Stefano Vergine, D, la Repubblica 29/11/2014, 29 novembre 2014
L’ULTIMO ELDORADO
Carmen, la maitresse del più antico bordello di Kalgoorlie, dice che un tempo questa era una vera città, mentre ora è solo un punto di passaggio. «Quando sono arrivata, nel 1993, conoscevo la faccia di ogni uomo che entrava nel bordello. Adesso sono tutti volti nuovi, e per di più stranieri. Stanno qui alcuni mesi, qualcuno resiste uno o due anni, poi se ne vanno e vengono sostituiti da altra gente in cerca di fortuna». Pur vivendo qui da soli 20 anni, questa donna sulla sessantina, caschetto biondo e accento britannico, è una delle memorie storiche di Kalgoorlie. Con i suoi 30mila abitanti raccolti in mezzo al “bush” del Western Australia, a quasi 600 chilometri dalla capitale Perth, la cittadina è oggi tornata al centro dell’attenzione di giovani di mezzo mondo a caccia di rapidi guadagni.
Conosciuta da oltre un secolo come capitale australiana dell’oro, scoperto per la prima volta nel 1893 dall’irlandese Paddy Hannan, Kal (come la chiamano i suoi abitanti) ha seguito l’altalenante corsa del prezzo della materia prima sui mercati mondiali. Periodi di estrema fortuna, con pionieri trasformatisi rapidamente in miliardari, seguiti da anni di prezzi bassi e fughe di massa. Lo testimoniano le cittadine fantasma che si incontrano sulla Golden quest discovery trial, un percorso di quasi mille chilometri che da Kal si snoda verso nord raccontando la storia degli ultimi 100 anni di questa terra ricca d’oro e incredibili vicende. Come quella di Modesto Varischetti, bergamasco sopravvissuto nove giorni nelle viscere di una cava d’oro allagata. O quella raccontata da Emilio Gabbrielli nel romanzo Polenta e Goanna: la vita di Gino Minozzi, uno dei tanti italiani venuti qui a caccia di fortuna e rimastovi fino alla morte, dopo aver messo su famiglia con una donna aborigena.
Molti di questi torridi paesini sono ormai un cumulo di polvere e lamiere arrugginite, con i soli cimiteri rimasti a ricordare la gloria di un tempo. Kalgoorlie, capitale dei Goldfields, è invece tornata al centro dell’attenzione. Le incertezze sullo stato dell’economia mondiale, prima fra tutte la crisi dell’eurozona, hanno spinto negli ultimi anni gli investitori a comprare oro, bene rifugio per eccellenza. E così i prezzi sono saliti alle stelle, come indica il cartellone luminoso piazzato all’entrata del Palace Hotel, famoso per aver ospitato agli inizi del Novecento l’ingegnere minerario Herbert Hoover, divenuto in seguito il trentunesimo presidente degli Stati Uniti. «Per questo motivo negli ultimi anni è arrivata qui gente da tutto il mondo», spiega Jeena, manager di una agenzia di lavoro. Europei, asiatici, arabi, neozelandesi: Kal è il punto di passaggio di migliaia di Fifo, acronimo di “fly-in fly-out”, gente che resta appena il tempo di accumulare i soldi necessari a realizzare il proprio progetto e torna da dove è venuta. La maggior parte lavora in cima alla collina di terra rossa che sovrasta Kalgoorlie.
Il Super Pit è qui: una voragine profonda 500 metri e lunga 3,6 chilometri. È la più grande miniera d’oro d’Australia, controllata dall’americana Newmont e dalla canadese Barrick, accusate di aver rilasciato nell’ambiente 7 tonnellate di mercurio tra il 2004 e il 2005. Alla gente di Kal sembra interessare poco: «Non so molto di questa storia», glissa Jarrod Lucas, caporedattore del quotidiano locale Kalgoorlie Miner. «Di certo la miniera dà lavoro a 1.200 persone e qualche tempo fa è stata estratta la 56milionesima oncia d’oro». Soldi, soldi e ancora soldi. D’altronde qui non c’è molto da fare, se non pensare a guadagnare il più possibile. Un tempo accampati in tende piazzate intorno alle miniere, i lavoratori alloggiano oggi negli ostelli situati su Hay street, la via dei bordelli. James, scozzese di 28 anni, ha trovato impiego nel Super Pit come assistente alle perforazioni. Guadagna 2.500 dollari a settimana. Operaio specializzato? No, a Glasgow faceva il barista. «La vita qui è dura», racconta: «Si lavora 12-13 ore al giorno, con turni diurni e notturni, temperature fino a 50 gradi, mosche da ogni parte e la consapevolezza che a questi ritmi gli incidenti possono capitare. Io però mi concentro sui soldi che sto guadagnando, e penso a quando potrò aprire il mio pub in Scozia».
Le cose non sono cambiate rispetto a 100 anni fa. Kalgoorlie continua ad attirare gente disposta a spezzarsi la schiena per realizzare i propri sogni. E nonostante un McDonald’s appena aperto, la cittadina mantiene il fascino del Far West, con le cameriere che servono ai tavoli in topless, i fine settimana all’insegna dell’alcol, le scazzottate fuori dai pub, i bordelli ad allietare la dura vita del minatore. «Non c’è molto da fare se non fumare, bere e andare nei bordelli, anche perché qui non ci sono molte ragazze», si sfoga Hayden, 25enne venuto dalla Nuova Zelanda a lavorare nel Super Pit. In effetti girando per Kal i volti femminili sono pochi. Per questo la polizia ha sempre chiuso un occhio sulla prostituzione. Fino a 10 anni fa le case d’appuntamento erano concentrate su Hay Street, una via poco distante dal centro. «Poi», ricorda Carmen, «il governo locale ha cancellato la legge sul contenimento della prostituzione e in poco tempo sono sorte decine di case private piene di ragazze asiatiche». Il risultato è che su Hay street sono rimasti solo due bordelli. «Ormai noi minatori andiamo in periferia», racconta Hayden.«Lì mezz’ora di sesso costa 120 dollari, la metà dei vecchi bordelli». Come per le miniere, anche per la prostituzione vale il “fly-in fly-out”. Le ragazze arrivano da tutto il mondo, restano il tempo di accumulare per realizzare il proprio progetto e tornano da dove sono venute. A meno di restare intrappolate nella dipendenza dai soldi facili. Proprio quello che l’oro ha rappresentato per i cercatori d’un tempo: una febbre incontenibile capace di indurre a rischi eccessivi, talvolta mortali.