Sergio Rizzo, Corriere della Sera 2/12/2014, 2 dicembre 2014
Avevamo dimenticato da un bel pezzo lo psicodramma degli scontrini. Credevamo fosse stato sepolto dalla slavina di sarcasmi abbattutasi in rete sulla prima capogruppo grillina alla Camera Roberta Lombardi che aveva postato su Facebook una richiesta di soccorso disperatamente comica: «Ho perduto gli scontrini
Avevamo dimenticato da un bel pezzo lo psicodramma degli scontrini. Credevamo fosse stato sepolto dalla slavina di sarcasmi abbattutasi in rete sulla prima capogruppo grillina alla Camera Roberta Lombardi che aveva postato su Facebook una richiesta di soccorso disperatamente comica: «Ho perduto gli scontrini. Cosa devo fare? Aiutoooo...». Ci sbagliavamo: quello psicodramma ha continuato ad aggirarsi nel Movimento 5 Stelle, distribuendo minacce di epurazioni. Fino allo showdown di questi giorni, quando si è scoperto che a rischio espulsione (dopo regolare processo in streaming) causa mancata rendicontazione delle spese, sarebbero addirittura una ventina di eletti. Colpevoli di non aver rispettato la regola di frugalità sottoscritta all’atto della candidatura. Così rigorosa e ferrea che a questo punto è doveroso verificare quali effetti reali abbia prodotto per i contribuenti. Ci aiutano i dati ufficiali dell’amministrazione della Camera dei deputati dello scorso anno, i cui conti finali sono chiusi, bollinati e depositati. Da questi si ricava che dal 15 marzo al 31 dicembre 2013 le somme complessivamente spettanti a vario titolo ai 106 (allora) deputati del M5S sono ammontate a 19 milioni 395.218 euro e 26 centesimi. Mentre quelle effettivamente erogate sono state pari a 18 milioni 912.552 euro e 46 centesimi. La differenza è di soli 305.581 euro e 29 centesimi: sono i soldi a cui gli onorevoli grillini hanno volontariamente rinunciato. Va considerato però che alla maggior parte delle competenze, ovvero 14,1 milioni del totale di 19,4, non era possibile per regolamento rinunciare, trattandosi di indennità e diaria, e vedremo poi anche questo capitolo. La somma della quale si poteva invece tecnicamente privare viene così a restringersi a 5 milioni 319.064 euro e spiccioli. E qui il risparmio dovuto alle rinunce volontarie non va oltre il 5,7 per cento del totale. Se i deputati del Movimento non hanno ritirato ben l’83,5 per cento dell’indennità di ufficio (la somma oltre allo stipendio che tocca a quanti ricoprono altri incarichi, come per esempio presidente di commissione) le rinunce relative alle altre voci sono apparse decisamente più modeste. Lo scorso anno gli onorevoli grillini non hanno ritirato l’8,2 per cento delle spese di viaggio, il 5,6 per cento di quelle telefoniche e appena lo 0,94 per cento della famosa quota di 3.690 euro che spetta a ogni deputato per il cosiddetto «esercizio del mandato»: meglio conosciuta come il contributo per il portaborse. Una micro rinuncia identica tanto per la quota del 50 per cento per cui è stato introdotto dalla Camera l’obbligo di rendicontazione quanto per l’altra metà che viene erogata in modo «forfettario», cioè senza bisogno di produrre ricevute o scontrini. Questo nel 2013. E per il 2014? Dai dati mensili le rinunce sembrano decisamente in linea con quelle dello scorso anno. Nel mese di novembre appena terminato sono risultate pari a 27.930 euro e 58 centesimi per tutti i deputati del gruppo. Ovvero il 5 per cento delle somme teoricamente «rinunciabili». In media, 268 euro a testa, anche se non tutti hanno poi rinunciato. In 31 non hanno ritirato l’indennità di ufficio: 23.098,98 euro il risparmio. Mentre hanno snobbato il rimborso delle spese telefoniche e delle spese di viaggio soltanto quattro onorevoli su 104: con un sollievo per l’erario rispettivamente di 400 e 4.431,60 euro. Veniamo ora allo stipendio vero e proprio. Sarebbe ingiusto non riconoscere che i deputati del M5S si mettono in tasca soltanto 2.500 euro netti al mese dell’indennità che ammonta a 5.246 euro e 54 centesimi. I restanti 2.746,54 euro vengono destinati a un fondo di garanzia per i finanziamenti alle piccole imprese che dovrebbe essere gestito dal ministero dello Sviluppo economico. Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ha spiegato nello scorso mese di agosto che i parlamentari grillini hanno fatto confluire lì dentro già 6 milioni di euro con i «Restitution day» che avvengono con cadenza trimestrale. Il totale dei versamenti del M5S è però più alto, considerando anche i contributi provenienti dal taglio degli emolumenti dei consiglieri regionali. Si parla in tutto di 7 milioni e 984 mila euro. Peccato che da un anno, quando il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco ha firmato un decreto che consente l’attivazione di quel capitolo di bilancio, quei soldi non siano stati ancora utilizzati. Fermati, bloccati, paralizzati: a quanto pare, in un incomprensibile rimpallo fra ministero dell’Economia e Consiglio di Stato che non si sarebbe ancora esaurito. Con il risultato che i contribuenti non hanno risparmiato quasi un bel nulla. E le microimprese, certo non per colpa dei grillini ma di una burocrazia assurda e inconcludente, restano a bocca asciutta.