Sergio Romano, Corriere della Sera 30/11/2014, 30 novembre 2014
LE GUERRE DI ENVER PASCIÀ DALLA LIBIA ALL’ASIA CENTRALE
Recenti e frequenti viaggi nell’Asia Centrale hanno sollecitato la mia curiosità verso la figura contraddittoria, drammatica, romantica di Enver Pascià, fra i principali protagonisti degli ultimi anni dell’Impero Ottomano. In tempi di «neottomanesimo» forse non pochi lettori potrebbero essere tanto quanto me interessati all’argomento.
Paolo Sartori
Caro Sartori,
Fra i «giovani turchi», protagonisti della grande crisi dell’Impero Ottomano agli inizi del Novecento, Enver Pascià (noto anche, a seconda delle circostanze, come Enver Bey o Enver Effendi) fu la personalità più spericolata e avventurosa. Aveva 28 anni quando il Comitato Unione e Progresso, a cui apparteneva sin dalla fondazione, conquistò il potere con un colpo di Stato. Non aveva ancora 30 anni quando divenne addetto militare a Berlino. Ne aveva 31 quando assunse il comando delle truppe turche in Cirenaica contro il corpo di spedizione italiano, sbarcato a Tripoli e a Bengasi nel settembre del 1911. Era laico e massone, ma scoprì rapidamente che il miglior modo per combattere contro gli invasori era quello di stringere un patto con la Senussia, una confraternita religiosa che poteva contare su una larga rete di fedeli nella Libia orientale.
Quando gli Stati balcanici approfittarono della guerra italo-turca per aggredire l’Impero sulla sua frontiera europea, Enver lasciò la Libia, corse in Macedonia, sconfisse l’esercito bulgaro, riconquistò Adrianopoli, rovesciò temporaneamente le sorti della guerra. Applaudito e onorato come eroe nazionale, divenne capo di stato maggiore e ministro della Guerra: due cariche di cui si servì, dopo l’agosto del 1914, per convincere il governo ottomano, a scegliere, nel grande conflitto mondiale, il campo tedesco contro quello della Russia e dei suoi alleati occidentali. Credeva che sarebbe stato capace di mobilitare contro l’Impero zarista le popolazioni musulmane dell’Asia centrale e combatté nel Caucaso. Dopo la rivoluzione d’Ottobre sostenne i bolscevichi e partecipò nel settembre 1920 alla grande conferenza di Baku, voluta da Lenin per mobilitare i popoli coloniali contro le democrazie capitaliste. Ma di lì a poco cambiò strategia, si proclamò emiro, chiamò le popolazioni musulmane a insorgere contrò la Russia sovietica. La sua ideologia era il «turanismo», vale a dire l’unione di tutti i popoli ugro-finnici e di origine turanica nel Caucaso, nel Caspio e nell’Asia centrale. Morì combattendo contro l’Armata Rossa nell’agosto 1922. Il suo corpo è sepolto in Tagikistan.
La sua carriera corre parallela a quella di Kemal Atatürk. Una fotografia scattata in Piccardia durante le grandi manovre militari francesi del 1910 ritrae un folto gruppo di addetti e osservatori militari stranieri. Atatürk e Enver sono al centro, il primo avvolto in un grande mantello scuro, il secondo in un grande mantello chiaro. Non si amavano e non potevano andare d’accordo. Enver sognava la gloria, Atatürk sognava la Repubblica turca.
Di Enver Pascià esiste anche un «ritratto d’autore». È in un romanzo di André Malraux, «Les noyers de l’Altenburg» (I noci dell’Altenburg), apparso durante la seconda guerra mondiale. Vi si racconta la storia di un alsaziano, cittadino del Reich guglielmino, che diventa amico e confidente di Enver in Libia, durante la sua guerra contro gli italiani, e compie per lui, più tardi, una missione esplorativa in Asia centrale. Lo scrittore francese fu evidentemente affascinato dalla figura di un uomo con cui sentiva forse una certa affinità. Ma commise un errore storico là dove scrisse che Enver, fra il 1911 e il 1912, aveva combattuto contro Graziani. Il generale italiano fu protagonista della riconquista della Cirenaica negli anni Venti, dopo la fine della Grande guerra.