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 2014  novembre 30 Domenica calendario

DIECI INVENZIONI

La conoscenza la ingeriremo in pillole. Il cibo lo stamperemo in 3D. Quanto a noi, capsule senza pilota ci porteranno ovunque (quando non saremo teletrasportati).
Ecco come sarà la nostra vita tra dieci anni secondo quel Nicholas Negroponte che vent’anni fa profetizzò come avremmo vissuto oggi

Ogni rivoluzione ha un suo ideologo. Quella digitale non fa eccezioni. Ed è davvero difficile evitare di associare Nicholas Negroponte, fondatore del Media Lab del Mit, a questa primogenitura teorica. La mise per iscritto in Essere digitali , nel 1995 un manuale di istruzioni per il futuro. E un manifesto da cui oggi è arduo scegliere i passaggi più profetici. La scelta, alla fine, cade su questa intuizione: “L’informatica non si occupa più di computer ma della vita. I bit, il dna dell’informazione, stanno rapidamente rimpiazzando gli atomi come materia prima di base dell’interazione umana”. Da calcolatori a strumenti di comunicazione. Dalla matematica alle lettere. Dalle astrazioni della tecnica alla vita pulsante. Alcuni dei suoi azzardi, all’epoca, ci sembravano colpi di teatro. Invece, se non la tempistica, la sostanza era giusta. Perciò oggi siamo tornati da lui per un bilancio sui due decenni trascorsi e per una previsione sul prossimo. «Se dovesse sopravvivere solo una frase dalla nostra conversazione voglio che sia questa» risponde tra un aereo e l’altro: «La connessione è un diritto umano. Ogni essere umano, in quanto tale, dovrebbe avere accesso a internet».
A vent’anni dal suo libro seminale di quali parti è più orgoglioso?
«Direi l’obbedienza pedissequa con cui il futuro si è dispiegato dopo la sua pubblicazione. Ma non è stata una sorpresa. E il motivo è semplice: il libro non era una previsione, ma un’estrapolazione da ciò che stava succedendo all’epoca. Non è stato così difficile quindi prendere quelle attività e proiettarle nel futuro».
Tra le cose che si sarebbero smaterializzate erano inclusi i libri. Ora gli ebook sono una realtà: le piacciono? E quali altre evoluzioni immagina per la lettura?
«L’incarnazione del testo come softcopy, ovvero la sua versione non stampata (il contrario di hardcopy), trasmissibile e malleabile, è stata realizzata bene su vari apparecchi ed è destinata a restare con noi a lungo. I prossimi passi riguarderanno più la scrittura che la lettura. Una storia, in futuro, potrà avere più a che fare con un modello narrativo che con una modalità espressiva. (1.)E quel modello sarà usato per generare, in maniera personalizzata grazie al software, un film, un audio, un’animazione, un testo o qualsiasi altra cosa. Magari una pillola».
Un altro suo cavallo di battaglia era l’interfaccia uomo- macchina. Battere su una tastiera le sembrava innaturale. Il touch, che lei aveva invocato in tempi non sospetti, ora è ubiquo. Intravede altri sviluppi?
«L’interazione touch è ormai realizzata assai bene. Forse potrebbe diventare ancora più affidabile e meno costosa da realizzare. (2.) Il prossimo passo potrebbe essere un apparecchio che riconosce i gesti voluti e quelli compiuti per errore, come quando si aprono applicazioni che non volevamo aprire e così via. Ma la parte che davvero mi lascia senza parole, e che mi sembra abbia molto a che fare con l’arrogante recalcitranza della Apple, è la limitatezza della correzione automatica. Anche questa è personalizzabile e bisogna migliorarla il prima possibile ».
A proposito di Apple, per la prima volta le vendite dei suoi iPad sono diminuite tanto che c’è chi scommette che faranno la fine dei pc e punta piuttosto sui “phablet”. È il futuro della specie?
«Ogni situazione richiede una dimensione diversa e appropriata. Se stai rivedendo dei progetti di architettura intorno a un tavolo con cinque persone, allora andrebbe bene un tablet da 24 pollici. Che però non puoi portarti dietro mentre scii. La domanda più giusta, quindi, è: quale misura va bene per la maggior parte delle situazioni? Per quanto mi riguarda passerò all’iPhone 6 Plus. Spero di riuscire a usarlo più come un tablet che come telefono. Tutti a chiedersi se è troppo grande, ma è un dibattito piccino, di marketing. E anche un po’ stantio, dal momento che Samsung fa apparecchi così grandi da tempo».
La sua “profezia” fu capire che «tutto ciò che avrebbe potuto essere digitalizzato lo sarebbe stato». È andata così ma alcuni critici, come il tecnologo Jaron Lanier e gli economisti Brynjolfsson e McAfee, sostengono che questo trasloco dagli atomi ai bit abbia impoverito la classe media, distruggendo più posti di lavoro di quanti ne abbia creati.
«Lanier è troppo auto-referenziale e con i piedi non abbastanza per terra. McAfee e il suo socio hanno uno sguardo più equilibrato al fenomeno. La stessa tecnologia che criticano è utilizzata per imparare meglio e costruire così una società con maggior resilienza anche di fronte agli sconvolgimenti del mondo del lavoro. In questo dibattito immagino anche esiti paradossali, come il protestare contro le auto senza pilota per far sì che gli autisti di Uber continuino ad avere di che campare. Ma anche loro sono visti come distruttori dello status quo dei tassisti. Insomma, tutto è relativo».
Lei coniò anche il concetto di “daily me”, il giornale a immagine e somiglianza del lettore. Google News gli assomiglia molto ma oggi, in Spagna, Google minaccia di cancellare il servizio se il governo insisterà per condividere un po’ dei profitti di Mountain View con i giornali che producono le notizie linkate.
«Google genera così tanto traffico verso quei siti che, da parte loro, pretendere anche una parte dei proventi del motore di ricerca mi parrebbe altrettanto folle dello scenario in cui fosse Google a pretendere un po’ dei profitti realizzati dai siti che linka».
Lei prefigurava i micropagamenti. Non più giornali comprati in blocco ma à la carte, pagando per gli articoli del giornalista preferito. Lo stesso poteva applicarsi ad altri servizi. Perché non hanno attecchito?
«Riformulerei la sua domanda: perché non hanno ancora attecchito? Le ripeto ciò che pensavo allora: vedrà, attecchiranno. (3.) Comprare la musica a brani anziché ad album è ormai normale. Lo sarà presto anche per i giornali. E anche per l’editoria in senso più ampio, con sempre più persone che si pubblicheranno da soli».
Riagganciandoci al decimo compleanno della nostra Domenica di Repubblica, quali principali sviluppi immagina per i prossimi dieci anni?
(4.) «I veri grandi cambiamenti saranno nella biotecnologia, all’intersezione tra microelettronica e biologia. Man mano che riusciamo a produrre chip sempre più minuscoli realizzare robot che possano vivere nel nostro sistema sanguigno, eliminando le malattie, diventa realistico».
L’ultima moda è la stampante in 3D. Grazie a lei cosa riusciremo a fare?
(5.) «Direi che potrebbe anche riuscire a stampare animali viventi».
Accolgo l’iperbole solo perché detta da uno che vent’anni fa profetizzò la fine di Blockbuster, il gigante del noleggio di videocassette. Scherzi a parte, come consumeremo i media tra due lustri?
«Tutti i tipi di conoscenza saranno ingeriti, ingoiati. (6.) La conoscenza arriverà direttamente nel nostro cervello attraverso il sistema sanguigno. E, mi creda, neppure questa è un’iperbole. Ciò non significa che guardare o ascoltare perderà il suo appeal».
E come studieremo? Piattaforme online come Coursera avranno la meglio su Harvard?
«Coursera no, perché nonostante la prevalente gratuità ha fatto l’errore di partire come un’impresa per fare profitti. La sua concorrente EdX potrebbe mangiarsi i propri sponsor, tra cui il mio Mit, Harvard, Berkeley, ma solo quanto a efficienza dell’insegnamento. (7.) Ciò che immagino è che assisteremo a un abbandono del modello tradizionale di lezione in classe e le università diventeranno piuttosto il luogo della concezione di nuovi format di apprendimento».
Crede che per allora ci sposteremo da un luogo all’altro con le auto senza pilota che stanno testando sulle strade della California?
«Credo piuttosto che si tratterà più precisamente di capsule senza pilota. La maggior parte della gente vivrà in città. Nessuno sotto i trent’anni vivrà nei suburbi, come accade oggi. (8.) E queste capsule, come navette automatizzate, costituiranno una fetta di mobilità maggiore di quella che riusciamo a immaginare oggi. Ma a priori non escluderei neppure che si possa arrivare a concepire una qualche vera e propria forma di teletrasporto».
Altri cambiamenti importanti in vista per l’umanità prossima ventura?
(9.) «Il cibo verrà stampato, soprattutto la carne. Abbiamo già assistito ai primi esperimenti in materia,è assolutamente certo che su quel terreno ci saranno sviluppi davvero enormi».
Uno dei tormentoni della Silicon Valley è “disruption”, ovvero cambiamento radicale, una specie di distruzione creatrice shumpeteriana. A quale tipo di cambiamento secondo lei dovremmo dare il benvenuto e a quale invece dovremmo tentare con tutte le nostre forze di resistere?
«Io credo che noi dovremmo accogliere tutti i cambiamenti che eliminano la povertà e resistere invece a tutti gli altri, ovvero quelli che riproporranno ancora una volta le solite vecchie forme di nazionalismo».
Quella del 2024 sarà una società meno diseguale oppure internet, che tende a premiare spropositatamente il vincitore a scapito di tutti gli altri, alla fin fine renderà il dislivello tra chi ha e chi non ha ancora più profondo di quello attuale?
«Dal mio punto di vista l’unico dislivello davvero importante è quello che separa i due miliardi di persone che stanno peggio da un livello di vita piena e dotata di senso. Se il gap tra me e il signor Bill Gates dovesse crescere, per dire, mi preoccuperebbe assai meno. (10.) Tuttavia una ricchezza assoluta concentrata in un così piccolo numero di persone non ha senso quando tanti non hanno niente. Piketty la spiega attraverso la tecnologia, in quanto parte costitutiva del capitale (il cui ritorno, storicamente, risulta maggiore della crescita economica). Per me invece non è questione di tecnologia. Anzi, per come la vedo io, la tecnologia è il mezzo per raggiungere un più alto e migliore livello di istruzione, in un contesto in cui la connessione diventa un diritto per tutti gli esseri umani».
Il guru settantenne che vuole portare un computer portatile a ogni bambino del mondo non ha perso niente del suo tradizionale ottimismo.
Riccardo Staglianò, la Repubblica 30/11/2014