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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

VREELAND

Sceglie lui dove incontrarci, in un piccolo bar del Lower East Side di New York, e prima dell’appuntamento mi manda un messaggino: «Ci vediamo presto davanti a un caffè ristretto e a un buon panino». Il panino che ordina dopo essersi tolto la mantella arancione è con rucola e bresaola. Stupito, gli chiedo se ai monaci buddisti è consentito mangiare carne, e lui sorride: «L’unica regola è che l’animale non deve essere ammazzato apposta. Vicino al mio monastero ci sono dei Giainisti che respirano con attenzione per non ingoiare gli insetti: noi buddisti siamo molto più tranquilli».
In sottofondo passano i Police e Eric Clapton: «In quanto monaco non dovrei neppure ascoltare la musica, ma devo dire che queste canzoni della mia adolescenza sono proprio magnifiche». Gli chiedo se soffre a mantenere il celibato: «Ora che ho 60 anni, spero sia più facile. Una volta ho orecchiato la storia di un monaco che a 90 anni ha perso la testa per una ragazza di 25, e mi sono chiesto: ma veramente bisogna soffrire fino a quell’età?». Più tardi mi dirà: «Vieni che ti porto a vedere le mie fidanzate». Scoprirò che non si tratta di ragazze.

In Monk With A Camera (regia di Tina Mascara e Guido Santi), il monaco-fotografo Vreeland sfoglia l’album dei ricordi e le foto di lui bambino sono scattate da Richard Avedon e Irving Penn, i fotografi scoperti dalla nonna Diana Vreeland, mitica direttrice di Vogue America dal 1963 al 1971. Il papà era un ambasciatore americano: Nicholas è nato a Ginevra e ha vissuto a Berlino e Marrakech («Eccomi sul cavallo del re del Marocco», ricorda guardando una foto). Tra gli amici d’infanzia, gli Agnelli: «Lapo lo conosco da quando è nato, siamo molto amici», e mi racconta del periodo in cui viveva con Priscilla Rattazzi, che nel film fa capolino con Richard Gere a parlare dell’amico monaco.
La vita di Nicholas – Nicki per gli amici che lo prendono in giro perché ancora adesso lucida i sandali da monaco come una volta faceva con le scarpe Church’s – inizia da un’infanzia italiana. «Corina, la nostra governante, era cattolicissima e ci seguiva ovunque, la chiamavamo “la tata” (in italiano, ndr). Andavamo a Portofino, avevamo una casa in Sardegna. Quando sono diventato buddista le ho presentato il mio maestro, ha letto dei libri del Dalai Lama. L’ultima volta che l’ho vista era in Francia, e faceva lunghe passeggiate con un vecchio prete. Mi ha detto: “Lui recita il rosario, io l’Om Mani Padme Hum. Ma di nascosto, senza dirglielo”. Corina era diventata buddista».
Nicholas invece ha conosciuto il buddismo leggendo Tintin in Tibet alla scuola francese che frequentava viaggiando con la famiglia. Da bambino nonna Diana, che lui chiamava «nonnina», lo portò a Berlino a vedere la statua di Nefertiti: «Mi ha passato così la sua idea della bellezza: nonnina credeva nel rendere più bello il mondo, e che il modo di farlo fosse condurre una vita magnifica». Più tardi avrebbe vissuto con lei, insieme sarebbero partiti per l’Asia. «Ricordo un viaggio in Giappone, a Kyoto, io ero con Priscilla e nonna era accompagnata da Fred Hughes, il businessman della Factory di Warhol, che in Italia chiamavano “il liscio”». Era il 1975: «Nonnina e “il liscio” stavano nella suite reale dell’albergo, io e Priscilla nella parte giapponese da cui ogni mattina partivamo per visitare la città. Ci ritrovavamo a pranzo: nonna mangiava entusiasta spaghetti alla bolognese stracotti scoperti nel menu, e noi la guardavamo esterrefatti, mentre diceva: “Non li volete provare anche voi? Sono fantastici”». Andarono a Hong Kong, dove Nicholas si fece fare da un sarto uno dei blazer che amava indossare prima di prendere la tonaca: «Un giorno nonnina venne con me e mi disse che invece della stoffa blu avrei dovuto usare del tessuto nero a scacchi bianchi. Le ho detto: “Nonnina, non ti farò mai più venire con me dal sarto”. E lei: “È la stessa cosa che mi dice sempre tuo nonno”».

Nicholas aveva scoperto la meditazione ben prima di incontrare Khyongla Rato Rinpoche, il suo ultranovantenne maestro. Accadde in Messico con Priscilla Rattazzi, sfogliando un numero di Time dedicato a Maharishi, il guru dei Beatles: «Alla fine dell’articolo c’era un paragrafo sulla meditazione: ho cominciato così». Ma è stata la fotografia a determinare le svolte nella sua vita spirituale: per fare foto, fece i primi viaggi in India, compreso quello che lo portò al tempio del Dalai Lama. Più tardi, quando viveva a New York, gli rubarono le macchine fotografiche: 
i soldi dell’assicurazione gli permisero di studiare buddismo a tempo pieno. E per finanziare la costruzione del suo monastero dopo la crisi del 2008 si mise a vendere le sue foto: in poche settimane, grazie anche agli amici, raccolse 400 mila dollari.
Per un monaco buddista anche la fotografia è un’intrusione del mondo spirituale, e negli anni Nicholas ha combattuto la sua passione tenendo talvolta la macchina chiusa in una scatola nella sua stanza in monastero. «Ora ho fatto pace con la fotografia, il vaso di Pandora è aperto», mi dice mentre beviamo il caffè ristretto. «In monastero tengo la macchina davanti a un muro bianco: quello è il mio studio». Gli chiedo quanti monaci ha: «Circa cento: erano dieci quando sono stato nominato abate». Da che cosa nasce la crescita nelle vocazioni? «Non lo so, ma non credo abbia a che fare con l’astinenza sessuale», mi dice sorridendo e invitandomi a uscire.
Nel gelo di New York mi spiega che in realtà la repressione del governo cinese ha rallentato l’afflusso di nuovi monaci. Mentre ci avviciniamo al parco di Tompkins Square gli chiedo cosa ha imparato in trent’anni da monaco: «Non saprei, in realtà impari da tutto. Vivere in India ti insegna ad aspettare, ad adattarti, l’India di certo non cambierà per fare posto alle tue esigenze. Poi c’è l’invecchiare, che ti rallenta, ma non ti cambia del tutto: come le direbbero i miei monaci, io mi arrabbio ancora. La tendenza resta quella, l’attaccamento alle cose, ma la felicità viene dall’accontentarsi di quello che si ha. Se ho fatto pace con la fotografia è anche perché mantenersi felici è fondamentale».
Ci fermiamo. Nicholas prende la macchina dalla borsa, e guarda l’albero maestoso che ci sta davanti: «Ecco la mia fidanzata, non è bellissima?». Comincia a scattare. Sembra felice.