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 2014  novembre 30 Domenica calendario

LA FAMIGLIA, IL PARTITO E IL SUDAFRICA: I TRADITORI DI MANDELA

A un anno dalla scomparsa di Nelson Mandela, padre fondatore della democrazia in Sudafrica, lo spirito della sua eredità politica, improntata a moralità, democrazia e integrazione razziale, sembra affievolirsi sempre di più nel Paese che lui ha condotto verso la libertà e, più in generale, in Africa.
I primi a tradire quello spirito sono stati i suoi parenti. Subito dopo la morte di Mandela, la figlia Makaziwe e il nipote Mandla si sono contesi aspramente, e sotto gli occhi di tutti, il ruolo di capofamiglia, sebbene fossero entrambi palesemente indegni di prendere il posto dell’illustre congiunto. Mandla Mandela è stato processato più volte per non avere versato gli alimenti per il mantenimento dei figli, per un’accusa di aggressione ai danni di una donna in seguito a un incidente d’auto e per bigamia. Al capezzale di Mandela, Makaziwe, nata dal suo primo matrimonio, e Zenani, nata dal secondo, hanno avviato un’azione legale per assumere il controllo di un fondo fiduciario istituito dal padre nel 2005 e destinato ad assicurare sostegno finanziario alle figlie, ma solo se si fossero trovate in difficoltà. Mandela voleva che figli e nipoti si rendessero indipendenti col proprio lavoro, senza prosciugare i beni di famiglia, come invece sembra accada.
Il partito dell’African National Congress (Anc) ha abbandonato il cammino esemplare avviato da Mandela. Governa sempre più per favorire gli interessi della piccola élite vicina ai vertici del partito, anziché per il bene del Paese. Valga ad esempio il fatto che l’Anc e il presidente del Sudafrica, Jacob Zuma, sono stati accusati di avere sperperato l’equivalente di oltre 22 milioni di euro pubblici per costruire la villa privata dello stesso Zuma. Molte famiglie di poveri di colore che abitavano nelle vicinanze sono state costrette ad abbandonare le proprie case e trasferirsi altrove perché costituivano «un rischio per la sicurezza» del presidente.
Prima di essere eletto presidente di Anc e Sudafrica, Zuma era stato accusato dello stupro della figlia sieropositiva d’un amico. Si era difeso affermando di avere avuto con la ragazza un rapporto consensuale non protetto, dopo il quale si era fatto una doccia per evitare il contagio: che l’Anc abbia voluto come presidente un personaggio di moralità così discutibile dice molto su quanto il partito sia lontano dall’esempio di Mandela.
In questi ultimi anni il Sudafrica è stato percorso da ondate di proteste violente, perlopiù di gente di colore e di sostenitori dell’Anc, contro il malfunzionamento dei servizi pubblici, la criminalità diffusa, la corruzione, l’indifferenza e l’inaffidabilità di esponenti politici e funzionari. Non considerando le sollevazioni nei Paesi nordafricani degli ultimi anni, e forse anche la Cina, il Sudafrica è il Paese a più alta intensità di proteste popolari del mondo.
Mandela si era adoperato con vigore per inculcare il rispetto delle nuove istituzioni democratiche, delle regole e delle leggi, così come per dare corpo a una cultura di democrazia politica nel Sudafrica gravato da un lungo passato di autocrazia. In diverse occasioni, in veste di presidente, si era inchinato alle indicazioni della magistratura, per dimostrare che anche come capo di Stato doveva rispondere alle istituzioni democratiche. Mandela non risparmiò energie per affermare il rispetto del parlamento come simbolo della nuova democrazia fondata su istituzioni rappresentative. Allo stesso tempo fece il possibile per mostrare rispetto all’opposizione, impegnandosi per farne partecipare i gruppi al governo di unità nazionale. Zuma sembra preoccupato solo di piazzare gli amici nelle posizioni di potere, mentre si rifiuta di comparire in parlamento per rispondere alle domande dell’opposizione, sostenendo di essere al di sopra del parlamento. Mandela, forte della sua filosofia di integrazione politica e della sua onestà, libero da ogni ombra di corruzione, seppe restituire dignità ai sudafricani, neri e bianchi, che indistintamente e con orgoglio lo riconoscevano come loro leader.
Per ironia della sorte, ora Zuma e l’Anc, a forza di malgoverno e corruzione, dividono il Sudafrica e accrescono la povertà dei neri, generando rabbia e razzismo. Per le elezioni del maggio scorso, Zuma e l’Anc sono arrivati a pregare gli elettori disillusi di dare fiducia al partito un’ultima volta in onore di Mandela. L’approccio all’integrazione tipico di Mandela, la sua umanità e la sua onestà erano il collante che teneva insieme l’Anc, ma ora che Mandela non c’è più — e che anche la sua impronta democratica è scomparsa — è probabile che il più vecchio movimento di liberazione dell’Africa si frammenti. Da quando Zuma è diventato presidente nel 2009, l’Anc ha già vissuto tre grosse scissioni: nel 2009, rappresentanti del ceto medio dell’Anc si sono staccati per formare il Congress of the People (Cope); nel 2013, diversi membri della Lega Giovanile dell’Anc hanno dato vita agli Economic Freedom Fighters; ed entro fine anno l’Unione dei Metalmeccanici (Numsa), il maggiore sindacato del Paese, finora schierato con l’Anc, si costituirà in partito, dopo aver dichiarato guerra a corruzione, cattiva gestione interna e mancanza di democrazia nell’Anc.
Sono sempre più numerosi i giovani sudafricani che, scontenti dell’operato dell’Anc, accusano ora Mandela di avere mediato troppo. Julius Malema, ex leader e agitatore della Lega Giovanile dell’Anc che, dopo la rottura con Zuma, ha fondato il nuovo partito populista Economic Freedom Fighters, accusa Mandela di avere svenduto i principi di fondo mettendo l’accento sulla riconciliazione fra neri e bianchi e permettendo a questi ultimi, che si erano arricchiti durante l’apartheid, di mantenere le proprie ricchezze anziché nazionalizzare le loro terre, fabbriche e miniere, come in Zimbabwe.
Mandela si era concentrato sui fondamenti della nuova democrazia: dare corpo al nuovo sistema politico, creare nuove istituzioni, rivedere l’impianto dell’apparato legislativo e costruire fin da subito un clima di fiducia fra la comunità nera e quella bianca. Riuscì così a mantenere il seguito che la maggior parte della gente di colore aveva nell’Anc ma anche a sopire le paure della classe media bianca, che si sentiva minacciata dal governo a predominanza nera.
In ogni caso, è sbagliato incolpare Mandela se il Sudafrica non è riuscito a creare un efficiente sistema di servizi e a creare lavoro e opportunità per la comunità nera. Con tutto il denaro pubblico sperperato negli ultimi vent’anni dai governi dell’Anc o svanito nella corruzione, il Sudafrica avrebbe potuto facilmente creare milioni di posti di lavoro per i neri meno abbienti, riducendo così povertà e diseguaglianze. Stando a dati del Council for the Advancement of the South African Constitution, il Paese perde ogni anno il 20% del Pil a causa della corruzione. Cifre fornite dallo stesso governo mostrano inoltre che, dal 1994 a oggi, il Sudafrica ha perso l’equivalente di 80 miliardi di euro a causa della corruzione nell’apparato pubblico. E il Paese ha bruciato molto probabilmente altri 40 miliardi di euro in sperperi e inefficienze.
Anche le politiche sbagliate hanno avuto dei pesanti costi. Il governo ha varato misure di sostegno all’economia nera, per cui le compagnie dei bianchi devono garantire ai neri delle compartecipazioni e devono inserirli nei loro direttivi. I beneficiari di queste misure, tuttavia, sono pochissimi neri — forse non più di una trentina — legati a doppio filo con l’Anc. Il ministero dell’Industria e Commercio (Dti) ha evidenziato che, con le politiche di sostegno all’economia nera, 40 miliardi di euro sono finiti nelle mani di pochi individui tra il 1994 e il 2005 (il periodo 2005-14 non è conteggiato). Se tale cifra fosse stata destinata all’istruzione della popolazione di colore, avrebbe prodotto notevoli cambiamenti.
La mia tesi è che, pur tenendo conto che nel 1994 Mandela doveva fare compromessi con i bianchi per favorire la pace, se le risorse economiche ereditate dal governo Anc in quello stesso anno fossero state utilizzate meglio e fossero state distribuite in modo più equo tra i neri, il Sudafrica avrebbe ridotto in modo significativo la povertà.
Anche nel resto dell’Africa l’eredità democratica di Mandela è sott’attacco. Lui riteneva che i leader africani dovessero far valere i diritti umani, la democrazia, l’inclusione etnica, e combattere la corruzione. Voleva che si comportassero in modo democratico, attento, onesto. S’oppose alla proroga del proprio mandato presidenziale, un modo per far capire agli altri capi di Stato che una prolungata permanenza al potere è un grave problema della leadership africana, che contribuisce a un’immagine negativa del continente.
Mandela restò profondamente deluso quando Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, anziché far tesoro di quest’importante lezione, continuò a restare al suo posto, rafforzando così l’immagine negativa secondo la quale i leader africani preferiscono morire al potere piuttosto che abbandonare la poltrona. Oggi Mugabe sta brigando perché a succedergli a capo del partito di governo Zanu-Pf e dello Zimbabwe sia sua moglie. I tipi alla Mugabe sono considerati come eroi dai loro pari africani, che mostrano apprezzamento anche per omofobi come Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda. Persino in Botswana, un tempo faro di democrazia per l’Africa, Ian Khama, il presidente, vuole che a succedergli sia il fratello.
Sembra poi che l’Unione Africana intenda proteggere i leader corrotti. Nel 2013 ha stabilito che nessun capo di Stato africano può essere sottoposto al giudizio della Corte penale internazionale (Icc) per i reati commessi, consentendo così a personaggi colpevoli di crimini contro l’umanità di farla franca. L’unica consolazione è che nei cuori di molti cittadini normali, di esponenti dei gruppi civili e delle popolazioni oppresse del Sudafrica, dell’Africa e del mondo, Mandela rimane un modello da imitare, malgrado gli attacchi che la sua eredità democratica subisce sia nel suo Paese che nel suo continente.

(traduzione di Laura Lunardi)