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 2014  dicembre 02 Martedì calendario

ANDATECI VOI GRATIS IN TV

Mi hai chiamato a far da ospite del tuo talk show, io vengo e dunque tu mi paghi. No, io non ti do un centesimo che sia uno, te vieni gratis e ringrazia Iddio che ti ci faccio venire. Eccola qui la regola produttiva e l’anima morale di questo format televisivo di cui i commentatori dicono che è in crisi di ascolti perché i più rinomati tra loro stentano a toccare il 6 per cento di share, e invece a me pare un miracolo che ogni sera ci siano uno/due milioni e anche più di telespettatori che abboccano alle primizie pronunciate da Alessandra Moretti, Daniela Santanchè o da un qualche grillino di seconda o terza fila (e ammesso che nel Movimento 5 Stelle esista una prima fila, dico nel senso della qualità), ma anche da avvocati che hanno preso l’aereo alla mattina presto pur di esserci anche loro nella “fiera delle vanità” televisive o autori di libri che si presentano tenendo per i denti la copertina del loro ultimo libro da promuovere. Tutti rigorosamente a costo zero. Un disastro per chi del proprio lavoro ci vive, quale il sottoscritto, uno che in tv gratis non ci va nemmeno a dire che ora è. Quando alla mattina presto partecipavo ad Agorà, un intelligente talk su Rai 3, mi dicevano che ero l’unico a essere pagato. Naturalmente facevo un figurone rispetto a quelli che andavano lì gratuitamente. Da quando il mio amico Andrea Vianello è divenuto direttore di Rai 3 non mi invitano più. Nel loro budget quelle poche centinaia di euro evidentemente non ci sono più.
I talk show televisivi esistono, e continuano, e insistono, semplicemente perché costano pochissimo a Urbano Cairo o alla Rai. La paga al conduttore, e ce ne sono che hanno arraffato un malloppo mica male (che invidia!). La paga degli autori. Tutto il resto a gratis. I politici di professione ci rimettono anche le spese di viaggio, va bene che loro hanno le auto blu. E vorrei vedere il contrario. Per uno di loro che va a un talk show, si siede comodo e pronuncia il suo credo politico-filosofico meglio se con voce rauca e occhi sguainati a odiare il dirimpettaio, quella presenza televisiva – quel mostrare la sua faccia, la sua grinta, gli occhi azzurrissimi della Moretti – è una manna. È autocelebrazione, è trionfo professionale. È cento volte meglio di un comizio a Piazza del Popolo, come se ne facevano quarant’anni fa. È politica alla grande. Perché a questo è ridotta la miserevole politica italiana: alle chiacchiere televisive che dalle otto del mattino alla mezzanotte si scambiano una compagnia di giro, sia detto con rispetto delle persone. Non siamo al tempo in cui Enrico Berlinguer faceva il bilancio di quanto era accaduto nel Cile di Salvador Allende e ci scriveva sopra un saggio tra le 50 e le 60 cartelle; siamo al tempo del tweet e di un ministro della Cultura francese che ammette di non aver letto un libro negli ultimi due anni.
Il peccato originario era stato il Maurizio Costanzo Show, il più bel talk televisivo nella storia della tv italiana. Cominciava attorno alle undici di sera, quando ancora esisteva la “seconda serata”. Otto o nove ospiti a botta. Tutti rigorosamente gratis. (Ci sarò andato 70-80 volte). Solo che quegli ospiti avrebbero dovuto essere grati per sempre alla maestria del conduttore. Loro avrebbero dovuto pagare, non il contrario. Puoi fare una lunga lista di quanti a Costanzo devono molto della loro ascesa professionale, e del resto quei nomi di comici o opinionisti o bellimbusti o starlettes sono stati fatti tante volte. Che bella televisione che era. Di canali televisivi vitali e operanti ce n’erano sei o sette, ma bastavano e strabastavano e dappertutto le paghe erano decenti.
Adesso di euro a rendere più appetibili i palinsesti non ce ne sono più, di canali televisivi invece ce n’è a centinaia e si contendono i telespettatori uno a uno, e su alcuni di quei canali vengono programmate quelle serie televisive americane che in fatto di politica – da 24: Live Another Day a Homeland – ti insegnano molto più di quanto non facciano i talk di Santoro o di Floris. Serie che lavorano su una materia – le guerre del terzo millennio, il terrorismo, il sottile muro divisorio che fa di un uomo un eroe o una canaglia – infinitamente più bruciante che non lo sparare banalità sull’annosa questione se Renzi sia Superman o un mucchietto di fuffa toscana. L’annosa questione che sera dopo sera fa da canovaccio di tutti i talk show e dei loro esuberanti ospiti a costo zero.