Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 28 Venerdì calendario

UNA SETTIMANA A CORCOLLE


CORCOLLE (ROMA). A volte può bastare una bottiglia volante non identificata per mandare in frantumi un piccolo mondo antico. O almeno per dirottare l’attenzione dalla luna dei problemi veri di una borgata disastrata al dito di un’emergenza inesistente, ma mediaticamente accattivante. Succede a Corcolle, estrema propaggine di Roma Est. L’unica parte della capitale che pretende un pedaggio autostradale o che in alternativa si può raggiungere in un paio d’ore di autobus con lo stesso coefficiente antropologico di un viaggio in Interrail. Cercate su Google e l’oracolo elettronico, giusto sotto Wikipedia, il meteo e il sito del comitato di quartiere, vi rivelerà il motivo della recente notorietà: «Roma, assalti ai bus: a Corcolle è caccia ai neri» recita il titolo di un articolo. Che ha intristito la stragrande maggioranza di cittadini che non ha alcun problema con gli stranieri. E fatto schiumare l’esigua minoranza arrabbiata che, per contestare la maniera in cui è stata dipinta, usa argomenti tipo «Razzista io? Sono loro a essere negri». E tuttavia il cronista venuto a trascorrere quasi una settimana qui a un mese dai fatti che stiamo per ripercorrere non ha vita facile. Perché questo, infinitamente più del presunto scontro di civiltà, sembra l’epicentro di una politica transgender, dove nessuna vecchia etichetta attacca più. Con un presidente di circoscrizione piddino che promette di cacciare i rifugiati. Un ex Forza nuova trasmigrato a Forza Italia che firma manifesti anti-invasione con iconografia leghista, ma poi definisce «beceri» i loro discorsi. E un aspirante capopopolo che da dietro i suoi Ray-Ban neri a goccia giura di essere di sinistra mentre lancia la sua Opa ostile all’appassionato comitato di quartiere assieme a un autista con l’A noi mussoliniano tatuato in latino sull’avambraccio.

L’antefatto
Ecco dunque, per come sono stati raccontati, i fatti. Sabato 20 settembre, alle 19.34, un autobus della linea 42 viene aggredito alla fermata vicina all’entrata di Corcolle. Una trentina di immigrati in attesa, sostiene l’autista Elisa De Bianchi, scagliano una bottiglia sul finestrino laterale rompendolo. Lei, che stava rallentando, a quel punto prosegue la corsa. Chiama il centro di controllo, che l’autorizza a rientrare in deposito. Ma all’altezza del capolinea si trova la strada sbarrata dagli africani che l’avrebbero inseguita. E lì inizia il brutto, perché ora sono «più cattivi», «spaccavano tutto, hanno finito di sfondare il finestrino. Ho pensato: “Se riescono a salire mi violentano e mi ammazzano”» dice al Corriere. A quel punto, invece di chiamare i carabinieri, contatta il collega e amico Emilio Tora, sospeso dall’Atac per non precisati motivi disciplinari, che abita a poche strade di distanza. Questi inforca il motorino, si precipita e mette in fuga i trenta aggressori. Grosso respiro di sollievo.
Se non che la storia gronda incongruenze. Si svolge il sabato sera, quando anche la sonnacchiosa Corcolle si anima. Dai bar vicini nessuno vede niente. Nessuno si fa vivo per testimoniare, tranne Tora che da allora lo fa a canali unificati e su Facebook. E tranne alcuni immigrati, che però denunciano che i bus spesso non si fermano quando li vedono, costringendoli a chilometri a piedi sulla micidiale Polense. Forse anche sabato, generando la pur ingiustificabile aggressione. A ogni buon conto a bordo non c’è alcun passeggero che possa confermare. De Bianchi (ripetutamente cercata, si nega e poi incarica l’avvocato di farci desistere) non sporge denuncia né ai carabinieri né alla polizia, che apprenderà dei fatti l’indomani, dopo che, a seguito di un’aggressione fotocopia (alle 16.30, ancora autista donna, la 27enne Federica Galesso, sassi tirati contro la fiancata da immigrati, nessun testimone), qualche centinaio di persone scende in strada per manifestare per la sicurezza, blocca la Polense e picchia tre africani a caso prima che tolgano da sotto le mani dei pochi scalmanati, evidentemente non del posto, un brasiliano che vive lì indisturbato da vent’anni, intervengano gli agenti e fermino otto persone, tra cui l’onnipresente Tora.

Giorno 1
Lucrezia La Gatta, giovane cronista del settimanale locale Tiburno, c’era: «Almeno metà di quelle facce io non le avevo mai viste. Non erano di qui». Si è parlato di rinforzi che qualcuno avrebbe chiesto alla vicina Casa-Pound di Settecamini. Federica Graziani, direttrice del combattivo quindicinale di Fiera dell’Est, ricorda un precedente: «A luglio si era misteriosamente diffusa la notizia che circa 1.200 rifugiati sarebbero stati sistemati nei locali del centro commerciale Dima shopping, nella vicina Torre Angela. Gli abitanti avevano bloccato la Casilina, erano spuntati gli striscioni del gruppo di estrema destra Azione frontale ed era arrivata la polizia. Salvo poi scoprire che l’ipotesi non era mai esistita ed era stata messa in giro ad arte». Sulla vicenda, e il «procurato allarme», indaga il commissariato Casilino, che è lo stesso incaricato di appurare come siano andate le cose a Corcolle. Il dirigente Francesco Zerilli si limita a dire che cercano riscontri alla versione dell’autista. Anche i carabinieri di Tivoli sdrammatizzano: «L’indice di criminalità di quelle parti è inferiore a quello che si può trovare a Termini o al Pigneto. E di certo non esiste un’emergenza immigrati». Se non nell’occhio di chi guarda.
Corcolle ha un solo albergo, a una stella, e sembra già uno di troppo. Lo gestiscono una madre e una figlia quarantenne, non si sa chi più sorpresa di avere un cliente. Trenta euro, con un gabbiotto di plastica che fa da bagno in camera. L’inverno le ha prese in contropiede («Il riscaldamento? Bisognerebbe chiamare l’idraulico»). Che ci esercitino le prostitute di mezz’età della Polense, per quanto posso testimoniare, è falso. Leggenda forse partorita dalla consueta minoranza livida che aveva assediato l’hotel dopo che si era sparsa voce che doveva ospitare una quarantina di rifugiati, in aggiunta alla cinquantina alloggiata in via Novafeltria. Loro sono stati il casus belli. Centrafricani perlopiù, portati con un blitz notturno su ordine della Prefettura a metà settembre. In vent’anni di ordinaria immigrazione non era mai successo niente, una settimana dopo questo minisbarco un pezzo di quartiere dà in escandescenze. Vero è che dei 39 centri di accoglienza di Roma, per quasi 2.600 posti, 15 sono stati piazzati nel VI municipio. Falso invece uno dei cavalli di battaglia degli intolleranti: «Noi italiani moriamo di fame e a loro danno 40 euro al giorno». Che sono 30 ed è il costo totale per mantenerli, in attesa che si decida sul loro status di rifugiati, il grosso del quale va per l’affitto (all’italiano padrone della palazzina) e per i pasti (a una cooperativa italiana). Il messaggio che passa, però, è che se la spassano a spese nostre.
Giorno 2
Corcolle, Far East romano, è una strada, via Sant’Elpidio a Mare, con poco o nulla intorno. Il supermercato Ariscount, all’angolo con la Polense lastricata di tristi pire di rifiuti, ha un’insegna sdentata da due lettere mancanti. Salendo di circa duecento metri c’è l’ufficio postale con intorno un paio di autolavaggi «a mano» e due negozi di frutta gestiti da bangladesi. Altri duecento metri e si arriva al capolinea dei bus, piazza Mondavio, con un bar, un circolo con biliardo e Stile Selvaggio, un barbiere da uomo che pubblicizza taglio a 10 euro, sopracciglia a 5 e tiraggio a 15. Il quartier generale degli scontenti è il baretto «dei fratelli», davanti alle poste. È lì che incontro Tora. Ha una quarantina d’anni, una felpa e un bulldog a guinzaglio. Conferma la versione di De Bianchi sull’aggressione. Nega che ci sia un problema con gli immigrati («Gli extracomunitari hanno i loro negozi qui, liberi e beati»), ma ricorda che, dopo gli assalti, «dei nigeriani volevano caricasse due ragazzine di diciassette anni» che passeggiavano per il centro. Dice: non sono razzista. Ma si dimentica di Facebook. Dove mister Emilio, che ha imparato a calibrare la rabbia coi giornalisti, diventa l’inferocito dottor Tora. Piccola crestomazia: Fiero di essere razzista per Dio scrive, tutto maiuscolo, il 20 settembre, nell’imminenza della prima aggressione (in un commento chiosa: Bastardi schifosi sulla brace li metterei). L’indomani si compiace della manifestazione: Corcolle bloccata, tutti contro i negri. Ma già a giugno commentava entusiasta il linciaggio a morte di un borseggiatore rumeno sulla metropolitana: E dajee vedemo mpo se ce sentono de ste recchie rumeni demmerdaaaa. Un giorno posta foto tenere con la figlia, l’indomani quelle del Duce oppure sue, con piccone in mano, che irride Marino, sindaco dei rom e dei gay. È a lui che, sorprendentemente, Mattino Cinque chiede aiuto per organizzare l’indomani una diretta dal quartiere.
Giorno 3
Alle 8.45 hanno racimolato una decina di persone e il cameraman fa del suo meglio per ottenere l’effetto folla stringendo l’inquadratura. A parlare è soprattutto Micaela Quintavalle, che con il quartiere non c’entra niente (abita all’Eur), ma è un’autista Atac telegenica che per l’occasione indossa un giubbetto di pelle rosa come la coda dei capelli per il resto biondo platino. L’inviata esordisce parlando di «tensione ancora molto alta» e fa solo domande sugli immigrati. Finito il collegamento il tarantino Stefano Palermo, appena trasferitesi ma già attivissimo, e un paio di residenti la contestano: «È una trasmissione pilotata. Non ve ne frega niente dei problemi nostri, ma solo di far audience». Alle ultime europee qui il M5S ha preso 831 voti, Pd e Tsipras 765, la destra 629 (di cui solo 56 alla Lega, che rende sospetta la scritta «Salvini santo subito» apparsa su un muro il giorno dell’altrettanto inedita visita di Borghezio, scortato da CasaPound). Antonio Piccirilli, ex carabiniere con due enormi baffi bianchi, snocciola lamentele: «Pisciano per strada. Puzzano a non finire. E i rumeni rubano nelle case. Per non dire del rischio di malattie scomparse, come Tbc e scabbia, e ora l’Ebola». Non è razzista, garantisce, e ogni tanto, chiama un extracomunitario per sistemargli il giardino. Negli stessi giorni un sondaggio Ipsos Mori certifica un problema di percezione su scala nazionale: crediamo che gli immigrati siano il 30 per cento, ma sono il 7. Il cinquantaseienne Gaetano Petroselli, che prende 280 euro di invalidità civile, è inviperito per i famigerati 40 euro giornalieri dei profughi: «Noi non siamo razzisti, ma non si può convivere con degli animali che cacano, pisciano e rompono le palle alle ragazze». Nonostante il linguaggio intollerabile, è una guerra tra poveri assai più che di civiltà. Dove dieci persone vocianti prendono il sopravvento su diecimila silenziose.
Ad avvelenare il clima contribuiscono alcune leggende. Tra cui lo sgravio fiscale di tre anni per i neoimprenditori immigrati (esiste anche per gli italiani). Oppure la preferenza verso i figli di immigrati nelle classifiche degli asili, che a Corcolle mancano democraticamente tanto per gli autoctoni che per gli stranieri. «Ogni volta che piove un po’ più forte rimaniamo intrappolati perché la Polense si allaga e non abbiamo altra via di uscita» apre la lunga lista di problemi reali il ventiquattrenne Danilo Proietti, presidente in scadenza del comitato di quartiere. «E poi i mezzi pubblici, lenti e inaffidabili: per andare al liceo a Cinecittà dovevo prendere il bus alle sei. Con la paura per gli autisti che correvano o telefonavano». Questo posto è lontano da tutto. «Il primo commissariato o ospedale a 12 chilometri. Il cinema a 14. Con 1.400 bambini non abbiamo un pediatra. Né l’Adsl, che ci condanna a uno stato di arretratezza insopportabile. Per cui i ragazzini sviluppano un’idea così ristretta del mondo che un extracomunitario gli sembra alieno quanto un extraterrestre». Ci sono così tanti motivi giusti per essere arrabbiati che non c’è bisogno di inventarsene di sbagliati. Nella confinante Fosso San Giuliano il suo amico Fabio Lo Russo mi parla di case non raggiunte dall’acqua potabile e altre escluse dall’illuminazione pubblica: «Certo, questa zona è nata abusiva, ma da allora le sanatoria si sono susseguite. Vi rendete conto che sto parlando di un quartiere della Capitale?». Tragicamente distante vari fusi orari dalla Grande Bellezza.
Giorno 4
«Lo so benissimo» gli risponde a distanza il presidente del VI municipio Marco Scipioni, nel fortilizio cadente che ne ospita gli uffici a Tor Bella Monaca (facendo anticamera nella sua segreteria due giovani maestre elementari si lamentano di un tappeto di siringhe abbandonate nei giardini). «I nostri quartieri accolgono circa la metà degli oltre duemila rifugiati della città». Che impallidiscono rispetto ai numeri francesi, tedeschi o svedesi ma, se non governati, possono diventare un problema. Mi promette, invano, i dati sugli stranieri residenti. «Quanto all’aggressione» prosegue Scipioni, «forse il bus non si è fermato e in ogni caso gli incidenti sono stati strumentalizzati». Lui stesso, pur sempre Pd, aveva stupito annunciando a Corcolle, la notte della collera, che avrebbe fatto «andare via» i profughi entro una settimana. I muri del municipio sono tappezzati di manifesti con un barcone colmo di migranti che recita «Non vogliamo morire di accoglienza» firmati dal capogruppo di Forza Italia Daniele Pinti. Quando mi raccontano che è stato tra i fondatori di Lotta studentesca, l’ala giovane di Forza nuova, tutto sembra tornare. Ma quando lo incontro il quadro si ingarbuglia. Ha 27 anni, è gentile e sveglio: «La metà di chi mi ha votato era di sinistra, perché conosceva il mio impegno nel volontariato» giura nella bella trattoria che gestisce nella vicina Castelverde. Racconta della casa che suo padre affitta da oltre dieci anni a una famiglia romena. E del nigeriano cui suo fratello ha fatto avere il permesso di soggiorno (un altro imprenditore mi mostrerà le foto di un bimbo africano che aiuterebbe, come prova ontologica dell’inesistenza di ogni razzismo). «A Corcolle sono stati cinque scemi a far casino» dice. È lo stesso Pinti che sui manifesti ha fatto scrivere «Stop all’immigrazione»? Il massimo che gli cavi è che ormai «sono troppi», che «dobbiamo smistarli in Europa» e soprattutto dovremmo «aiutarli a casa loro, in Africa», come secondo lui faceva Berlusconi con l’accordo libico (per capire come funzionava, corruzione e torture comprese, recuperatevi sul web Come un uomo sulla terra).
Giorno 5
L’evento più atteso è la riunione del comitato di quartiere. Vi si affronteranno le due anime cittadine. Appuntamento per le nove di sera nei locali della parrocchia. Metà della quarantina di partecipanti, giurano i veterani, non si era mai vista. L’ultimo arrivato, l’informatico pugliese trasferitesi qui da Tor di Nona da soli quattro mesi, è quello che parla di più. Dice che «noi» possiamo risolvere il problema annoso dei due parchi cittadini inutilizzabili perché «non a norma». Un anziano gli chiede, con scelta terminologica che equivale a una provocazione, a chi si riferisca il plurale maiestatis. Palermo, che eccezionalmente si è tolto i Ray-Ban, replica: «Siamo papà e stiamo organizzando una festa di Halloween nel parco». Parte il dibattito. Adriano, del forno Pane&Fantasia, esplicita i sospetti: «Vedi, sembra che tu sia pilotato». Vincenzo, un gigante del gruppetto antagonista, non gradisce l’illazione, si alza e gli dà un cazzotto in faccia. Li dividono. Adriano chiama i carabinieri (ma sono così lontani che farà in tempo a revocare l’intervento). Un veterano corcollese commenta amaro: «Se questa è un’anteprima del comitato che verrà, siamo nei guai».
La trasferta volge al termine. Corcolle è razzista? No. Nove cittadini su dieci neppure si sognano di includere gli immigrati nella top ten dei loro problemi. Ci sono dei razzisti? Sì. Quelli che lo rivendicano su Facebook e quelli, magari di frazioni limitrofe, che si galvanizzano nei commenti. E non è da escludere che, complico la crisi, la loro rabbia contagi gente troppo stanca per fare distinzioni. Quanto all’aggressione? È probabile che sia avvenuta come reazione esasperata davanti all’ennesimo bus che, dopo intollerabili attese, preferiva non fermarsi. È possibile che i trenta energumeni fossero la metà, un terzo, un quinto. E che il panico avvertito dall’autista che si è strenuamente rifiutata di spiegarci come sono andate le cose avesse più a che fare con sue pur comprensibili proiezioni che con minacce reali. L’indagine lo stabilirà, promette Zerilli. Magari creare il caso poteva servire ad alcuni per scoraggiare l’azienda dei trasporti dal procedere con tagli agli organici.
«Atac» più «scandali», sia detto per inciso, è una combinazione che fornisce oltre 100 mila risultati su Google, dai biglietti donati ai due dirigenti apicali che guadagnano ciascuno più di Obama. L’azienda, che perde 1,7 miliardi di euro, non ha minimamente collaborato con noi per appurare i fatti. Oppure, in un più grande schema delle cose, la battaglia di Corcolle può servire a far vincere la guerra della destra per la riconquista della Capitale. Una pista che prende corpo nei giorni successivi, nella non lontana ma ben più degradata Tor Sapienza. Nelle case popolari di viale Morandi un italiano su due (di cui un discreto numero ai domiciliari) non paga la pigione, mentre i rumeni occupano le cantine. Spaccio italiano e prostituzione straniera sono tappezzeria urbana. Si fatica anche a immaginare. La scintilla sono tre romeni che avrebbero molestato sessualmente una ragazza (che non denuncia). Trecento cittadini scendono in strada, ma a tirare le bombe carta su polizia e immigrati e a mandare all’ospedale un bengalese sedicenne sono persone col volto coperto. Spuntate da dove? Un residente rivela all’inviata di Piazzapulita «un via vai di gente di CasaPound» nei giorni precedenti gli scontri. Foreign fighters da altri quartieri, mobilitati dalla causa di buttar giù l’indebolitissimo sindaco?
Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) trasecola all’ipotesi di complotto. La più abile nel capitalizzare la rabbia delle borgate dice di non averci trovato neppure l’ombra del razzismo. Deve essersi persa la donna che, alle telecamere dell’Huffington Post, suggeriva «Du’taniche de benzina e ‘n fiammifero» per risolvere il problema. Parole non diverse da quelle che sentirò io. Nelle banlieues parigine, impropriamente invocate in questi giorni, erano gli arabi a mettere a fuoco il quartiere. Qui l’unico morto che si piange, a oggi, è il pachistano ucciso a calci in testa a Tor Pignattara da un minorenne romano aizzato dal padre, il 18 settembre scorso. La Meloni, che giustamente ricorda l’anziano di Fidene selvaggiamente picchiato da una banda dell’Est, non ha una parola per lui.
Nella manifestazione anti-Marino che sfilerà per il centro storico pochi giorni dopo, la palla di neve delle agevolazioni per gli imprenditori immigrati è diventata una slavina che rimbalza nei capannelli: «Noi ce strozzamo, loro nun pagano i contributi». Si moltiplicano anche gli annunci senza fondamento di nuovi centri di accoglienza, da centinaia di profughi per volta. Nel goffo tentativo di dimostrare di non avere problemi con gli stranieri gli organizzatori fanno salire sul furgone in testa al corteo un giovane africano smarrito che dovrebbe funzionare da mascotte. Imbarazzante. Torno a casa con tre sole certezze. La prima è che la realtà è sempre infinitamente più complessa di come si tende a raccontarla. La seconda è che, più la nostra identità traballa più gli immigrati ne diventano puntelli ideali, i nemici perfetti in opposizione ai quali riaffermarla. La terza è che, con le piogge torrenziali, Corcolle sarebbe finita sotto l’acqua alta. Su Facebook ho visto poi via Sant’Elpidio diventata un ruscello profondo 25 centimetri. A sturare i tombini e ad azionare le pompe gli arrabbiati erano in prima fila. A modo loro amano il posto dove vivono. Sono convinti che liberandosi dei cinquanta rifugiati e di qualche altro centinaio di romeni il loro quartiere diventerebbe di colpo bello come Monti. È un errore drammatico, drammaticamente diffuso, nelle nazioni e nelle epoche.
Riccardo Staglianò