Massimo Gaggi, Corriere della Sera 2/12/2014, 2 dicembre 2014
NEGLI USA LA FESTA DEL RINGRAZIAMENTO SI TRASFORMA IN UN VENERDÌ NERO. LE VENDITE IN QUELLO CHE È, TRADIZIONALMENTE, IL GIORNO PIÙ CALDO DELLO SHOPPING AMERICANO CROLLANO DELL’11 PER CENTO. LA RECESSIONE, IL CETO MEDIO IMPOVERITO, LA DISEGUAGLIANZA DEI REDITTI E POI FERGUSON
Il “venerdì nero” del crollo del prezzo mondiale dei materie prime a partire dal petrolio, una notizia da festeggiare in tempi normali ma non quando in molti Paesi è diffuso il timore di passare dalla recessione a una pericolosa spirale deflazionista, è stato accompagnato, negli Usa, da un imprevisto calo delle vendite in quello che è, tradizionalmente, il giorno più caldo dello “shopping” americano. I dati della Federazione nazionale dei dettaglianti parlano di un calo delle vendite dell’11% che interessa tanto il commercio nei negozi quanto quello online. Nel weekend della festa del Ringraziamento ben 133,7 milioni di americani sono usciti a fare acquisti: un esercito sterminato che, però, ha perso il 5% degli effettivi rispetto all’anno scorso.
Con l’Europa e il Giappone in recessione e i Paesi emergenti che rallentano il ritmo di crescita, non è questa la notizia che uno vorrebbe sentire dall’unica economia che ancora tira: quella americana. Pil e occupazione crescono, le Borse si apprestano a concludere l’anno con guadagni consistenti. E allora perché questi segnali negativi dai consumi? Molti pensano che questi dati riflettano le caratteristiche squilibrate della ripresa americana, con un ristretto ceto di imprenditori, professionisti creativi e lavoratori specializzati che ha beneficiato della crescita mentre per tutti gli altri – i lavoratori a basso reddito ma anche il ceto medio impoverito – la recessione non è mai finita.
Le forti diseguaglianze nella distribuzione del reddito sicuramente stanno avendo effetti negativi sulla salute dell’economia, oltre che sulla tenuta del tessuto sociale dell’America, ma questa lettura da «recessione permanente» è probabilmente troppo pessimistica. Molti analisti fanno notare che quest’anno alcune grandi catene come i supermercati Wal Mart hanno anticipato a inizio novembre la campagna dei supersconti che vengono lanciati in occasione del Black Friday. E il sondaggio è su un campione ristretto di consumatori intervistato all’uscita dai negozi: molti di loro non hanno una percezione precisa di quello che hanno speso davvero.
Adesso si aspettano con ansia i dati ufficiali sulle vendite di auto nel mese di novembre. Quelli ufficiosi trapelati ieri sembrano giustificare un maggiore ottimismo: 1,3 milioni di veicoli venduti con un incremento del 3-4%. A beneficiarne, tra le case americane, sarebbe stata, però. quasi solo Fiat-Chrysler (+12%) soprattutto grazie al perdurante boom della Jeep, mentre la General Motors si sarebbe fermata a un modesto +1,4% e la Ford avrebbe addirittura perso quasi un punto percentuale.
Insomma, segnali allarmanti da non sottovalutare, ma è presto per fasciarsi la testa anche negli Stati Uniti dove ieri Wall Street ha reagito alle notizie negativa con un calo dell’indice Dow Jones, ma di entità molto modesta. Certo, fa impressione notare che nel week end del Thanksgiving le uniche vendite in forte crescita sono state quelle di armi da fuoco: venerdì scorso gli armieri hanno chiesto al FBI 144 mila background check, i controlli sull’identità degli acquirenti di armi da fuoco: il triplo del normale. Probabilmente un «effetto Ferguson» che, con le manifestazioni di protesta in tutto il Paese, può aver momentaneamente ridotto l’appetito del vorace consumatore americano.