Varie, 2 dicembre 2014
Cimiteri per Sette - A Verona vogliono costruire il primo cimitero verticale: 33 piani per un totale di 2
Cimiteri per Sette - A Verona vogliono costruire il primo cimitero verticale: 33 piani per un totale di 2.676 cappelle e 21.412 loculi, cui vanno sommati 1.920 loculi comuni e 576 cinerari al piano secondo. All’ultimo piano, la chiesa. Nel palazzone anche sale commemorative, uffici, caffetterie, librerie e il Museo della Morte (15.000 metri quadrati). La parola cimitero, dal greco koimeterion, posto del sonno, dormitorio. In Italia ci sono oltre quindicimila cimiteri, per un totale di oltre cento milioni di tombe. Nell’antica Roma, i morti venivano sepolti fuori dal pomerium, il recinto sacro della città, in quanto ritenuti fonte di contaminazione. Tutti avevano il loro loculus, il luogo di sepoltura, lungo le vie fuori del pomerium. Dal periodo repubblicano in poi, si estendono le catacombe, ovvero sepolture in cunicoli sotterranei, riservate ai meno abbienti e ai cristiani. Le tombe a muro chiamate colombari, particolarmente diffuse oggi per ragioni di spazio. Si chiamano così perché ricordano le nicchie scelte come ricovero dai piccioni. Già in uso presso i romani che hanno coniato il nome, colombarium. Sempre i romani, nel primo secolo dell’Impero, trovarono una pietra calcarea che ritenevano capace di consumare rapidamente i cadaveri: di lì deriva il sarcofago (mangiatore di carne), ovvero il sepolcro forgiato in quella pietra. Nel Medioevo si seppelliva ad sanctos et apud ecclesiam, vicino ai santi e presso le chiese. I ricchi potevano permettersi sepolture sotto al pavimento della chiesa, i poveri nelle fosse comuni all’esterno. Da questa usanza, il termine italiano camposanto. Filippo II si trovò costretto a far recintare il cimitero degli Innocenti a Parigi per impedire che i maiali dissotterrassero i cadaveri. Decisioni simili furono prese a Rouen nel 1302, a Bruges nel 1337, a Nancy nel 1385 e a Norimberga nel 1416. Il primo paese a vietare le sepolture nelle chiese fu l’Austria, per decisione di Maria Teresa. Napoleone, nel 1804, con l’editto di Saint Cloud, promulgato nel 1804, vietò espressamente la costruzione di cimiteri nelle zone abitate. L’Inghilterra si adeguò nel 1850, col Metropolitan Internment Act. Il Père-Lachaise, inaugurato nel 1804, già nel 1860 contava settantamila visitatori l’anno. Il nome deriva dal confessore personale di Luigi XIV, padre Françoise de la Chaise, chiacchierato gesuita che amava la bella vita e abitava lì dove poi è sorto il cimitero. All’inizio i parigini non volevano andare al Père-Lachaise perché ritenuto fuori mano. Per attirare visitatori, vi seppellirono le presunte spoglie di Molière e di La Fontaine. E, dopo ancora, quelle di Abelardo ed Eloisa. Da allora diventò di gran moda. «Io canto il Père-Lachaise per il suo ridicolo, il suo carattere insensato, la sua inutilità, la sua improprietà, la sua stupidità, giacché è pura poesia» (Alejandro Jodorowsky). Alcuni dei cadaveri eccellenti del Père-Lachaise: Colette, De Musset, Chopin, i Delacroix, Modigliani, Oscar Wilde, Jim Morrison. Tra le tante singolari sculture funerarie del Père-Lachaise, quella di Victor Noir, raffigurato coricato, come caduto a terra, vestito di tutto punto e con il cappello che rotola via accanto. Era un giovane giornalista, fu ucciso da Pierre Bonaparte. Secondo una leggenda, toccare i testicoli della statua di Noir porta fortuna. Quel punto, sempre lucidissimo per via dei palpeggiamenti. «Una visita al Père-Lachaise a Parigi aggiunge un anno di vita» (James G. Ballard). La tomba di Oscar Wilde è costituita da una sfinge alata realizzata, nel 1912, dallo scultore inglese Jacob Epstein. La statua, intitolata Flyng Demon Angel, è continuamente imbrattata da visitatore feticisti che le hanno mutilato i genitali e con il rossetto lasciano le impronte delle loro bocche. In Australia i bordelli non possono essere costruiti a meno di 200 metri di distanza dai cimiteri, per non disturbare il riposo dei defunti. A Parigi c’è l’abitudine di andare a far lumache ai cimiteri. Nel cimitero Kerepesi di Budapest, tra i monumenti curiosi quello di Miklos Ligeti: una poltrona con dei vestiti, un bastone e un cappello appoggiati, privi ormai del loro proprietario, assente per sempre. Al cimitero di Staglieno la tomba di Caterina Campodonico, venditrice di noccioline alla fiere, che fece economia al punto di potersela permettere. La statua raffigura la donna nei suoi panni popolari con in mano una corona di noccioline (secondo alcuni è un rosario). A dieci chilometri da Dingle, Irlanda, un cimitero di nome Gallarus Oratory (IX secolo) con pietre sepolcrali dotate di fori dove infilare le dita per stipulare un patto. Nella panchina vicino alla tomba di Bertold Brecht, a Berlino, cimitero di Dorotheenstädtischer, giovani attori sono soliti andare a studiarsi i copioni. La tomba di Keats a Roma non riporta il suo nome, ma solo la seguente frase: «Questa tomba contiene tutto ciò che era mortale di un giovane poeta inglese. Qui giace uno il cui nome era scritto nell’acqua». Wilde definì il cimitero acattolico di Roma «il posto più santo di Roma». Per Ernest Hemingway, Staglieno, il cimitero di Genova, era «una delle meraviglie del mondo». L’attrice Sarah Bernhardt riposa in una bara in legno rosa, quella dove amava addormentarsi, in casa. Al monumentale di Torino riposa Fred Buscaglione. Dietro il vetro della cappella si intravedono un sigaro, una bottiglia di whisky, tre bicchieri e il suo ritratto. A fianco alla tomba di Totò, a Napoli, c’è quella di Liliana Castagnola. Era una soubrette che lavorava con l’attore nei primi anni della sua carriera teatrale e che si era innamorata di lui a tal punto da suicidarsi con il sonnifero per l’amore non corrisposto. Le ceneri di Maria Callas furono gettate in mare. Il regista Franco Zeffirelli, amico della cantante, racconta che lei mai e poi mai avrebbe voluto essere cremata. E che lei stessa ripeteva che mai e poi mai sarebbe andata a trovare al cimitero qualcuno che si fosse fatto cremare. Siccome in Germania quasi tutti scelgono la cremazione, molti cimiteri stanno chiudendo, oppure vengono trasformati in altro: quello di St.Marien und St.Nikolai a Berlino-Prenzlauerberg è diventato “parco della quiete”, quello di St. Simeon und St. Luka farà spazio a un supermercato, mentre nei terreni d’un camposanto di Neukoelln, quartiere multietnico, sorgeranno case popolari per 400 appartamenti. In Cina si stanno diffondendo i cimiteri privati, che fruttano parecchi soldi a chi li costruisce. Funzionano così: gli speculatori, tramite tangenti, riescono a ottenere terreni in concessione dallo Stato o dai villaggi. Sempre con le mazzette si guadagnano il permesso a destinare l’area alla costruzione di tombe per accogliere le urne con le ceneri. Alla fine mettono all’asta i posti per le sepolture. Come se non bastasse, ci sono alcuni che comprano più di una tomba e poi le rivendono al maggior offerente guadagnando cifre spropositate. Il Quotidiano Legale di Pechino denuncia inoltre un giro di tombe di lusso, con giardini e arredi interni: sepolcri di venti o trenta metri quadrati, venduti a mille euro al metro. Gli ebrei indicano i cimiteri con il nome di “bet-chaim” che, alla lettera, significa casa dei vivi. In arabo sono chiamati “rawda”, che indica sia cimitero sia giardino. La gamma degli alberi posizionabili al cimitero è limitata, perché devono avere radici che si sviluppano verticalmente in modo da non invadere le sepolture nella terra. Il cipresso simboleggia l’immortalità dell’anima. Gli antichi ne usavano il pregiato legno per le porte dei templi. Per i Romani era simbolo di morte, durante il romanticismo diventò sinonimo di disperazione. Il modo di dire «andare agli alberi pizzi» (ovvero appuntiti) per indicare il morire. Il tasso era l’albero funebre dei celti, per la sua longevità. Il bosso, nei paesi nordici, era considerato capace di mettere in contatto con l’aldilà. L’edera che si lascia crescere sulle tombe rappresenta il ricordo. I cimiteri arborei di alcune popolazioni africane e dell’Oceania, dove i cadaveri erano sepolti nelle cavità di grandi alberi come i baobab.