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 2014  novembre 29 Sabato calendario

8x1000 OPERE DI BENE MA SOPRATTUTTO TELEVISIONE E SPOT – Quanto fa 8x1000 per la Chiesa cattolica? Un miliardo e poco più di 55 milioni di euro

8x1000 OPERE DI BENE MA SOPRATTUTTO TELEVISIONE E SPOT – Quanto fa 8x1000 per la Chiesa cattolica? Un miliardo e poco più di 55 milioni di euro. Il calcolo è trasparente, la ripartizione viziata dall’ultimo Concordato tra lo Stato italiano e il governo vaticano. Il resto è buio. Questa somma di denaro, che puntualmente il Tesoro versa ai vescovi italiani, proviene da 41.499.535 milioni dichiarazioni dei redditi. L’8per1000 è una donazione volontaria e obbligatoria: sì, un paradosso. Perché soltanto in 15 milioni hanno barrato la casella Chiesa cattolica quest’anno, ma un complesso meccanismo di moltiplicazione per legge, consente la distribuzione di oltre l’82% del ricavato totale (1,276 miliardi) alla Conferenza episcopale italiana. Quel che avanza, viene diviso fra lo Stato e cinque organizzazioni religiose, Ebrei, Valdesi, Luterani, Avventisti e Assemblee di Dio. Il bonifico con in calce la firma italiana viene incassato da Cei e il miliardo poi viene gestito sul conto di Deutsche Bank che la Santa Sede ha intestato in Germania. Questioni di vincoli e controlli. A papa Francesco non sono sconosciute le disfunzioni dell’8x1000 e, pare, non siano mancate proteste dettagliate e invocazioni di intervento tramite documenti spediti presso la sua abitazione in Santa Marta. A CHI FINISCONO I QUATTRINI Ogni anno, a maggio, i vescovi italiani si riuniscono e approvano il bilancio Cei. Mentre dentro si consumano le consuete battaglie, all’esterno viene diffuso un frontespizio che, in maniera poco esaustiva come certifica la stessa Corte dei Conti, illustra le voci di spesa. Ci sono tre categorie onnicomprensive: 433 milioni di euro per le esigenze di culto e pastorale, 245 milioni gli interventi caritativi e 377 milioni per il sostentamento del clero. Nei rivoli di un abbondante miliardo di euro, però, si possono celare i flussi di denaro per giornali, propaganda, televisioni, seminari, convegni. Soltanto lo stanziamento per il “terzo mondo”, pari a 85 milioni di euro, né aumenta né diminuisce mai. Tutto è variabile. Tutto può significare opere di bene o niente. Tutto può contenere la costruzione di una casa di accoglienza per giovani madri emigrate, un campetto di calcio per l’oratorio oppure un grande parata per adunate di prelati e politici. Quando la somma viene stabilita e i moduli Irpef sono consegnati ai commercialisti, s’interrompono i video in tv che reclamizzano l’8x1000 con il ritornello “Chiedilo a loro”. La musica suscita emozioni, le immagini attirano l’attenzione, si vedono suore o preti che arrancano in luoghi di dolore, bambini, malattie, disperazione . Come per la vendita di un prodotto tradizionale, la Cei si affida a martellanti campagne pubblicitarie, per un decennio ideate da Saatchi&Saatchi, una azienda che promuove le esplorazioni petrolifere di Eni, le macchine elettriche di Toyata o le cialde da caffé di Illy. Oggi viene coinvolta anche “Another Place”, le gigantografie di volti segnati dalla sofferenza sono a cura di questa brillante società. Perché sono davvero numerosi i “cantieri” aperti con l’8x1000 fra parrocchie, ristrutturazioni, beneficienza. I CANALI PER LA PUBBLICITÀ E I MEZZI DI COMUNICAZIONE In Italia la raccolta pubblicitaria è crollata negli ultimi anni, le concessionarie rimediano con sconti altissimi, ma la Cei è un investitore importante, perché garantisce almeno 10 milioni di euro. I dati ufficiali Nielsen, relativi al 2013, ci consentono di quantificare in 9,824 milioni la spesa su Mediaset & C. dei vescovi per convincere gli italiani a destinare l’8x1000 alla Chiesa italiana. In quattro anni, la Cei ha investito quasi 45 milioni di euro. Non vanno definiti sprechi, possiamo aggiungere con un po’ di ironia, perché, nota persino la Corte dei Conti, la presenza in tv della Conferenza episcopale ha oscurato lo Stato in questa competizione per l’8x1000. Nel rendiconto stilato da Cei non c’è traccia dei contributi ai media di proprietà dei vescovi: il quotidiano Avvenire, il canale satellitare Tv2000, l’emittente Radio In Blu e l’agenzia di stampa Sir. Per rispettare le regole italiane, la Cei finanzia i suoi media attraverso due fondazioni: la “Santi Francesco e Caterina”, la prima in ordine di costituzione che porta i nomi dei patroni nazionali si occupa e preoccupa di Avvenire e Sir; la “Comunicazione e Cultura” è depositaria del pacchetto di maggioranza di “Rete Blu”, la società che edita la radio e il giornale. A “Rete Blu”, la Cei ha conferito 37 milioni di euro per il 2013. Quest’anno l’erogazione potrebbe crescere, perché i vescovi pensano di poter consolidare la posizione di Tv2000, da qualche mese diretta da Paolo Ruffini, ex di Rai3 e di La7, e in fase di sperimentazione. Sarà una rete quasi “generalista”, per dirla con termini ormai desueti. A parte questi 37 milioni per “Rete Blu”, ce ne sono di solito 15 per Avvenire e 7 per la Sir. Non è finita. Perché le iniziative dell’ufficio per la Comunicazione sociali, che riempie un calendario sempre denso di appuntamenti, sono molto dispendiose. I fondi per l’8x1000 servono anche a rifocillare l’ambizioso Ente per lo spettacolo. Per confrontare queste cifre qui esposte con i diretti protagonisti, il Fatto Quotidiano ha contattato i responsabili per i rapporti con i media dei Vescovi. Ci hanno cortesemente risposto senza commenti particolari. GLI SCONTRI TRA PRELATI Il potere Cei è in capo a monsignor Angelo Bagnasco, che presiede la Conferenza episcopale da 7 anni, e fu indicato da Benedetto XVI. La sostituzione del segretario generale Mariano Crociata con Nunzio Galantino è soltanto il preludio all’uscita di Bagnasco. Le ultime assemblee hanno ospitato accese dispute tra i vescovi proprio sull’8x1000. I vescovi di Trento (Luigi Bressan), Como (Diego Coletti) e di Mantova (Roberto Busti) non tollerano l’eccessiva generosità con cui si sovvenziona il sistema di comunicazione. Il gruppo non è sempre coeso e le scelte non vengono prese tra implacabili entusiasmi. Qualunque siano le decisioni della Conferenza Episcopale, un po’ di informazione in più per i cittadini-paganti non guasterebbe. Non ci sono dogmi a rischio. Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 29/11/2014