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 2014  novembre 29 Sabato calendario

FINCHÉ NON AVRÀ ABOLITO IL CARROZZONE DEL CNEL, RENZI NON POTRÀ DIRE DI AVERE SCONFITTO DAVVERO CGIL, CISL E UIL

L’abolizione del Cnel è l’antipasto della semplificazione della pubblica amministrazione che arriverà nelle prossime settimane». Così assicurava il premier Matteo Renzi in una delle sue prime conferenze stampa a Palazzo Chigi, scoppiettanti come fuochi d’artificio.
Era il 31 marzo, e il suo governo si era insediato da poche settimane (il 22 febbraio), seminando promesse di cambiamento e grandi speranze. Sono trascorsi otto mesi, ma il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) è tuttora vivo e vegeto. Tanto è vero che la legge di Stabilità lo ha incluso tra gli enti pubblici da finanziare per l’anno prossimo, sia pure con una robusta decurtazione.
Nelle tabelle che accompagnano la manovra di bilancio si parla infatti di un taglio di 16 milioni di euro che riguarderanno «il Cnel e gli altri organi istituzionali». Non è chiaro a quanto ammonti la sforbiciata dei fondi destinata al solo Cnel, ma è probabile che finirà per aggirarsi intorno a 10-11 milioni, circa la metà del costo attuale del carrozzone clientelare, che ha sede a Villa Lubin, nel parco romano di Villa Borghese, è presieduto dal 2005 dall’ex ministro Antonio Marzano (Forza Italia), e composto da 64 consiglieri, quasi tutti nominati su indicazione di Cgil, Cisl e Uil, e dalle varie associazioni imprenditoriali.
Il conto di quanto costi ai contribuenti questo «buen ritiro» per dirigenti sindacali in pensione, oppure trombati alle elezioni, è presto fatto. Ogni anno, il Cnel riceve dallo Stato poco più di 19 milioni di euro. Di questi, 3 milioni servono per pagare: lo stipendio del presidente (217 mila euro), l’indennità fissa dei 64 consiglieri (25 mila euro l’anno ciascuno), più i rimborsi spese per i viaggi e le frequenti trasferte all’estero (1,2 milioni l’anno). Altri 7 milioni se ne vanno in retribuzioni per gli 80 dipendenti in pianta stabile. Dunque, una somma incomprimibile per stipendi pari a 10 milioni, che scende a 9 milioni se si cancella il benefit generoso dei viaggi rimborsati. Il resto, ben 9 milioni, se ne va in studi e consulenze sui temi più fantasiosi, di cui nessuno ha mai avvertito la minima necessità. Basti ricordare che in 50 anni di attività, nella sua veste di organo costituzionale, il Cnel ha presentato al parlamento soltanto 14 disegni di legge (uno ogni tre-quattro anni), nessuno dei quali è stato mai approvato.
A Renzi va riconosciuto che, a differenza di altri uomini di governo, non si è limitato a promettere la soppressione del Cnel per manifesta inutilità, ma ha anche cercato di farlo. Cosa non facile, visto che si tratta di un ente previsto dalla Costituzione (articolo 99). All’uopo, serve una legge costituzionale, che richiede quattro passaggi in Parlamento. Per questo, Renzi ha inserito la cancellazione del Cnel nella riforma costituzionale del senato, che finora ha superato soltanto la prima lettura in Parlamento (l’8 agosto). Dunque, ne mancano ancora tre. Ma se la legislatura dovesse finire prima del tempo per le elezioni anticipate, Marzano, 79 anni, potrebbe superare i dieci anni di presidenza e confermare la tradizione di lunga durata nell’incarico, che al Cnel ha precedenti illustri: Pietro Campilli (15 anni), Bruno Storti (12 anni), Giuseppe De Rita (11 anni).
In ogni caso, nessuno potrà mai battere il primato di Raffaele Vanni, classe 1922, fondatore ed ex segretario della Uil, che è stato consigliere del Cnel per 54 anni, sempre con l’incarico di responsabile per i problemi del Sud. Come ricorda Sergio Rizzo nel suo ultimo libro («Da qui all’eternità»; Feltrinelli), Vanni entrò al Cnel fin dalla seduta inaugurale (20 febbraio 1958), «quando la legge Merlin che avrebbe chiuso le case di tolleranza, non era ancora in vigore», e vi è rimasto fino al 2012, quando il numero pletorico dei consiglieri è stato ridotto da 121 a 64. «A quel punto l’anagrafe ha deciso».
Per la cronaca, a 92 anni suonati, Vanni è tuttora in sella come presidente dell’Uiltucs, una sezione Uil che si occupa dei lavoratori di turismo, commercio e servizi. E pure qui ha messo a segno un primato non ripetibile: era il 1981 quando Vanni diventò segretario dell’Uiltucs, Ronald Reagan entrava alla Casa Bianca e la Francia aboliva la ghigliottina. Lasciò l’incarico di segretario 17 anni dopo, nel 1998, per raggiunti limiti di età (76 anni), e ne diventò presidente. È ancora lì.
Il Cnel imbottito di ex sindacalisti e i record di Raffaele Vanni sono solo un assaggio della capacità dei dirigenti sindacali di garantirsi un futuro roseo, quasi sempre a spese dei contribuenti. Il libro di Rizzo racconta decine di casi, con nomi, cognomi e prebende. Per ragioni di tempo sull’uscita del libro, ha mancato per un pelo lo scandalo di Raffaele Bonanni, l’ex segretario della Cisl che, per assicurarsi una buona pensione, era arrivato ad assegnarsi uno stipendio di 336 mila euro l’anno. Sono storie che non fanno onore al sindacato, anzi. Lo sa bene anche Renzi, che non ha esitato a dichiarare guerra a Cgil, Cisl e Uil facendo leva anche su queste debolezze, un tallone d’Achille vero. Ma finché non chiuderà il Cnel, non potrà mai cantare vittoria.
Tino Oldani, ItaliaOggi 29/11/2014