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 2014  dicembre 01 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Stefan Weinfurter, Canossa. Il disincanto del mondo, Il Mulino Bologna 2014, pp. 276, 22 euro

Notizie tratte da: Stefan Weinfurter, Canossa. Il disincanto del mondo, Il Mulino Bologna 2014, pp. 276, 22 euro.

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Per varcare le Alpi nell’inverno 1076-1077, Enrico IV attraversò il Moncenisio perché tutti i passi più agevoli erano presidiati da truppe nemiche. Furono ingaggiati abitanti della zona come guide. Scopo dell’imperatore era intercettare papa Gregorio VII, in viaggio verso la Germania, per convincerlo a revocargli la scomunica. Ultima data utile: 22 febbraio 1077. Trascorso un anno dalla proclamazione della stessa, i prìncipi dell’Impero non lo avrebbero più riconosciuto come sovrano.

Per il suo viaggio, Gregorio VII poteva contare sull’appoggio della marchesa Matilde di Tuscia, che gli aveva concesso una scorta e garantito un passaggio sicuro sui suoi territori. «Conosce bene la lingua teutonica, parla anche l’allegra lingua dei Franchi», dice di lei il biografo Donizone.

Nel 1077 il Reno fu transitabile a piedi fino ad aprile perché congelato.

Nel 1046, Enrico III, padre di Enrico IV, depose tre papi. Gregorio VII, che a quell’epoca si chiamava ancora Ildebrando, era andato in esilio in Germania con uno di loro, Gregorio VI.

Enrico III fece numerosi atti di penitenza, spesso piangendo pubblicamente: accadde anche alla morte di sua madre, l’imperatrice Gisella, e dopo la vittoriosa battaglia contro gli ungari a Menfö.

Nella sentenza di scomunica a Enrico IV, Gregorio VII aveva scritto: «Gli proibisco di regnare sull’intero regno teutonico e sull’Italia. Vieto a chiunque di servirlo come un re».

Prima di partire, l’imperatore aveva riunito consiglieri e alleati a Spira, dove sorgeva la chiesa imperiale voluta dalla dinastia salica. Il duomo della città era dedicato alla Vergine Maria.

La dinastia salica era particolarmente devota alla Madonna: l’8 settembre 1024, giorno della festa della natività di Maria, Corrado II, padre di Enrico III, si era fatto incoronare. Ventidue anni più tardi, lo stesso giorno, suo figlio partì alla volta di Roma per farsi proclamare imperatore.

Berta, prima moglie di Enrico IV, promessa in sposa a soli quattro anni. L’imperatore asserì di non avere consumato il matrimonio e, a diciannove anni, chiese il divorzio che Pier Damiani, cardinale vescovo di Ostia e legato del papa, rifiutò di concedere.

Per permettere all’imperatore di attraversare i loro territori, la famiglia di Berta ottenne in cambio una ricca provincia della Borgogna.

Della fortezza di Matilde a Canossa, detta anche Rocca del destino tedesco, rimangono soltanto rovine. Le cronache lo descrivono come un castello ben fortificato ma dalle modeste dimensioni. Qui si rifugiò Gregorio VII nel gennaio 1077 quando comparve nei paraggi Enrico IV con i suoi soldati. Scrive il papa in una lettera: «Rimase per tre giorni davanti al portone del castello, dopo essersi spogliato di tutte le insegne regali, in misero abbigliamento, a piedi nudi e vestito di lana. Lo abbiamo infine liberato dal vincolo dell’anatema e riammesso alla grazia della comunione, facendolo ritornare nel grembo di santa madre Chiesa».

Secondo la tradizione della Chiesa, chiunque facesse penitenza poteva esigere il perdono.

Mediatori tra imperatore e papa: Matilde di Tuscia, Adelaide di Torino (suocera di Enrico), l’abate Ugo di Cluny, il marchese Azzo d’Este.

Quando Gregorio VII fece entrare Enrico IV nel castello, i due si salutarono in lacrime. Seguirono la benedizione e il bacio della pace. Fu quindi celebrata la messa, l’imperatore fece la comunione. Per finire, una cena di riconciliazione.

Cento anni più tardi, il rituale di penitenza di Federico Barbarossa di fronte a papa Alessandro III durò tre settimane.

Il regno di Enrico IV durò mezzo secolo, dal 1056 al 1106.

Secondo le cronache del tempo, Enrico IV aveva tenuto ferma sua sorella, la badessa Adelaide, mentre un altro la disonorava su suo ordine; aveva una certa predilezione per monache e religiose; aveva pulsioni omosessuali; aveva istigato suo figlio Corrado a violentare la sua seconda moglie, la regina Prassede.

La riesumazione dello scheletro di Enrico IV, avvenuta nel 1900, permise di accertare che l’imperatore era alto circa un metro e ottanta, aveva spalle larghe, petto massiccio e bacino stretto. Non aveva sofferto di malattie serie né subìto ferite particolari. Alcuni peli dei suoi baffi sono tuttora conservati.

Enrico IV sapeva leggere, scrivere e comprendere testi latini.

Nell’aprile 1062 fu rapito e condotto alla corte dell’arcivescovo Annone II di Colonia. Per due anni e mezzo non poté vedere sua madre.

La battaglia combattuta dal re e dai più eminenti prìncipi e vescovi sull’Unstrut nel 1075 contro i sassoni è considerata la più cruenta mai avvenuta nel Sacro Romano Impero. Dopo la vittoria, Enrico IV saccheggiò e devastò i territori nemici.

Due anni prima i sassoni, avevano espugnato il castello di Harzburg, profanando le tombe del figlio e del fratello di Enrico IV e sparpagliando le loro spoglie mortali «alla stregua di comune immondizia».

L’Impero andava amministrato come la casa di Dio (tesi messa per iscritto dal precettore di Enrico III, Wipone).

Tarme era il nome delle torri fortificate dei ministeriales, i funzionari che avevano il compito di proteggere e custodire singoli luoghi o regioni per conto dei loro signori, aristocratici o vescovi che fossero.

La società salica era tripartita: c’erano il clero (oratores), i guerrieri (pugnatores) e i lavoratori (laboratores e agricultores).

Leone IX, designato al soglio pontificio da Enrico III nel dicembre 1048, si fece intronizzare solo dopo che il clero e il popolo di Roma ebbero espresso il loro assenso. Fu lui a creare la prima curia, circondandosi di funzionari qualificati sul modello della corte regia, e a introdurre la lettera minuscola al posto della cosiddetta curiale romana.

Nei cinque anni del suo pontificato, Leone IX varcò le Alpi in sei occasioni per tenere numerosi sinodi.

Il suo motto: «Della misericordia del Signore è piena la Terra».

Nel luglio 1054 la Chiesa romana e quella bizantina si scomunicarono a vicenda.

Tra la fine del 1058 e l’inizio del 1059 la carica di papa fu tenuta contemporaneamente da Niccolò II, eletto dal clero, e da Benedetto X, espressione della nobiltà romana. Prevalse il primo grazie al sostegno dei normanni e di una armata del duca Goffredo il Barbuto.

Il sinodo lateranense del 1059 varò regole certe sull’intronizzazione papale: elezione e consacrazione da parte dei cardinali vescovi, conferma dei pii chierici.

Il movimento religioso-riformatore della Pataria prese il nome dal mercato delle pulci di Milano. Parole d’ordine: povertà, castità, umiltà, odio per i nobili.

«Se mai tu dovessi giungere a sedere sulla cattedra papale, che Dio ce ne scampi, porteresti tutto il mondo alla rovina» (parole a attribuite a Leone IX nel rivolgersi al futuro Gregorio VII).

Fu Gregorio VII a far realizzare a Costantinopoli le porte in bronzo che si trovano tuttora nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma.

Ildebrando fu proclamato papa con il nome di Gregorio VII nell’aprile 1073 mentre il corteo funebre del predecessore Alessandro II transitava davanti la chiesa di San Pietro in Vincoli.

Nel suo Dictatus papae, Gregorio VII espose il programma del suo pontificato affermando, tra l’altro, di poter deporre gli imperatori e sciogliere i sudditi dal vincolo di lealtà verso i sovrani iniqui. Per questo motivo, ancora nel XVIII secolo, Maria Teresa d’Austria ordinò di cancellare il nome Gregorio dal breviario romano.

Gregorio VII convinto che «le terre che sono state guadagnate alla legge dei romani pontefici sono più numerose di quelle che hanno sottostato ai comandi degli imperatori».

Secondo Ugo Candido, cardinale presbitero di San Clemente, Gregorio VII e Matilde di Tuscia erano amanti.

«Disconosco apertamente ogni tuo diritto papale e, in virtù della dignità di patrizio di Roma, concessami da Dio e confermata dai romani, ti ordino di scendere dal trono della città» (dalla lettera indirizzata a Gregorio VII da Enrico IV nel gennaio 1076).

La scomunica di Enrico IV da parte di Gregorio VII non aveva precedenti nella storia dei rapporti tra papi e imperatori.

Quando il vescovo Eppone di Zeitz cadde da cavallo e morì affogato in un torrente, si disse che l’incidente era stato causato da San Chiliano, desideroso di fargli bere finalmente acqua al posto del solito vino.

La prima raccolta sistematica delle norme in vigore nella Chiesa fu realizzata dal vescovo Burchardo di Worms tra il 1000 e il 1025.

Enrico IV fu deposto dai prìncipi tedeschi nel corso dell’assemblea di Forchheim. Come suo successore fu scelto il duca di Svevia, Rodolfo di Rheinfelden. Si stabilì anche che il requisito per le future nomine sarebbe stata l’idoneità alla carica e non più il diritto ereditario.

Dopo l’Impero e il Papato, anche il ducato di Svevia ebbe contemporaneamente due sovrani: Federico, nominato da Enrico IV, che gli aveva anche promesso in sposa la figlia Agnese, e Bertoldo, figlio dell’altro imperatore Rodolfo.

Sette marzo 1080: data della seconda scomunica di Enrico IV da parte di Gregorio VII. Contestualmente il papa riconobbe Rodolfo come unico re teutonico.

Tra la nomina a papa dell’arcivescovo Guiberto di Ravenna da parte di Enrico IV e la sua intronizzazione con il nome di Clemente III trascorsero più di quattro anni.

Protettori di Gregorio VII erano i santi Pietro e Paolo. Enrico IV invece invocava l’aiuto della Madonna.

Rodolfo cadde in battaglia il 16 ottobre 1080. Il fatto che avesse avuto amputata la mano destra, quella con cui si giurava fedeltà all’imperatore, fu interpretato come una punizione per avere tradito Enrico IV.

Quando nel maggio 1081 Enrico IV giunse a Roma, Gregorio VII trovò rifugio in Castel Sant’Angelo. L’imperatore si accampò nella zona dei Prati di Nerone, erigendo quella che lui definì una nuova Roma, dando vita a un’autonoma curia papale e facendosi incoronare.

Durante gli assedi posti a Roma tra il 1082 e il 1083 tredici cardinali abbandonarono la città e il papa.

Giugno 1084: terza scomunica di Enrico IV da parte di Gregorio VII, ormai in esilio a Salerno.

«Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità. Per questo muoio in esilio». Ultime parole di Gregorio VII prima di morire, il 25 maggio 1085.

Nella primavera 1084 fu stabilito che all’elezione del pontefice dovessero partecipare anche i cardinali diaconi e i cardinali preti, oltre ai cardinali vescovi.

Il rito di elevazione alla carica di vescovo da parte dell’imperatore aveva come fulcro la consegna al prelato dell’anello e del bastone pastorale.

Le prime note ufficiali del papa contro l’investitura dei vescovi da parte dell’imperatore risalgono al 1075.

L’elezione di Urbano II, papa scelto dal clero in contrapposizione a Clemente III, avvenne il 12 marzo 1088 a Terracina.

Fu Urbano II a combinare il matrimonio tra Matilde di Tuscia, all’epoca quarantatreenne, con il quindicenne Guelfo IV, figlio del duca di Baviera.

Urbano II vietò ai membri del clero qualsiasi giuramento di fedeltà feudale nel corso del concilio di Clermont del novembre 1095. La carica vescovile cessava di essere un honor regni per trasformarsi in honor ecclesiasticus.

In Inghilterra, quando un vescovo moriva, era la Corona a incamerare e utilizzare i suoi redditi finché non fosse stato nominato quello nuovo. Perciò le diocesi rimanevano spesso vacanti per lungo tempo.

Il Pactum Ludovicianum, l’accordo stretto nell’817 tra l’imperatore Ludovico il Pio e papa Pasquale I secondo cui il primo garantiva al secondo protezione e la piena indipendenza all’interno dei territori pontifici.

Corrado, figlio maggiore e successore designato di Enrico IV, fu deposto dopo essersi ribellato al padre passando dalla parte dei riformatori ecclesiastici. Morì in Italia, solo e abbandonato, il 27 luglio 1101.

Alla fine del 1105, Enrico V, che capeggiava una ribellione contro suo padre, finse di riconciliarsi con lui per poi farlo prigioniero, deporlo e infine succedergli sul trono. Fece quasi la stessa cosa sei anni più tardi per costringere papa Pasquale II a incoronarlo imperatore a Roma.

Enrico IV, scomunicato ed escluso dalla comunione della Chiesa, morì a Liegi il 7 agosto 1106. Le sue spoglie rimasero per cinque anni sepolte in terra sconsacrata prima di essere trasferite nella tomba della dinastia salica a Spira.

Il concordato di Worms, che nel 1122 mise fine alla lotta per le investiture, rafforzò soprattutto la posizione dei vescovi: grazie alla doppia legittimazione, imperiale e papale, essi si trasformarono in prìncipi ecclesiastici, cardine della struttura feudale del Sacro Romano Impero.

«Non preoccupatevi, a Canossa non andremo, né col corpo, né in ispirito» (Otto von Bismarck in parlamento il 14 maggio 1872, dopo che il papa si era rifiutato di accreditare l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede).