Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 30 Domenica calendario

LA COMMEDIA ALL’ITALIANA E I NUMERI DI VANZINA NON USCITI

Rivedo venerdì sera a casa di amici, a Roma, Enrico Vanzina, figlio di Steno e fratello di Carlo, con la sua chioma bianca e il suo modo tipico di raccontare che appartiene alla commedia all’italiana e ai cromosomi di una famiglia che ha scritto un pezzo della nostra storia cinematografica. Mi era capitato di incrociarlo qualche giorno prima davanti alla stazione di Milano, sotto una pioggia battente e con il treno in partenza, ci eravamo scambiati al volo l’impegno di cercarci e vederci. Lo guardo e penso al suo pezzo della domenica sul Messaggero ("Che ci faccio io qui?") dove ironia e realismo si mescolano in un racconto mai banale che mette insieme l’amore calcistico per la Roma con i vizi e le buffonerie di una capitale sgangherata che non ha pari al mondo. Le facce e i colori della sua Fregene, i luoghi e le persone di ogni tempo rivivono come in un set cinematografico e ti conducono spassosamente, tra un sorriso amaro e una risata fragorosa, in un campionario di personaggi dove si alternano mezze calzette, donne rifatte, persone di valore più o meno fuori posto e l’anima nascosta della Roma post-felliniana. Per oltre cinque anni di direzione del Messaggero, nella mia domenica, quella rubrica era una lettura obbligata, mi metteva di buonumore e mi regalava sempre un colpo d’occhio sui fatti della capitale che appartengono a Roma e, allo stesso tempo, al Paese in un bozzetto divertente, a tratti dolcemente abrasivo, sul costume della società italiana.
Venerdì sera intorno al tavolo lo ascolto e mi sembra di leggerlo: «Mi sveglio all’alba, sfoglio i giornali, tre morti forse quattro, colpa del vaccino Fluad, sudo freddo, posso mai morire per un’iniezione di mia moglie?». Enrico si ferma un attimo e, forse, torna a sudare, poi prosegue: «Sono titoli veri, di scatola, apertura di prima pagina, qui non si scherza. Cerco informazioni utili e mi imbatto in editoriali che parlano di cose nate per fare il bene e possono produrre il male, pensa un po’ questo fa il poeta invece di dirmi come stanno le cose, mi arrabbio e mi agito. Apprendo che servono 48 ore per essere fuori pericolo. Chiamo il medico e non risponde, troppo presto, il cellulare è staccato. Ho voglia di sfogarmi, non so dove depositare l’ansia. Cerco il mio amico Verdone, lui risponde e gli dico: Carlo, hai letto, il vaccino, i morti? Sì, ho letto, ma tu Enrico quando lo hai preso? Trentasei ore fa. Silenzio. Insisto: Carlo che fine hai fatto? Scusa Enrico, ma allora so’ ca...». Assisto in diretta, insieme agli altri commensali, a un pezzo di commedia all’italiana dove ci sono tante cose: l’ansia e una certa romanità, i titoli gridati, i casi sospetti e il panico, le ragioni della cronaca e quelle della medicina, le ombre su un business miliardario, le specificità italiane e l’esigenza sacrosanta di fare chiarezza. Non è finita. Vanzina riprende il suo racconto: «Capisco che il problema riguarda due lotti del farmaco e cerco i numeri identificativi, li trascrivo su un foglietto e ricerco il medico che continua a non rispondere. Alle otto scendo di casa, ho un appuntamento a cui non posso mancare, mi faccio accompagnare e spedisco un collaboratore alla farmacia ai Parioli con il foglietto dei numeri in mano, ho comprato lì il vaccino. Tornerà dopo un’ora, lunghissima, e lo vedrò sbracciarsi dal fondo della sala dove sono riunito. Mi dice con i gesti e con gli occhi che i numeri non coincidono, per una volta sono contento che non sono usciti, e tiro un sospiro di sollievo». Tutti sorridono, qualcuno ride. Enrico ci ha preso gusto e scava nei ricordi delle manie ipocondriache, non solo sue: «Roma-Lazio, io e Verdone allo stadio circondati da tifosi laziali, sul campo siamo in difficoltà, molto in difficoltà, mi sale l’ansia e Carlo mi dice: prenditi uno Xanax. Lo faccio, passano venti minuti, in campo sempre peggio, la mia faccia pure. Carlo mi guarda e dice: lo hai preso, come va? Dico la verità: sempre male. E lui: Enrico, quante volte te l’ho detto, non basta prenderlo il medicinale, bisogna saperlo accogliere!». Questo è Verdone, questo è Vanzina, questa è la commedia all’italiana. Il vaccino e il panico sono un’altra storia, terribile, rigore e serietà sono d’obbligo. Non si scherza con la vita delle persone, e tutte, dico tutte, le responsabilità vanno denunciate e accertate.
Roberto Napoletano