi posti di lavoro che sino a quel momento erano stati di loro esclusivo appannaggio.
A esacerbare le tensioni ha poi concorso la struttura dell’economia ticinese, con pochi settori ad alto valore aggiunto e molti impieghi relativamente meno specializzati rispetto alle altre regioni di frontiera elvetiche – come Basilea, con il suo polo chimico-farmaceutico; Ginevra, con i servizi finanziari e le organizzazioni internazionali; o l’Arco giurassiano, con l’orologeria. Negli ultimi tempi, inoltre, è andata erodendosi anche la rendita di posizione bancaria: Lugano ha visto un ridimensionamento del settore finanziario, con conseguente perdita di gettito fiscale e di impieghi. Su tale settore si è peraltro abbattuta la decisione del Consiglio federale svizzero (ottobre 2013) di aderire alla Convenzione Ocse sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale.
3. Con il voto del 9 febbraio, i ticinesi hanno dato voce al loro risentimento sia verso i transfrontalieri italiani – additati come causa dei problemi socioeconomici locali – sia verso il governo centrale di Berna e la sua incapacità di tutelare adeguatamente la «specificità» ticinese, tanto più dopo che il Consiglio federale aveva dato parere negativo al referendum contro gli stranieri. Se il Ticino è stato l’unico fra i Cantoni con una presenza di stranieri residenti superiore al 25% ad aver approvato il referendum, la specificità (in negativo) del mercato del lavoro cantonale rispetto al resto della Confederazione era già emersa nel 2010. In quell’anno infatti l’andamento della disoccupazione locale prese a divaricarsi rispetto alle altre grandi regioni svizzere, evidenziando una minor capacità di assorbimento dei disoccupati nelle fasi espansive del ciclo economico e la conseguente convergenza verso i tassi di disoccupazione delle aree italiane di confine[4].
La crisi d’identità politica dei ticinesi, scaturita dall’insicurezza sociale ed economica, ha portato al rigetto dei partiti storici e all’affermarsi della Lega dei ticinesi, lesta a cavalcare il malcontento popolare fino ad assicurarsi la maggioranza relativa del governo cantonale, con 2 consiglieri su 5. Le ricette della Lega in tema di fiscalità, lavoro e infrastrutture vanno dal contingentamento degli accessi al restringimento delle possibilità di stabilirsi in Ticino per artigiani e imprese straniere, passando per l’invocazione del principio di reciprocità, il taglio della spesa pubblica e un minor ruolo dello Stato nella vita dei cittadini. Ancora: disdetta unilaterale dell’accordo del 1974 con l’Italia sull’imposizione fiscale dei frontalieri, minaccia di ricorrere al blocco dei ristorni e richiesta del riconoscimento di uno «statuto speciale» per il Ticino.
Eppure, il fatto che negli ultimi anni l’economia ticinese sia stata comunque in grado di attrarre manodopera, qualificata o meno, riflette l’esistenza di una domanda di lavoro insoddisfatta. Che poi la reazione delle regioni di frontiera agli immigrati e ai transfrontalieri sia coincisa con un momento in cui l’interdipendenza fra Berna e Roma (e fra la Svizzera e l’Unione Europea) è ai massimi storici getta più di un’ombra sull’adeguatezza degli strumenti di cooperazione e di dialogo esistenti, nonché sulla capacità delle classi politiche nazionali di leggere e interpretare le dinamiche locali.
Note:
1. Elaborazioni Osservatorio economico Mise su dati Istat.
2. Commercio estero e attività internazionali delle imprese. Annuario 2014 Istat-Ice.
3. «Il tesoro degli italiani in Svizzera? Nel 2013 erano almeno 120 miliardi di euro», Il Sole-24 Ore, 14/11/2013.
4. E. STEPHANI, F. MULATERO, Disoccupazione: Ticino e Lombardia si allineano. Ufficio di statistica, maggio 2013.