Gaia Piccardi, Corriere della Sera 29/11/2014, 29 novembre 2014
DONNA E CAMPIONESSA, DUE ANIME DIVISE UNA DIFESA MALDESTRA DETTATA DALL’AMORE
Maledetto il giorno che t’ho incontrato. Biondo, bello, simpatico, futuro oro olimpico nella marcia. E scivoloso, Alex Schwazer, molto più del ghiaccio.
Carolina apprende a Dallas, in Texas, la notizia da Giovanni Fontana, l’avvocato dei dopati (vedi il bobbista Frullani) che difende, è bene ricordarlo, una non dopata. «È tutto assurdo – esala con un filo di voce —. Andrò fino in fondo: voglio dimostrare la mia innocenza e serietà». Le tremano le gambe, ma scende sulla patinoire. Dallas, Ginevra, Selva, Bolzano, le tournée in Giappone e in Svizzera. Il contratto per i galà fino a febbraio è già firmato. Il futuro è questo, qui e ora: esibirsi con il rossetto rosso da combattimento e il sorriso sulle labbra finché ci sarà un promoter che farà richiesta del bronzo olimpico di Sochi (medaglia che non rischia di perdere), dell’oro mondiale di Nizza, della cinque volte campionessa d’Europa.
E finché una sentenza, a gennaio, non renderà effettiva la richiesta di maxi-squalifica della Procura antidoping del Coni. Vietati i palazzetti, vietata la frequentazione di altri tesserati della Federghiaccio, a quel punto. Le norme sportive antidoping sono inflessibili. E il fatto che Carolina Kostner sia una dipendente dello Stato (Fiamme Azzurre) non alleggerisce la sua posizione. Meglio pattinare oggi, insomma, dopo aver rinfrescato l’Ave Maria e il mitico Bolero in Canada dalla coreografa di fiducia. In questo navigare a vista, fare programmi a lungo termine è impensabile. Persino l’apertura della scuola di pattinaggio è congelata.
Da ieri l’anima divisa in due di Carolina contiene sempre più a fatica due presenze ingombranti: la campionessa di pattinaggio, indimenticata e intoccabile; e la donna: prima innamorata, poi tradita ma fedele, infine maldestra (e mal consigliata) nel tentativo di mettersi in salvo dalla barca che stava affondando, quando la relazione era già naufragata. Se nello scenario della fidanzata che mente per amore all’ispettore della Wada, aprendo la porta della mansarda di Oberstdorf il 30 luglio 2012 («Alex non c’è: è a Racines»), Carolina appare fragile (quante donne avrebbero denunciato il loro uomo?), quasi soggiogata dal fascino di Alex, è davanti alla raffica di bugie che ha tentato di spacciare agli investigatori di Bolzano e ai magistrati del Coni che tutti gli alibi cadono miseramente. Fandonie facilmente confutabili, spesso su elementi del tutto secondari (se Schwazer avesse le sue chiavi di casa, se dalla finestra della mansarda si vedesse il cortile oppure no, se la mattina di quel 30 luglio dormissero o stessero facendo colazione), un annaspare sentendosi mancare il terreno sotto i piedi che ha spinto la Procura del Coni, nell’atto di deferimento, alla conclusione più stridente, e per lei dolorosa, rispetto alla serietà che Carolina si è cucita addosso in dodici anni di onorata carriera: «Viene indiscutibilmente meno l’attendibilità della signora Kostner».
Inattendibile, dunque. Più ingenua che diabolica. Di certo in errore nel pensare di potersela cavare a buon mercato, quando la vita è diventata più infida dell’amato ghiaccio. E terribilmente esposta, lei e la sua immagine — nelle agenzie in inglese, francese e tedesco con il titolo «doping» che ieri hanno fatto il giro del mondo —, al giudizio che ha sempre temuto.
Colpisce, sei anni dopo il folgorante incontro tra il marciatore di talento e la pattinatrice con un luminoso avvenire sotto le lame (aprile 2008, Torino), che a blindare un quadro accusatorio già molto compromesso (decisiva la testimonianza dell’ispettore Wada che si recò a Oberstdorf) sia stato proprio l’ultimo interrogatorio di Schwazer alla Procura del Coni, sei ore e cento domande con la lingua finalmente sciolta nella speranza di potersi lavare la coscienza nel mare di Rio 2016.
Quando nasce un amore non è mai troppo tardi. È quando muore, accidenti, che ti domandi come hai fatto a essere così cieca.