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 2014  novembre 29 Sabato calendario

LA CADUTA DEL GREGGIO E LE FATICHE DELLA BCE

Il crollo del prezzo del petrolio aggiunge un’altra dimensione al rompicapo della politica monetaria della Banca centrale europea, il cui consiglio si riunisce giovedì. È stato il calo dei prezzi dell’energia, pari al 2,5% su base annua, a determinare l’ulteriore discesa dell’inflazione nell’eurozona a novembre, a 0,3% da 0,4% in ottobre. E questo ovviamente non include l’ultimo gradino in discesa dopo la decisione dell’Opec di mantenere la produzione invariata. Quando il più recente ribasso dei prezzi petroliferi sarà incorporato nel dato d’inflazione, e a meno di un improbabile rimbalzo nel breve termine a 85-90 dollari al barile, l’inflazione nell’area dell’euro scenderà a zero, secondo stime degli economisti di Commerzbank, nel mesi di gennaio, o anche al di sotto, secondo altri osservatori di mercato. L’inflazione di base, peraltro, che è depurata dei prezzi energetici e alimentari, è anch’essa ai minimi storici dello 0,7%. È troppo tardi anche, come rileva in una nota Marco Valli, di Unicredit, per vedere l’intero effetto della discesa dei prezzi petroliferi nelle previsioni che la Bce pubblicherà la prossima settimana e che verranno formulate sulla base delle quotazioni precedenti: in ogni caso, le previsioni (che per la prima volta includeranno anche il 2017) verranno tagliate, per inflazione e per crescita. Alle decisioni della Bce si aggiunge quindi un’ulteriore variabile. Il netto calo dei prezzi petroliferi, che secondo molti è destinato a durare, influenzerà al ribasso le aspettative d’inflazione nel medio periodo, un punto di riferimento importante per l’Eurotower, e che già si sono staccate dall’àncora attorno al 2%. D’altro canto, come osserva Riccardo Barbieri, di Mizuho, una ragione per non reagire in modo eccessivo alla caduta dell’inflazione è il pericolo per la Bce di diventare prigioniera delle oscillazioni del mercato del petrolio. I prezzi petroliferi bassi, secondo Barbieri, rappresentano però anche uno stimolo alla spesa nell’eurozona, che è importatrice netta di energia. Il miglioramento delle ragioni di scambio, favorito dal calo del petrolio e delle altre materie prime è uno sviluppo positivo, sostiene l’economista, a patto che l’economia riacquisti un abbrivio di crescita. La quasi totalità degli economisti di mercato ritiene che la Bce comunque non prenderà alcuna decisione alla riunione del 4 dicembre. Il presidente, Mario Draghi, ha ancora bisogno di tempo per costruire il consenso attorno alla prossima mossa, che, con ogni probabilità, dovrebbe riguardare l’allargamento del programma di acquisto di titoli: le opzioni sono le obbligazioni societarie, le emissioni delle agenzie europee e - unica ritenuta in grado di ampliare il bilancio della Bce in misura sufficiente e quindi fornire lo stimolo necessario - il debito pubblico. Il consiglio del 22 gennaio (dal 2015 le riunioni avverranno ogni sei settimane) viene ritenuta da molti decisiva. Nei giorni scorsi, il vicepresidente Vitor Constancio, ha parlato del primo trimestre del 2015, anche per poter valutare l’impatto delle misure già adottate. Il prossimo 11 dicembre usciranno i risultati del secondo finanziamento quadriennale (Tltro) alle banche mirato agli impieghi nell’economia reale e prossimamente si avranno gli esiti dei primi acquisti di titoli cartolarizzati (Abs). Si è fatta strada sui mercati la convinzione che in nessun modo solo con questi strumenti (più gli acquisiti di obbligazioni bancarie garantite), la Bce possa riportare il suo bilancio ai 3mila miliardi di euro di inizio 2012, come nelle aspettative del consiglio. Giovedì prossimo è possibile che, nella dichiarazione iniziale o in conferenza stampa, Draghi indichi qualche elemento in più sulla composizione dei titoli da acquistare. Resta poi naturalmente da superare l’opposizione interna in consiglio, che fa capo al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Questi ha riserve sulla legalità nell’eurozona dell’acquisto di titoli pubblici (o quantitative easing, Qe, come quello già praticato dalle altre grandi banche centrali) e sulla sua efficacia, in presenza di tassi già storicamente bassi. Ma offre anche una lettura macroeconomica diversa: la Bundesbank è più incline a ritenere che il calo dell’inflazione, anche per l’effetto petrolio, possa rivelarsi un fenomeno temporaneo. A partire dai prossimi mesi potrebbero inoltre farsi sentire gli effetti benefici del ribasso dell’euro.
Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 29/11/2014