Maurizio Crosetti, la Repubblica 30/11/2014, 30 novembre 2014
NUMERO DIECI
Il senso di un numero, il sentimento di un ruolo. La creatività e la leggerezza. Vere, reali eppure apparenti, perché ogni vocazione accudita significa soprattutto lavoro. Il numero 10 è ancora quello che era a scuola: il massimo. Lo indossano solo i fuoriclasse. Pelè, Maradona, Rivera, Mazzola, Zico, Baggio, Totti. E Alessandro Del Piero. Predestinazione e talento. Il dovere della bellezza.
Del Piero, se le dicono “dieci”, lei d’istinto a cosa pensa per prima cosa? E per seconda? E per terza?
«Fantasia. Stupore. Istinto».
A scuola ha mai preso 10, a parte condotta e religione?
«Il fatto che non ne ricordi uno, significa che non ne ho presi molti. Ma se non sbaglio, ai miei tempi i voti arrivavano solo fino all’otto».
C’è stato un momento della sua carriera in cui lei ha pensato: sì, io sono proprio un numero 10?
«Era un obiettivo, era quello che speravo di diventare quando da bambino provavo a imitare Zico, Platini e Maradona. In campo, la consapevolezza è arrivata col passare degli anni. Però mi piace ricordare che ho iniziato con il 7 sulla maglia, ma sognavo il 10».
Dieci anni: che arco di tempo è? Qual è la sua definizione di decennio?
«Un tempo abbastanza lungo per cambiare vita. Anche più volte. E sapere che fino ad adesso ne ho vissuti solo quattro mi fa pensare che ho ancora un sacco di cose da fare».
Le dieci cose per cui vale la pena vivere?
«Sono un tipo troppo entusiasta, non riesco a rispondere a queste domande, me ne vengono in mente cento e poi appena ne tolgo una mi viene il rimorso, e alla fine al posto di ridurle le aumento. Non ce la faccio proprio a citarne così poche, a meno che non mi si consenta di mettere in classifica ciò che occupa senza concorrenza almeno le prime dieci posizioni: i miei figli».
I grandi 10 del calcio. Ci farebbe un loro ritratto? Cominciamo da Rivera.
«Difficile, l’ho visto poco anche in tv. Mi viene in mente un modo di interpretare quel ruolo con intelligenza ed eleganza, dentro e fuori dal campo».
Pelè.
«Un’icona. Quelle quattro lettere rimarranno per sempre sinonimo di calcio. E quella rovesciata in Fuga per la Vittoria…».
Maradona.
«El diez, colui che in campo poteva fare tutto. Anche vincere da solo».
Zico.
«Ci ho giocato insieme in Brasile, per divertimento, durante gli ultimi Mondiali. Confesso di avergli visto fare, quel giorno, cose che raramente ho visto in campo. Piedi magici, anche a sessant’anni».
Platini.
«Per uno juventino dalla nascita come me, per anni è stato il punto di riferimento. Era bello sentire l’Avvocato parlare di lui».
Baggio.
«L’istinto puro per il calcio, classe sopraffina, un privilegio avere ereditato la sua maglia alla Juventus. Una grande persona».
Totti.
«Il cucchiaio in semifinale all’Europeo 2000 rappresenta la sua lucida follia, che in realtà è straordinaria consapevolezza del proprio talento. E per me, Francesco è anche un amico».
Mancini.
«Il suo gioco sarà moderno anche se dovesse tornare in campo tra vent’anni, aveva almeno quattro occhi, non due come gli altri».
Del Piero.
«Non so giudicarmi, ma mi piace quando dicono di me che ho onorato questo gioco. Lascio parlare gli altri».
Che evoluzione ha avuto il 10, cioè il ruolo del 10, negli ultimi anni?
«Tattica e fisica, di pari passo con l’evoluzione del calcio. Ma il 10 rimane il campione che riesce a stupire con le sue giocate, a fare la differenza».
Il 10 che ha amato di più? Cosa gli invidiava?
«Non ne ho uno in particolare, non ne ho mai invidiati ma di certo mi sono ispirato a tanti. Però ci sono dei giocatori che mi sarebbe piaciuto vedere dal vivo, per esempio Cruyff, un 10 anche se sulla maglia aveva il 14. O Pelè e Di Stefano».
Le sarebbe piaciuto essere un 9, o magari un 1?
«Ho iniziato con il 7 e ho giocato per molti anni con il 9. Ma effettivamente il ruolo del portiere mi ha sempre intrigato. Sia da bambino che da grande, in allenamento mi sono spesso divertito a giocare in quel ruolo».
Il suo 10 è ora sulle spalle di Tevez: cosa prova?
«Tevez sta facendo molto bene. Sono felice per lui e soprattutto per la Juventus. E poi, l’ho detto fin dall’inizio: sono contento che quella maglia rimanga un sogno e un obiettivo per i futuri “dieci” bianconeri».
Il numero 10, proviamo a scomporlo: c’è l’uno, l’unità, il tutto. E c’è lo zero, ovvero il niente. Come è possibile che dall’unione tra il “tutto” e il “niente” possa nascere il numero perfetto?
«Il tutto e il niente: quella straordinaria sensazione che si prova prima di un dribbling, di una grande giocata, di una punizione, o di un rigore decisivo. Dentro o fuori, tutto o niente: il destino del 10, senza paura».
La creatività è più ispirazione o traspirazione?
«Sicuramente ispirazione».
Un numero 10 che, nel calcio, ha avuto molto meno di quanto meritasse?
«Penso ai tanti che ho incontrato, sia a livello giovanile, sia nel calcio dei grandi, che sono stati penalizzati dagli infortuni».
Chi sono i suoi numeri 10 negli altri sport che più ama?
«Ce ne sono tanti. Ne cito alcuni: Michael Jordan e Magic Johnson nel basket. Roger Federer nel tennis. Evgeni Plushenko, un artista nel pattinaggio».
Papa Francesco è un numero 10? Del resto, è argentino e ama il calcio...
«Certo! Un grande numero dieci, un trascinatore per la sua squadra. Uno che non fa pesare di essere il numero uno, ed esce sempre con la maglia sudata anche se è il migliore di tutti».
Si crede sempre che il 10 sia un personaggio baciato dal talento e dalla grazia, insomma un artista predestinato. Ma è poi vero? Numeri 10 si nasce o si diventa? O meglio, in percentuale, quanto si nasce e si diventa?
«Numeri 10 si nasce, ma senza coltivare il talento non si diventa. Insomma: senza il talento non puoi diventare un vero 10, ma se non ti alleni e non soffri, gli altri non se ne accorgeranno e rimarrai un incompiuto».
Alcuni pensano: un grande 10 come Del Piero è andato in India a perdere quasi tutte le partite, chi gliel’ha fatto fare? Lei cosa risponde a chi lo dice?
«Penso che, se si giudica attraverso la lente dei risultati, non si capisca molto della mia scelta e delle esperienze che sto facendo, e che farò, dopo avere lasciato la Juventus e il calcio che ho conosciuto fino a tre anni fa. La partenza di una nuova Lega, in un Paese complicato ma con potenzialità straordinarie, è un’esperienza incredibile. Sto conoscendo un lato del calcio che non conoscevo».
In famiglia, lei è un 10 o magari un 8, o forse un 4?
«Credo che una madre e un padre debbano saper ricoprire tutti i ruoli, compreso quello dell’allenatore».
Cosa vorrebbe dai prossimi dieci anni?
«Mi piacerebbe che la vita mi sorprendesse sempre, come ha fatto finora».
Maurizio Crosetti, la Repubblica 30/11/2014