Filippo Ceccarelli, la Repubblica 29/11/2014, 29 novembre 2014
QUANDO IL LEADER DIVORA SE STESSO
In un modo o nell’altro finiscono tutti così: stanchi, e anche abbastanza seccati con il loro partito. Era successo a Craxi, a Forlani, ad Andreotti, a Cossiga, ciascuno in genere col classico retropensiero “dopo di me il diluvio”.
E’ accaduto poi a D’Alema, a Veltroni, a Bossi, che poveraccio ci stava pure per rimettere la pelle, e a Berlusconi, che ogni tanto minacciava di abbandonare tutto per andarsene in giro con la sua magnifica barca, oppure a costruire orfanotrofi per i bambini poveri.
Ma di tutti i capi della Prima, Seconda e Terza Repubblica nessuno si è «stancato» prima di Beppe Grillo. Poco più di un anno. Il primo sintomo è censito nel giugno del 2013: «Ragazzi, mi sono rotto! Mi viene voglia di mollare, alcuni (grillini, ndr ) erano niente, sono entrati in Parlamento e adesso mi attaccano... ». Va da sé che la «stanchezza» che fiorisce sulla bocca dei leader è una parola povera e ad alto tasso di ambiguità. Sia che venga ammessa, sia che venga proclamata, o talvolta perfino scagliata contro i propri seguaci con la stessa energia di un marito frustrato o di una casalinga irrequieta, la fatica nasconde di solito altre faccende. Errori politici, disagi personali, sensi di colpa, recriminazioni, stress, idiosincrasie e paure che il possesso del potere non riesce più tanto a compensare. In questo genere di storie l’errore interpretativo è facile, ma nel caso di Beppe Grillo forse meno che in altri perché è lui stesso a fornire le varie cause della stanchezza. Oltre alle ingiuste contestazioni sono state addotte - nel senso che anche lui vi ha fatto cenno - ragioni economiche: il 740 «a zero». Prima di entrare in politica, cioè, guadagnava di più. La parola al manager di spettacoli (e amico) Michele Torpedine: «Beppe ha rinunciato a cifre da capogiro in questi anni, dal punto di vista degli incassi è uno che vale Benigni, nel suo genere è paragonabile a Ligabue...».
C’è poi una questione di fatica. Si pensi alla girandola di comizi per le piazze, come nessun altro leader, alla nuotata dello Stretto, allo Tsunami tour, ai mucchi di giornalisti addosso, alle corse sulla spiaggia vestito da marziano. Insomma: «Comincio a sentire gli anni, ho bisogno degli occhiali, mi è andata giù la vista e non solo quella». Il grillismo vive poi di enfasi, inventiva e concitazione. Insulti, spiritosaggini, nomi storpiati, fotomontaggi tutti i giorni non sono gratuite. Come pure le immaginose minacce: «Verremo a cantare a Sanremo» o le collette definite «spasmodiche ». Suona come un paradosso, ma standosene lontani dai talk-show le invettive affaticano e logorano più di quanto s’immagini: e le tombe, i cadaveri, la morte, la merda, i vaffanculo, gli strilli, lo streaming, gli scontrini, il vecchio processo per omicidio che riscappa fuori, l’osteria del Grillo, la salita del Grillo, il marchese del Grillo. Da una parte il nome che risuona e le aspettative che crescono, dall’altra le dietrologie, le rivalità e le scemenze dei parlamentari.
Un attore è un attore, certo, e la visibilità se la va a cercare. In più ha i ritmi, le tecniche, gli ingegni di scena; può permettersi il lusso di snobbare i salotti tv, comunque mettendo in scena numeri sensazionali, da morire dal ridere - due per tutti: l’intemerata all’assemblea del Monte dei Paschi con Profumo che ha paura che Grillo si senta male e la sfuriata ai danni di Dudù. Se gli schemi di rottura alla lunga stuccano e allappano, insultare non solo stanca, ma danneggia, inaridisce, guasta, corrode, stronca. Così, prima delle europee: «O vinciamo, o stavolta me ne vado davvero a casa». Ed ecco il messaggio di capodanno con il busto di Garibaldi e il dubbio di recitare una parte più grande di lui; l’ambasciatore inglese e quello cinese; l’affitto di Bibbona e il parrucchiere Renato; gli occhiali griffati e le foto deformate; «io oltre Hitler » e la mafia; il plastico per Vespa e lo «sputo digitale»; la scena del Maalox e la corona di spine indossata in un temporale di flash.
La popolarità mediatica è droga pesante, l’ostentazione parossistica corrisponde all’overdose. Gli spettacoli politici della post-politica non sfuggono al crudele e cannibalico ciclo produzione-consumo. Sarebbe assurdo che non fosse stanco, Beppe Grillo, tutti i leader prima o poi lo sono, ma lui prima e di più.