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 2014  novembre 29 Sabato calendario

E IN VENETO L’INCUBO SONO I GAZEBO DESERTI “LA GENTE NON VOTA NEMMENO ALLE ELEZIONI”

PADOVA.
Chissà se Matteo Renzi sa dov’è Anguillara, il paese che fa lo sciopero delle primarie. Un argine, la strada che scende verso la chiesa, una storia scandita dalle piene dell’Adige. Quattromila abitanti, settanta iscritti al Pd che hanno detto no, stavolta il seggio non lo facciamo. Perché di primarie che «piombano addosso» a militanti «smossi » all’improvviso, senza il tempo necessario per «valutare una leadership», fatte solo «per trovare un candidato che abbia un’immagine», primarie che magari ti si rivoltano contro, come in Emilia, ecco, di queste primarie si può fare a meno. Chi vuole votare, domani, passi il ponte sul Gorzone e pedali sei chilometri fino ad Agna. «Noi le elezioni regionali le vogliamo vincere, faremo campagna elettorale, non è un ammutinamento», insiste la segretaria del circolo Pd, Francesca Masiero, 30 anni, educatrice del nido. «Qui, al partito ci teniamo. Ma primarie fatte così, in venti giorni, senza discussione, sono la goccia che fa traboccare il vaso». Hanno discusso, hanno scritto un documento. E rispedito il pacco con le schede. «Mandiamo un segnale». Ma almeno, singolarmente, andrete a votare ad Agna? «Ci devo pensare», esita Caterina Sieve, militante ventiquattrenne, «il malumore è forte».
Gli spettri d’Emilia guadano il Po, salgono nel Veneto che sei mesi fa regalò al Pd un risultato febbricitante, 37 e mezzo, primo partito, quattro punti sopra la destra, doppiata la Lega, e fece sognare il colpo grosso, la conquista dell’unica regione mai stata rossa né rosa. Per questo, Renzi ha richiamato da Bruxelles la sua ladylike di successo, Alessandra Moretti, miss 230 mila preferenze, che i sondaggi riservati danno come l’unica in grado di preoccupare il doge leghista Luca Zaia. Ma la politica è fluida e le cose cambiano. Doveva essere un’investitura, quella di Moretti, renziani e bersaniani d’accordo, ma è spuntata la guastafeste, l’onorevole Simonetta Rubinato, area cattolica ma fuori dagli schieramenti, ha alzato la manina, o meglio il suo hashtag # sepolfar (un podemos versione Serenissima), non è una sprovveduta, per dieci anni strappò ai leghisti il comune di Roncade. E il regolamento del Pd dice: più di un candidato, primarie obbligatorie. E primarie sono state, di corsa, firme raccolte con l’acqua alla gola, primarie lampo, tredici giorni fra candidature e urne.
Il segretario regionale Pd Roger De Menech le chiama «primarie smart». «Nel senso di agili, svelte. Volevamo le solite primarie di sangue che durano mesi e ti logorano il partito?». Ma ora tutti hanno paura del floppone. Stampate 75 mila schede in previsione di 50 mila votanti: bene, serpeggia l’incubo di non riuscire neppure a portare ai seggi i 18 mila firmatari delle tre candidature (il terzo è il dipietrista Antonino Pipitone). «Non ho questo terrore», ostenta De Menech, «comunque sia, noi il candidato lo facciamo scegliere a migliaia di cittadini, mentre Zaia si è scelto da solo».
Sarà, ma girando paesi e città l’ottimismo scema parecchio. «L’aria è quella che è, incrociamo le dita», sospira Alessandra Brunati, segretaria Pd ad Asolo. Da Cittadella, il quartiere più leghista di Padova, il responsabile Pd di zona Adamo Zambon si lascia sfuggire: «Ce la mettiamo tutta, ma stavolta le primarie forse le avrei evitate... In certe condizioni danno poco valore aggiunto e rischiano di delegittimare il candidato». La pensa come lui Paolo Giaretta, già sindaco Dc di Padova, poi fondatore del Pd Veneto: «Le primarie non sono un valore sacro, se ne esci più debole sei un masochista a farle lo stesso. Quando il cittadino non ha voglia di votare neppure alle elezioni vere, non puoi chiedergli di scegliersi pure i candidati».
Autolesionismo? Il rischio di un’investitura debolissima si somma agli strascichi dei veleni di ogni battaglia elettorale. Non sono mancati, ovviamente, nella sfida fra le due avvocatesse. Slavine di sarcasmo sull’infelice videointervista di Moretti dove l’ex corazziera di Bersani, ora devotissima a Renzi, teorizzava per le donne in politica il dovere della bellezza e di estetista settimanale, «non mi riconosco in quelle parole». Moretti che poi accusa la sua competitor di essere stata fra i 101 traditori di Prodi (subito scagionata dalla prodissima Sandra Zampa). Sempre Moretti, infastidita perché la rivale «si è occupata solo di suore e preti», si becca la ritorsione feroce del settimanale diocesano di Treviso: «Moretti non ha peli neppure sulla lingua, del resto lì l’estetista non arriva... Ma se vuol vincere, qualche voto cattolico le servirà». Pronto ripiegamento della candidata, al forum de Il Mattino: «Sono pronipote del vescovo di Treviso».
Ma le rimbeccate, se animano gli stanchi dibattiti (ieri sera l’unico in pubblico tra i candidati, in una sala con molte sedie vuote) non risollevano l’interesse primario. Tira un altro vento. «A votare alle primarie non so se vado»: Maurizio Baratello è un commercialista veneziano, tessera Pci dal ‘72, ex consigliere comunale Ds, «questo governo non ha una linea sulla crisi economica, e io mando un segnale. Ora anche l’astensione è un’opzione politica». L’ha scelta con amarezza anche Mario Carraro, imprenditore illuminato, a suo tempo in corsa per un ministero di Prodi: «No, non andrò. Queste primarie servono solo a sancire una scelta di visibilità. Come quando contro Berlusconi si scelse Rutelli invece di Amato perché veniva meglio in tivù».
Curioso, stessa amarezza anche a Marghera, cuore operaio del Veneto bianco, percentuali (ex) emiliane al Pd. «Si vota il Jobs Act, ma pensa che siano venuti qui a discutere coi lavoratori?», si sfoga il segretario del circolo Pd Antonio Cossidente, «ci danno la linea dalla tivù. Poi però ci chiedono di dare i volantini, di fare i seggi... Siamo braccia da campagna elettorale. Ci hanno sterilizzati. Sì, sì, domenica vado a votare, stiano tranquilli, poi anche alle regionali. Ma ormai ho capito, se devo dire la mia lo faccio altrove. Sono andato alla manifestazione di Roma. Farò lo sciopero generale. Non esiste solo il voto».
Michele Smargiassi, la Repubblica 29/11/2014