Benedetto Saccà, Il Messaggero 30/11/2014, 30 novembre 2014
I FIGLI DEL PALLONE
ROMA Racconta Francesco Totti, il capitano della Roma, nel libro “Mo je faccio er cucchiaio”: «Mio padre ha sempre riso e scherzato sul mio modo di giocare a calcio, spronandomi. “Nun sei bono!” mi diceva spesso. Lo faceva apposta, per spronarmi e per sdrammatizzare, si vedeva che avevo preso tutto subito sul serio». Chissà, ieri, l’emozione e i palpiti di Paolo Maldini nel vedere il proprio figlio, Christian, esordire con la maglia numero 6 della Primavera del Milan sulle spalle, addirittura segnare e purtroppo infortunarsi, sia pure lievemente. Certi sentimenti non si imparano a scuola ma li insegna soltanto il batticuore, muovendosi nell’orizzonte dell’esperienza. I calciatori possono passare una vita ad allenare il fiato e i polmoni, i muscoli più impensati e il più importante, il cuore: eppure, miracolo umano, nessun esercizio preparerà mai, davvero, alla trepidazione che sgorga irrefrenabile dall’immagine, magari sognata mille volte ma stavolta reale, del proprio bimbo ormai divenuto giocatore. È orgoglio, è soddisfazione, e memoria, gratitudine, sovrapposizione di ricordi, istinto di protezione, forse anche un sibilo di preghiera («Che non si faccia male...»), perfino commozione.
GLI EREDI
Li chiamiamo figli d’arte oppure «di cotanto padre». O, meglio, «figli d’arte» è il grado positivo dell’accezione: perché basta un nulla e l’etichetta gemella lascia cadere la mannaia della definizione italiana di «raccomandati». Così si spalancano i confini della geografia mentale, tanto temuta quanto psicologicamente ingovernabile. Il peso del cognome può diventare una zavorra insostenibile, perché genera aspettative montanti e, se non riceve l’ossigeno della validazione pratica, è capace di produrre naufragi devastanti. E vale per tutti i mestieri. Il figlio non può ambire, legittimo, a una valutazione individuale ma viene scaraventato nel tribunale del confronto fra i padri e i figli, un’aula che timbra sentenze inappellabili. Non si è, dunque, calciatori più o meno bravi ma si è calciatori più o meno bravi rispetto ai papà. Zinedine Zidane, per arginare il paragonare, ha deciso che il figlio Enzo, un talento del vivaio del Madrid, debba presentarsi in campo col cognome della madre, Fernandez, sulla maglia. La storia italiana è densa di esempi. La dinastia dei Maldini, ad esempio, tramanda il mito da nonno Cesare ai nipoti Christian e Daniel, transitando per papà Paolo. E, per simmetria, Bruno Conti oggi può specchiarsi negli eredi Daniele e Andrea, oltre che in...Bruno, il figlioletto di Daniele. E ancora. Andrea Casiraghi, figlio di Pierluigi, gioca nel settore giovanile milanista; Gabriele Marchegiani, figlio di Luca, è tesserato per la Roma, al pari di Michele Somma, erede dell’allenatore Mario. Non bastasse, nel vivaio giallorosso, spiccano pure Nicholas Delvecchio, figlio di Marco; Alessio Montella, figlio di Vincenzo; Lorenzo Di Livio, figlio di Angelo; Ramon Muzzi, figlio di Roberto. Cristian Totti, il primogenito di Francesco, si diverte invece nei Pulcini della Roma. E seguono le orme dei papà anche Nicholas Muzzi (Cagliari), il primo figlio di Roberto; Simone Ganz, erede di Maurizio; Gianmario Comi (Avellino), figlio di Antonio; Simone Benedetti (Cagliari), figlio di Silvano; Jacopo Zenga (Casale), portiere come Walter; Federico Moriero (Lecce), riccioluto come Checco; e Nicholas Lentini (quanti Nicholas...), affermatosi come portiere al Torino a dispetto del ruolo di papà Gianluigi, ala pura. Federico Chiesa, figlio di Enrico, ha scelto Firenze. E Roberto Mancini, infine, si gode i pargoli Filippo e Andrea, due seconde punte. Il pallone cresce ma non invecchia.