Marco Ansaldo, la Repubblica 30/11/2014, 30 novembre 2014
IL PAPA SCALZO NELLA MOSCHEA POI STORICO INCHINO CON IL PATRIARCA
ISTANBUL.
La preghiera del Papa cattolico nella grande moschea. E il suo abbraccio fraterno con il Patriarca ortodosso. Due gesti altamente simbolici segnano il secondo giorno della visita di Francesco in Turchia, stemperando il disagio del Pontefice che predica la povertà nel dover accettare l’iniziale benvenuto nella sfarzosa residenza del presidente Tayyip Erdogan, ora pienamente legittimata nonostante le polemiche dopo aver accolto per primo il prestigioso ospite.
La trappola del Sultano è già alle spalle. E nel luogo sacro all’Islam della Moschea Blu si ripete la scena di Benedetto XVI nel 2006, con il Papa che prega in silenzio, a capo chino, per due minuti, a fianco del Gran Mufti di Istanbul. Gli occhi chiusi, le mani giunte sopra la croce pettorale. Non mormora parole, come fece Joseph Ratzinger. Ma è ugualmente un momento di grande spiritualità. «Un’adorazione silenziosa», la definisce il portavoce, padre Federico Lombardi. «Possa Dio accettarla », dice il Mufti al termine della preghiera mirata a mostrare rispetto per l’Islam e a incoraggiare le relazioni tra le fedi, mentre sul mondo musulmano moderato pesano gli orrori seminati dall’estremismo jihadista e dal Califfato islamico.
All’ingresso Francesco si era tolto le scarpe, rispettando la tradizione musulmana secondo cui si entra scalzi nei luoghi di culto, e rimanendo con le calze scure (Benedetto le aveva bianche) si è fermato davanti al “mihrab”, la nicchia che in tutte le moschee rappresenta la Porta del Paradiso e indica la direzione della Mecca. L’altra immagine forte della giornata — ma adesso nel segno del dialogo ecumenico fra le Chiese — è stato l’abbraccio del Papa con il Patriarca ortodosso Bartolomeo alla fine della preghiera comune fatta nella Chiesa patriarcale al quartiere Fanar. E c’è una scena che va oltre quel gesto. Avviene quando Jorge Mario Bergoglio si avvicina all’anziano vegliardo. Gli si china profondamente davanti. E gli dice, in italiano, lingua che ormai il Papa argentino usa in tutti i suoi discorsi nel mondo: «Per favore, preghi per la Chiesa di Roma». L’altro gli pone una mano sul capo, e lo bacia sullo zucchetto. Padre Antonio Spadaro, il gesuita direttore della rivista La Civiltà Cattolica, che conosce bene Bergoglio e ora ne studia anche il passato, il linguaggio e lo stile, commenta sorpreso: «Era come un bambino. E’ stato un momento di tenerezza mistica».
Poi, la tappa al museo di Santa Sofia, già chiesa bizantina, quindi trasformata in moschea dopo la conquista musulmana della città nel 1453. Fuori, una decina di fedeli sventolavano le bandiere della Turchia e del Vaticano. «Tu sei Pietro», si leggeva su un cartello.
Francesco era partito presto al mattino da Ankara, trovando nella città sul Bosforo uno spiegamento di forze imponente. Il lungo bellissimo viale che costeggia lo Stretto, con il parco solitamente percorso da cittadini impegnati a correre o a fare il picnic, era stato svuotato di qualsiasi presenza umana. Solo agenti della polizia, uno ogni 30 passi, a controllare ogni accesso sul mare e qualsiasi anfratto sull’altro lato della strada, dove ancora riaffiorano le antiche Mura di Costantinopoli.
Nel pomeriggio il Papa, celebrando messa nella piccola Cattedrale latina dello Spirito Santo, con tipico approccio bergogliano capace di ribaltare a volte gli schemi, ha detto alla minoranza religiosa presente in Turchia: «Noi cristiani diventiamo autentici discepoli missionari, capaci di interpellare le coscienze, se abbandoniamo uno stile difensivo per lasciarci condurre dallo Spirito». E nel luogo sacro gremito dai fedeli di tutti i riti in comunione con Roma, con Bartolomeo presente ad attenderlo sul portone davanti alla chiesa, il Papa ha suggerito «una prospettiva di speranza, ma al tempo stesso faticosa, di un’apertura al dialogo e alla collaborazione con gli altri, rinunciando ad adagiarsi nelle proprie posizioni statiche».
La notte Bergoglio l’ha infine trascorsa nella delegazione apostolica dove per 10 anni fu nunzio Angelo Roncalli. Oggi, la via che la ospita si chiama “Papa Roncalli sokagi”. E i turchi, per l’affetto che provano ancora per lui, parlano di Giovanni XXIII come del “Papa turco”.
Marco Ansaldo, la Repubblica 30/11/2014