Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 30 Domenica calendario

INTERVISTA AD ANTONIO CORVI

Era già un giovanotto quando il medico, dopo avergli palpato i muscoli, sentenziò: «Hai i tessuti immaturi». Dipenderà da quello se Antonio Corvi, 88 anni fra meno di tre mesi, farmacista in Piacenza, riesce ancora a presidiare imperterrito il bancone che il suo avo Giovanni nel 1805 comprò all’asta da Napoleone I, il quale lo aveva fregato al convento degli Agostiniani, il più ricco della città, dopo aver trasformato la chiesa annessa in scuderia per i propri cavalli. E dipenderà sempre dai tessuti immaturi se scala con l’agilità di un trentenne, mentre il cronista arranca alle sue spalle, i 100 scalini in cotto, datati 1790 e dunque assai malconci, che separano la farmacia di via XX Settembre dal laboratorio ospitato in soffitta, rimasto attivo dal 1850 al 1950, sulla cui porta d’ingresso c’è ancora il numero civico 65 che il Bonaparte assegnò al palazzo.
Essere ammessi in quest’antro, sovrastante il più antico negozio della provincia di Piacenza, è come salire sulla macchina del tempo. Ecco i vasi della coca in foglie e della teriaca veneziana, il primo farmaco nella storia dell’umanità, che il medico Andromaco somministrava all’imperatore Nerone. Ecco la tintura di cantaride, un revulsivo ricavato dall’insetto puzzolente, considerato (per uso esterno) un progenitore del Viagra. Ecco un’insegna del calmante Murri inventato dal cattedratico bolognese protagonista di uno scandalo nell’Italia del 1902. Ecco il mosaico che in quello stesso anno i maestri vetrai di Murano regalarono a Luigi Corvi in segno di gratitudine per le migliaia di fiale ordinate.
Gran bel tipo, questo Luigi, nato nel 1835, creatore del laboratorio officinale e bisnonno di Antonio Corvi. Fervente patriota, nel 1859 accorse a Torino e si arruolò nei Cacciatori delle Alpi, combattendo la seconda guerra d’indipendenza al fianco di Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio. Tornato nella sua farmacia di Piacenza, ordinò alla Ginori di Firenze una serie di vasi in porcellana, che il pronipote custodisce gelosamente, sui quali i nomi dei vari preparati officinali sono scritti dentro cartigli tricolori in memoria dell’esperienza bellica risorgimentale. «Malato di diabete, morì nel 1909, a 74 anni non ancora compiuti, pochi giorni dopo essersi fatto amputare una gamba in gangrena dal professor Vecchi», informa il discendente. «La sala operatoria fu allestita qui, sopra la farmacia, al primo piano. Allora a farsi operare in ospedale andavano solo i poveri». S’ignora se, per il funerale, Luigi Corvi poté contare sulla stessa dotazione di candele che suo padre aveva assicurato nel 1848 al defunto Nicola Peretti, fornitura per la quale è ancora conservata in farmacia regolare fattura: 166 libbre di cera in torce, di cui 156 ritornate, più 32 libbre in candelotti e candeline, totale 88,38 lire, sconto 38 centesimi. A valori di oggi, 500 euro.
Sono abituati a non buttar via nulla, i Corvi, né potrebbe essere diversamente, giacché il loro punto di forza è il passato. Farmacisti da 11 generazioni, ciò che fa di loro la più longeva dinastia italiana di speziali, hanno trovato in Antonio V (da non confondere con Antonio IV, che era il nonno), per un quarto di secolo presidente dell’Accademia di storia della farmacia, il cultore più accanito degli antichi fasti. E infatti a lui sarebbe piaciuto diventare uno storico. Ma il richiamo di pestello e mortaio ebbe il sopravvento: laurea in chimica a Genova nel 1951 e in farmacia a Modena nel 1955; dottorato in storia della farmacia a Barcellona nel 1970; premio Schelenz alla carriera (quasi un Nobel dei farmacisti) nel 2006. Inoltre: matrimonio nel 1964 con Gisella Pampari (farmacista, ça va sans dire, e biologa), tuttora di turno al suo fianco di giorno e di notte; figlia farmacista, Maria Giovanna, nata lo stesso anno; figlio farmacista, Luigi, nato due anni dopo. Il tutto da non confondere con la farmacia Camillo Corvi ubicata al numero 106 della medesima via XX Settembre, aperta nel 1910 dal fratello di suo nonno, noto per aver importato dagli Stati Uniti il Vick’s Vapo Rub che aveva incassato 3 milioni di dollari durante la pandemia di spagnola del 1918.
Chi fu il capostipite?
«Petrus de Corvis, aggregato nel 1570 al paratico degli speziali, la nostra corporazione. È rimasto famoso come primo gestore della farmacia dei poveri».
Si capisce al volo che siete brava gente.
«La peste del 1630, narrata dal Manzoni nei Promessi sposi, ha lasciato un buco nell’albero genealogico. Nel 1650 ricompare un Joseph Corvi, 4 figli. Il primo maschio è Raimondo, che ebbe almeno 5 discendenti. Il primogenito Antonio va apprendista dallo speziale Arisi e ne sposa la figlia. Nel 1733 apre una propria farmacia. Gli subentra il figlio Carlo Giuseppe, che la lascerà agli eredi Antonio II e Angelo. Il primo ne apre un’altra per conto suo a 24 anni in piazza Cavalli, fa i soldi e costruisce il palazzo nel quale ci troviamo. Un figlio, Giovanni, muore nel 1836 a causa dell’incendio di un grande alambicco. Il primogenito di questi, Antonio III, si laurea in ars pharmaceutica a Parma, ci tramanda un ricettario con 700 formule, fa 12 figli e muore nel 1873».
Tiri il fiato, la prego.
«Il suo primogenito Francesco è farmacista alla corte di Parma. L’ultimogenito Luigi, quello che combatte con Garibaldi, ne prende il posto e mette al mondo 6 figli, uno dei quali è Antonio IV, mio nonno, laureato in chimica. Arriviamo così a mio padre, Luigi II, farmacista, al quale subentro nel 1961».
Undici generazioni. Un record.
«Ci sarebbero i Betti, a Bagni di Lucca. Però la loro storia comincia più tardi, nel 1709, e mi pare che non superino le 8 generazioni, con qualche cambio di nome per parte di madre».
Vende ancora preparati galenici?
«Solo sei-sette al giorno. È un lavoro manuale molto faticoso: per fare la mia pomata antidecubito ci metto 20 minuti».
Gli altri suoi cavalli di battaglia?
«Lo sciroppo per la tosse al destrometorfano. La soluzione acetica che cura l’alopecia areata. I sedativi alla valeriana, più efficaci delle benzodiazepine. E le capsule alle cinque erbe contro la stipsi, un lassativo dolce dolce».
Non ha paura di sbagliare i dosaggi?
«Mai. Però molti farmacisti ce l’hanno. Così come conosco tre ingegneri che non volevano progettare i muri portanti, per paura che gli edifici cadessero».
Che farmaco vendeva di più all’inizio della sua carriera?
«Il Proton, un ricostituente a base di glicerofosfati. Lo produceva il dottor Camillo Rocchietta nel suo stabilimento di Pinerolo e andava per la maggiore grazie ai manifesti disegnati da Marcello Dudovich, il cartellonista triestino che creò le pubblicità per Fiat, Alfa Romeo, Pirelli, Rinascente, Martini, Strega, Campari. Gli faceva concorrenza l’Ischirogeno, rigeneratore delle forze contenente fosforo, ferro, calce, chinina pura, coca e perfino stricnina, messo a punto dal cavalier ufficial Onorato Battista nella farmacia Inglese del Cervo a Napoli».
E oggi al top che cosa c’è?
«La Tachipirina. Si prende per tutto».
È vero che ha la ricetta dell’elisir di lunga vita, fatto con testicoli di passero?
«Ma non è mia. L’ho rintracciata nelle farmacopee spagnole del 1600. Credevano di giovarsene nobili e prelati».
Bisogna essere bravi a trovare i coglioncini del povero passero.
«Cosa vuole mai, quelli erano tempi in cui i ricchi malati all’ultimo stadio si curavano con i frullati di perle. A Lorenzo il Magnifico fu propinata polvere di diamanti, smeraldi, topazi e rubini, cosicché schiattò a 42 anni per un blocco renale. Piero Leoni, il medico curante, fu trovato morto in un pozzo».
Il suo elisir di lunga vita qual è?
«Mia moglie. È presidente nazionale del Club del fornello.
Cucina sul fuoco invece di scongelare nel microonde. Il modo di nutrirsi è fondamentale, lo capii all’esame di scienze degli alimenti, quello che m’è servito più di tutti».
Visti di persona i risultati, le credo.
«Da piccolo ero come un bimbo del Biafra, sempre malato, in preda ad acetonemia cronica. E sa perché? Ero stato allevato con il latticello Glaxo, il primo in polvere che giunse nel nostro Paese, che per me era troppo grasso. Adesso mangio molto meglio: poco al mattino, primo e secondo sia a mezzogiorno che alla sera. Oggi a pranzo c’erano tortelli alle erbette e coppa piacentina».
Le risulta che tante medicine vengano boicottate perché sono poco costose?
«Agli inizi sono stato propagandista alla Glaxo e all’Istituto biochimico di Genova, dove producevamo un estratto della corteccia surrenale dei suini, l’Ormosandrina, che era eccezionale per combattere la caduta dei livelli pressori durante gli interventi chirurgici. Ma con i prezzi bloccati non ci stavamo dentro. Risultato: addio Ormosandrina e addio istituto. Così oggi c’è di tutto e di più per curare l’ipertensione, ma non c’è più nulla contro l’ipotensione».
C’è voluto un piacentino, Pier Luigi Bersani, per mettervi in ginocchio, quand’era ministro, con la liberalizzazione delle parafarmacie.
«È il nostro nemico numero 1».
L’ha fatto per aiutare le coop rosse?
«Veda lei. E la moglie Daniela Ferrari, mia collega, lo appoggiava. Adesso la gente va nei centri commerciali, pensa di curarsi comprando i farmaci da banco con lo sconto, poi arriva qui disperata perché sta peggio di prima».
Gli affari sono calati da allora?
«In cinque anni le farmacie dei centri storici hanno perso il 40-50 per cento del fatturato mutualistico».
E la crisi economica influisce sull’acquisto delle medicine?
«Moltissimo. Ci salviamo con gli integratori. Rispetto al 2013, sarò bravo se chiudo in pareggio. I clienti si sono buttati tutti sui generici. Molti entrano, chiedono il prezzo di un farmaco e se ne vanno dicendo: “Tornerò”».
Favorevole o contrario alla cannabis per uso terapeutico?
«Se si vendesse solo come farmaco, perderebbe quell’aura di proibito che induce i ragazzi a trasgredire, facendosi del male».
Il Bedrocan, unico preparato galenico a base di cannabis ammesso dal ministero per malati di sclerosi multipla e cancro, costa 318,73 euro per 300 milligrammi, 35 volte più dell’oro. Non è che qualcuno ci stia marciando, visto che si tratta di erba?
«Eh... L’ha detto lei».
Ci sono medicine che si rifiuta di vendere?
«Sono molto contrario alla pillola del giorno dopo. Ma se si presenta una ragazza con una ricetta per il Norlevo, sono obbligato a fornirgliela, perché è una specialità come le altre. A noi farmacisti non è stato riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza, garantito invece ai medici contrari all’aborto. Una grave discriminazione: ci considerano di serie B. Badi bene, non è questione di essere credenti o atei. Per me il peggior peccato degli italiani è la denatalità».
Però fa affaroni con i profilattici.
«Io? Non li vendo proprio. Ne avrò in bottega 10 pezzi, giusto per chi si trovasse a tarda ora con l’acqua alla gola». (Contati all’uscita: erano 7). «Che vadano a comprarseli negli autogrill».
Capisco la difesa dall’Aids e dalle malattie veneree. Ma che c’entrano con le farmacie i condom dotati di anello vibrante?
«E vabbè, le soddisfazioni fisiche tengono su il morale. Se non avessimo le nostre colpe, non saremmo qui a lamentarci degli affari che vanno a rotoli».
Il Viagra risente della crisi?
«Ricette pochissime. Mi chiedono il generico. Secondo me, sotto banco c’è un grande spaccio di quello fabbricato clandestinamente».
Non le sembra che le farmacie siano diventate bazar in cui si vende di tutto, dagli zoccoli alle caramelle?
«È precisamente l’andazzo che combattiamo con l’Accademia di storia della farmacia. Purtroppo mantenere un negozio antico comporta costi molto più elevati. Ma io non ci vivrei in una farmacia di vetro e plastica».
Riesce sempre a decifrare la grafia dei medici sulle ricette?
«A volte mi tocca telefonare in ambulatorio. Per fortuna ho fatto studi di paleografia».
Ma a 75 anni i farmacisti non sono obbligati a passare la mano, cedendo addirittura la licenza? Che ci fa ancora qui a bottega?
«La legge è pronta. Forse andrà in vigore a gennaio. Forse.
Siamo in Italia».
Non mi ha detto se lei prende farmaci.
«Una pastiglietta di Congescor per il cuore. Ho le carotidi occluse al 40 per cento dal colesterolo. Per forza, non mangiamo più la roba di una volta. Perfino qui a Piacenza non si sa più dove comprare la coppa buona».
Stefano Lorenzetto

LORENZETTO Stefano. 58 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimi libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio).


LORENZETTO Stefano. 58 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Quindici libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio) i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.