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 2014  dicembre 02 Martedì calendario

PIER PAOLO PASOLINI VENNE UCCISO DA PIÙ PERSONE. A QUASI QUARANT’ANNI DA QUEL 2 NOVEMBRE 1975, SUI VESTITI DELLO SCRITTORE E REGISTA SONO STATE TROVATE TRACCE DI DNA DIVERSE DA QUELLO DI PINO PELOSI. PER VELTRONI «SI ARCHIVIA PER SEMPRE UNA VERITÀ UFFICIALE CHE FORSE HA FATTO MOLTO COMODO MA CHE ERA INSOSTENIBILE»

Non è più una supposizione ma una certezza scientifica. Pier Paolo Pasolini, la notte del 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia, venne ucciso da più persone. Cade dopo quarant’anni la verità ufficiale: Giuseppe Pelosi non fu l’unico assassino. Sui vestiti dello scrittore e regista sono state trovate tracce di Dna diverse da quello di Pelosi. Forse altri tre, i codici genetici sarebbero stati abbinati ad alcuni nomi che la Procura di Roma ha inserito in una lista di sospettati, non ancora tecnicamente indagati.
L’analisi è stata voluta dal cugino di Pasolini, Guido Mazzon, che ha fatto riaprire il caso nel 2010 con la denuncia dell’avvocato Stefano Maccioni. E ieri Pelosi, ascoltato come testimone dal pubblico ministero Francesco Minisci nella nuova inchiesta, ha raccontato, stando alla ricostruzione del suo avvocato Alessandro Olivieri: «C’erano tre automobili, una motocicletta e almeno sei persone ma non so dire chi fossero. Oltre all’Alfa Gt di Pasolini c’era una Fiat 1300 e un’altra Alfa identica a quella di Pier Paolo». Versione che Pelosi aveva confermato nel dicembre 2011, durante un incontro pubblico con Walter Veltroni, l’ex sindaco di Roma che decise per la costituzione in parte civile del Campidoglio nel processo Pasolini.
Di quella giunta faceva parte Gianni Borgna, assessore alla Cultura, che con Veltroni condivise, con scritti e studi, una assoluta certezza: cioè che Pasolini fosse stato ucciso da più persone. Infine Pelosi ammette, per la prima volta, di aver frequentato «per mesi» Pasolini prima dell’omicidio.
Commenta Veltroni: «Scoprire che uno dei più grandi intellettuali di questo Paese sia stato ucciso da più persone e non da un solo ragazzo cambia una pagina di storia non solo giudiziaria italiana. Sul Corriere della Sera scrissi, il 22 marzo 2010, una lettera aperta al ministro dell’interno Angelino Alfano per chiedere la riapertura del caso Pasolini convinto, come dimostrano ora i fatti, che le nuove conquiste scientifiche potessero dare un quadro di nuove certezze. Si rischiara così un buio fitto durato quarant’anni. E mi fa piacere qui ricordare la comune convinzione che Gianni ed io abbiamo sempre avuto insieme, e le comuni battaglie combattute».
Pelosi dice che quella notte c’erano almeno sei persone. Cosa ne pensa? «Che si archivia per sempre una verità ufficiale che forse ha fatto molto comodo ma che era insostenibile. Lo spiegò già Alfredo Carlo Moro, allora presidente del Tribunale dei minorenni di Roma, che nella sentenza di condanna di Pelosi a nove anni, sette mesi e dieci giorni, scrisse il 26 aprile 1976: “Il collegio ritiene che dagli atti emerga in modo imponente la prova che quella notte all’Idroscalo il Pelosi non era solo”». Quelle sei persone, secondo la ricostruzione, sarebbero allora arrivate a Ostia decise a uccidere Pasolini. Ma perché? E per quale ragione? Lei è convinto della tesi del complotto politico, del Pasolini troppo «scomodo» e quindi da eliminare? «Io non sono un complottista. Ma tra questo e l’ accontentarsi di una verità ufficiale non credibile c’è una via di mezzo nella quale vorrei collocarmi... Non so rispondere a questa domanda. E credo che nessuno sia ora in grado di farlo. Sono possibili mille teorie. Ma io so, a questo punto, che Pelosi non era solo. Che c’erano altre persone con lui. Che un uomo forte, atletico e allenato come Pasolini mai si sarebbe fermato di fronte all’aggressione di un solo ragazzo. Per di più per una ricostruzione assurda, conoscendo Pier Paolo: cioè che lui volesse sodomizzare Pelosi con un bastone e che il ragazzo avrebbe reagito con violenza. Ma basta guardare le foto per capire».
Cambierà l’immagine di Pasolini nella percezione collettiva? «La grandezza di questo intellettuale libero e imprevedibile sta nell’aver resistito a tutta la storia giudiziaria, col suo lavoro e le sue idee»