Roberta Scorranese, Corriere della Sera 30/11/2014, 30 novembre 2014
TRE LADRI, UNA DONNA INNAMORATA E IL MAGNATE
Tutto, in quella notte tra sabato 5 e domenica 6 novembre del 1983, sembrava predisporsi per far risplendere il «furto del secolo» in Ungheria: la scarsa illuminazione di piazza degli Eroi a Budapest (l’economia sovietica mostrava da tempo le sue crepe anche se pochi volevano vederle); il rudimentale sistema di allarme del Szepmuveszeti Muzeum, museo d’arte moderna con una ricca collezione di opere italiane; un’impalcatura montata da mesi (per lavori a rilento) sul retro che fece da comoda scala a tre italiani, Ivano Scianti, Graziano Iori e Carmine Palese, i quali entrarono senza alcun problema e scelsero sul momento le opere da trafugare, fuggendo subito dopo con una Trabant (e con l’appoggio di altri «pali»).
Alla Madonna Esterházy furono fatali le piccole dimensioni che la rendevano maneggevole, così come scelsero, tra gli altri cinque dipinti portati via, Ritratto di giovane , sempre di Raffaello e Ritratto d’uomo attribuito a Giorgione. La domenica successiva il museo rimase chiuso e così le autorità se ne accorsero solo a tarda sera.
La pista ungherese condusse la polizia fino ad una ragazza di Budapest, che si era allontanata da casa per qualche giorno. Katalin parlava italiano e così (all’epoca ci si affidava molto di più all’intuito che alle tecnologie sul Dna) le forze dell’ordine capirono che stava coprendo un italiano. Si era innamorata? Sì, di Scianti, che verrà poi rintracciato nella zona di Reggio Emilia, insieme a Iori e a Giacomo Morini, un altro dei coinvolti. Grazie al misterioso passaggio di una Fiat Ritmo Rossa alla frontiera jugoslava, la pista portò gli inquirenti in Grecia, sulle tracce di un magnate dell’olio, Efthimios Moskachlaidis. Il quale non confessò mai. Morini confesserà solo (come ricorda nel suo saggio Marco Carminati) davanti alla minaccia di essere consegnato ai poliziotti comunisti ungheresi. Scianti, Iori e Morini se la cavarono con quattro anni e qualche mese per ciascuno.
A proposito: e la Madonna Esterházy ? Dopo un’altra incredibile serie di coincidenze, intrecci e (va detto) brillanti intuizioni dei Carabinieri e dei poliziotti ungheresi, la delicata tavoletta venne rinvenuta dietro un cespuglio nel giardino del monastero di Panagia Trypiti, presso Corinto, insieme alle altre sei opere trafugate a Budapest. Solo l’impegno dei restauratori ungheresi riuscì a rimediare a quella orribile fenditura con cui il furto rocambolesco l’aveva deturpata.
Il pensiero corre al magnate dell’olio e al suo (presunto) «colpo» su commissione: perché? Che farsene di un’opera che difficilmente puoi rivendere? La psicanalista Silvia Vegetti Finzi non ha dubbi: «Ma è proprio per questo che lo si fa, perché non puoi rivenderlo. Dietro il furto di opere di valore inestimabile e famosissime, ci vedo il desiderio non tanto dell’opera stessa, quanto l’ambizione di appropriarsi del genio dell’artista. È creatività frustrata. È come se ragionassero in termini di: io ho i soldi, posso comprare il genio». È come impossessarsi di un forziere pieno di cose preziose e proprio per questo incedibili, da gustare in perfetta solitudine. La solitudine dell’invidia? «Anche — conclude Vegetti Finzi — l’invidia per qualcosa che non si ha ma che si può possedere. Un po’ come certi uomini amano una donna e non aspettano di essere ricambiati: la ingabbiano».