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 2014  novembre 29 Sabato calendario

ESPULSI, DISSIDENTI E DELUSI SI APRE LA CACCIA AL GRILLINO

Roma Il violento terremoto che scuote il Movimento Cinque Stelle viene osservato con curiosità e qualche divertimento dagli altri partiti, Pd in testa. C’è un certo interesse per il ruolo che potrà avere il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, che per il 7 dicembre prossimo ha convocato una convention dei «Riformisti pentastellati», Un appuntamento già renzianamente definito come «la Leopolda grillina», che potrebbe diventare il primo «laboratorio» di un’aggregazione dell’ala più pragmatica e politica di un movimento in via di implosione. «Il movimento può essere forza di maggioranza, io ci credo, non è una utopia. Ma bisogna fare i passi giusti», spiega il sindaco, che ieri ha twittato un ironico «Uno vale». Pizzarotti, da tempo nel mirino dei vertici M5S (che però finora non hanno avuto il coraggio di arrivare alla rottura definitiva, nonostante gli anatemi) è il grillino, ancorché dissidente, che da più tempo si misura con l’arte di governo, e recentemente è stato attaccato dai vertici del sacro Blog per l’incontro troppo amichevole avuto proprio con il premier, in visita a Parma.
Ma di qui a dire che nel Pd il tornado che squassa i gruppi parlamentari Cinque Stelle induca all’ottimismo ce ne corre. Che siano in preparazione nuove, e forse più cospicue emorragie di parlamentari grillini sia alla Camera che al Senato è certo. Peraltro è probabilmente quello che mettevano in conto anche Grillo e Casaleggio quando hanno dato il via alle nuove purghe: meglio meno ma più irregimentati. Senza contare che la stessa costituzione del Direttorio minaccia di aprire nuove faide interne, anche tra i fedelissimi: ieri molti notavano che aver affiancato a Luigi Di Maio (soldatino casaleggiano considerato l’unica testa politica lucida a Montecitorio, e già capo in pectore dei parlamentari) due personaggi folkloristici e alquanto screditati come Di Battista e Sibilia è il segnale che si vuole ridimensionare anche l’unico leaderino interno in grado di interloquire con le altre forze politiche.
Ma nel centrosinistra nessuno mostra grande ottimismo sulle possibilità di fare scouting tra i fuoriusciti pentastellati, vecchi e nuovi. Certo, per il Pd al Senato sarebbe una mano santa poter contare su un gruzzoletto di nuovi voti. Ma l’esperienza, da Bersani in poi, ha insegnato che non è facile pescare in quel mondo: certo, qualche singola apertura si è verificata a Palazzo Madama, ma poca roba. Tra gli espulsi della prima ora, Lorenzo Battista è entrato nel gruppo Autonomie, che sta con la maggioranza. Altri due o tre hanno votato varie volte con il Pd: il senatore Orellana ha addirittura salvato in corner il governo, votando la risoluzione sul Def che richiedeva la maggioranza qualificata. Ma più in là non si è andati, finora. Sedici senatori fuoriusciti dal M5S sono ora nel gruppo Misto con Sel, e mantengono in genere una linea di opposizione. Certo nel Pd si lavora pazientemente al tentativo di raccordo, ma con scarsi risultati, e poche speranze, di arruolamenti significativi in vista della partita del Quirinale. «Non è che siano allergici al Pd, gli eletti grillini ed ex grillini: sono proprio allergici alla politica. Non hanno una linea, non hanno progetti, vanno ognuno per conto proprio, in genere odiandosi tra loro», racconta un senatore democrat che ha più volte tentato il dialogo. Ma anche gli «scout» della sinistra, che da mesi progettano grandi rassemblement alternativi tra dissidenti Pd, grillini e Sel, non hanno cavato un ragno dal buco. «Io discuto con queste persone come avrebbero discusso con loro Moro o Berlinguer», aveva modestamente annunciato mesi fa Corradino Mineo. Nonostante l’invidiabile autostima, però, Mineo - come del resto un altro aspirante Moro, Pippo Civati - non è riuscito a convincere neppure mezzo senatore ex grillino della bontà del progetto.